domenica 28 dicembre 2014

premier league: a fine 2014 l'arsenal si scopre cinico e vincente

Di Diego Del Pozzo

L'Arsenal sta imparando a essere cinico. Proprio col cinismo, con l'esperienza, con grande intensità e con un pizzico di fortuna, infatti, gli uomini di Arsène Wenger riescono a espugnare il Boleyn Ground (1-2, con rigore di Cazorla e deviazione ravvicinata di Welbeck, entrambi qui nella foto, prima della rete inutile di Kouyate), aggiudicandosi uno tra i più tradizionali e sentiti derby londinesi, quello con la rivelazione West Ham, superando proprio gli Hammers in classifica e issandosi al quarto posto a pari punti col Southampton (a quota 33).
Dopo l'altro 2-1 col Queens Park Rangers, all'Emirates nel Boxing Day, è il secondo derby londinese consecutivo vinto dai Gunners che, nel giorno di Capodanno, chiuderanno il tour de force delle festività natalizie sfidando proprio i Saints, in casa loro, in quello che, per il momento, si propone come autentico spareggio per aggiudicarsi la quarta piazza della graduatoria.
Proprio la squadra a strisce biancorosse allenata da "Rambo" Koeman, intanto, riesce nella mezza impresa di fermare sull'1-1 quell'autentico schiacciasassi che è il Chelsea versione 2014-2015, che però riesce comunque a mantenere i tre punti di vantaggio in vetta sui rivali del Manchester City, campioni uscenti e attuali secondi in classifica, soltanto grazie all'inatteso passo falso casalingo dei Citizens che, lanciatissimi dalle 7 vittorie consecutive in campionato (più 2 in Champions League), si fanno rimontare il doppio vantaggio acquisito nel primo tempo, cedendo man mano campo e sicurezze di fronte al piccolo ma coraggiosissimo Burnley, capace di strappare con le unghie e con i denti il più incredibile dei 2-2.
Nell'anticipo dell'ora di pranzo, intanto, anche l'altrettanto lanciato Manchester United di Louis Van Gaal (8 vittorie negli ultimi 9 match di Premier League) si era fermato sullo 0-0 sul pur difficile campo del Tottenham, che era riuscito a salvarsi a più riprese soltanto grazie agli interventi di un super Lloris tra i pali: scarsa lucidità in fase conclusiva per i Red Devils e occasione enorme sprecata per guadagnare qualche punto sulle prime due in classifica, al momento ancora piuttosto lontane.
In attesa del Monday Night tra Liverpool e Swansea, quindi, negli altri match di giornata si rilancia il Leicester nella lotta per non retrocedere (1-0 a Hull), mentre vede sempre più buio il West Bromwich Albion, sconfitto 2-0 sul campo dello Stoke City. Termina a reti inviolate, infine, sia tra QPR e Crystal Palace che tra Aston Villa e Sunderland, mentre nella gara che chiude il programma domenicale Newcastle ed Everton danno grande spettacolo con uno scoppiettante 3-2 per i Magpies.
Sia come sia, vada come vada, comunque, mentre il calcio italiano resta vergognosamente chiuso per ferie fino all'Epifania, quello inglese anche oggi - dopo il Boxing Day di due giorni fa e prima del nuovo turno di Premier League in programma a Capodanno - ha saputo offrire emozioni e spettacolo a tutti i veri appassionati di football, che così durante le festività di fine anno, con più tempo libero a propria disposizione, possono legittimamente scegliere tra i vari tipi di spettacolo anche quello calcistico e decidere di andare allo stadio, oltre che a teatro, a cinema, al circo o a un concerto.
 © RIPRODUZIONE RISERVATA

lunedì 22 dicembre 2014

il napoli batte la juve ai rigori e conquista la supercoppa 2014

Di Diego Del Pozzo

Mille emozioni e vittoria tutto sommato meritata del Napoli, che colpisce anche due pali e fallisce tante altre occasioni nitide, nella finale di Supercoppa italiana sulla Juventus a Doha in Qatar.
Il match termina 1-1 dopo i tempi regolamentari e 2-2 dopo i supplementari, con grandi doppiette di Higuaìn e Tevez e con doppia rimonta azzurra sui bianconeri. Poi, ai calci di rigore Buffon e Rafael (notevoli anche nel corso dei precedenti 120 minuti) danno letteralmente spettacolo e protagonisti inattesi come Gargano (omm'!) e Koulibaly si dimostrano glaciali nelle loro trasformazioni, fino all'8-7 definitivo che fa esplodere di gioia un'intera città e restituisce fiducia a un gruppo da troppo tempo al centro di polemiche non sempre meritate.
I miei migliori in campo di stasera, nel Napoli, sono certamente il tanto criticato portiere Rafael, l'esplosivo Higuaìn, un Hamsik finalmente tuttocampista con profitto e l'inesauribile Gargano. Subito dopo metto l'elettrico De Guzman e Ghoulam.
Si rivelano purtroppo disastrosi, invece, Mertens e Callejon, sia nei 120 minuti che ai rigori, mentre Koulibaly nel finale salva un gol già fatto e si rifà così dalla comica dello 0-1 iniziale confezionata assieme ad Albiol che, a sua volta, trasforma con gran classe il suo calcio di rigore.
E Rafa Benitez si conferma anche stavolta vincente vero!
Nota finale per l'ambiente nel quale s'è giocato: uno stadierello da 14mila posti non troppo pieno, popolato da falsi tifosi con tanto di kit dato all'ingresso dall'organizzazione e con un silenzio quasi da teatro lirico sugli spalti. Il tutto, insomma, m'è parso piuttosto inadeguato. Ma i soldi degli sceicchi hanno avuto la meglio su tutto.
Comunque, grandissima goduria e... Forza Napoli! Sempre!

© RIPRODUZIONE RISERVATA


sabato 29 novembre 2014

europa league: il napoli va avanti, in un torneo un po' vintage

Di Diego Del Pozzo

Ogni tanto ci vuole un bello 0-0 anche per il Napoli di Rafa Benitez, qualificato con un turno di anticipo per i Sedicesimi di finale di Europa League dopo un pareggio d'altri tempi giovedì sera nel gelo di Praga, in casa di uno Sparta volitivo e coriaceo come aveva dimostrato già nel match d'andata al San Paolo (dove, però, perse 3-1).
Il Napoli si difende bene, ha un po' di fortuna in occasione delle due traverse colpite dagli avversari, ha nel tanto criticato portiere Rafael il migliore in campo e torna a casa senza danni e con la qualificazione in tasca, dopo una trasferta comunque abbastanza insidiosa.
Adesso, col surplus del turnover praghese e con l'atteso rientro di Mertens, la testa è di nuovo alla Serie A, che lunedì sera propone un affascinante Sampdoria - Napoli in quel di Marassi.
A proposito di Europa League, però, la verità - difficile da ammettere per chi pensa soltanto al freddo dato economico - è che questo torneo tanto bistrattato conserva ancora oggi un notevole fascino ed è capace, in molti casi, di tener vive e trasmettere le sensazioni non totalmente globalizzate della Coppa Uefa, della Coppa delle Coppe e, più in generale, del buon vecchio calcio europeo degli anni Settanta e Ottanta.
Basti ricordare, in tal senso, i semplici nomi di alcune tra le squadre ancora in corsa, tutte di grande tradizione: Sparta Praga, Bruges, Celtic, Feyenoord, Everton, Saint Etienne, Legia Varsavia, Dinamo Kiev, Steaua Bucarest, Anderlecht (dalla Champions), Dinamo Mosca, Torino, Fiorentina, Borussia Moenchengladbach, Psv Eindhoven, Tottenham, le stesse Inter e Napoli, i detentori del Siviglia.
Certo, se non si giocasse di giovedì sera...

© RIPRODUZIONE RISERVATA

mercoledì 26 novembre 2014

benitez lasci napoli e l'italia. noi ci meritiamo moggi in tv

Di Diego Del Pozzo
(Il Napolista - 24 novembre 2014)

Alla vigilia di Napoli – Cagliari, avevo netta la sensazione che la squadra di Benitez fosse circondata da cecchini armati pronti a far fuoco al primo intoppo, tanto artificiosa mi era parsa la tregua con media e ambiente siglata sull’onda travolgente delle due vittorie contro Roma e Fiorentina. E il 3-3 casalingo con la bella squadra del maestro Zeman ha, purtroppo, confermato i miei timori. Intendiamoci, di errori il Napoli ne ha commessi, soprattutto in difesa. Ma ciò che critico qui è l’atteggiamento che, sul piano nazionale e locale, troppi osservatori pseudo-autorevoli (ma che, comunque, fanno opinione) continuano ad avere, dall’inizio della stagione, nei confronti della squadra azzurra e, soprattutto, del suo allenatore spagnolo, quasi che quest’ultimo fosse un corpo estraneo da espellere a tutti i costi dall’organismo putrescente del calcio italiano.
Tregua finita, dunque, dopo il 3-3 contro il Cagliari e cecchini che sono tornati a far fuoco. Ha iniziato Massimo Mauro nel post-partita di Sky Sport. I suoi occhietti brillavano quando ha provato, piuttosto goffamente per la verità, a mettere in bocca a Zeman una serie di critiche mai pronunciate contro la difesa del Napoli. Critiche subito rispedite al mittente con la consueta imperturbabilità dall’esperto allenatore boemo (“Non ho mai detto queste cose, forse le hai dette tu”), il quale poi in diretta tv ha letteralmente umiliato Mauro provando a spiegargli – con scarso successo, purtroppo – quanto sia falso il luogo comune che vuole vincenti soltanto le squadre che subiscono meno gol: “Se io ne segno uno in più dell’avversario – gli ha detto a un certo punto – perché dovrei preoccuparmi di subirne troppi? In Spagna e in Inghilterra non la pensano come voi. E non mi pare che il loro calcio sia messo tanto male”. Si tratta, fondamentalmente, degli stessi concetti (eretici per l’Italia) espressi più volte da Benitez, che non a caso lo stesso Zeman – ancora ai microfoni di Sky Sport – ha definito “un uomo di calcio e di sport vero”.
La lettura dei quotidiani del giorno dopo (nazionali e locali), quindi, ha rafforzato la mia spiacevole sensazione, tra quel tifoso che non si sentiva da qualche settimana e che adesso è nuovamente triste e le tante pagelle impietose anche con chi, invece, tutto sommato non aveva demeritato. Probabilmente, adesso, ricomincerà lo stillicidio di critiche più o meno a orologeria da parte dei tuttologi dei giornali, delle radio e delle televisioni locali, che col Napoli di Benitez devono riempire i loro palinsesti. E, chissà, ricominceranno gli avvistamenti di sceicchi al largo di Capri o le trattative per portare Balotelli in città a gennaio. Intanto, dopo il perdono pubblico di Andrea Agnelli, Luciano Moggi passerà il suo lunedì sera negli studi di Rai Sport, come ospite d’onore del “Processo del lunedì” di Enrico Varriale. E certamente non perderà l’occasione, come ha spesso fatto in questi mesi, per dire la sua anche sul Napoli.
Tutto ciò mi pare nient’altro che un folle tentativo di “cupio dissolvi”, per di più praticato in un ambiente capace di perdere persino l’occasione epocale del Forum delle Culture (a proposito, complimenti a “Il Mattino” per l’inchiesta che ne ha portato alla luce le oscenità) e che dovrebbe trattare la sua squadra di calcio come un fiore all’occhiello (è un’azienda che funziona e che, comunque, è stabilmente ai vertici in Italia), invece di provare ad affossarla in tutti i modi, anche strumentalmente. Per me, Rafa Benitez alla guida del Napoli è proprio come il Forum delle Culture: un’occasione persa, non sfruttata a dovere da chi avrebbe potuto e dovuto innanzitutto capire. E, di fronte a tutto ciò, nel riflettere tra me e me con una certa amarezza, sono arrivato a pensare, contro i miei interessi di tifoso del Napoli, amante del bel calcio e rafaelita, che Benitez a fine stagione farebbe bene ad andarsene via in ogni caso, a prescindere dagli esiti, perché evidentemente questo ambiente e questo territorio – ma direi l’Italia in generale – non vogliono saperne di sprovincializzarsi e internazionalizzarsi realmente. E perché, in definitiva, questa Napoli che cerca la pagliuzza negli occhi altrui, ignorando le travi nei propri, merita una squadra di calcio allenata da Gigi De Canio (con tutto il rispetto per il professionista), con Pavarese come direttore sportivo, col mercato reinserito nella galassia di Alessandro Moggi e con papà Luciano a tirare i fili da dietro le quinte.

domenica 23 novembre 2014

serie a: napoli - cagliari 3-3 e occasione sprecata per gli azzurri

Di Diego Del Pozzo

Lo scoppiettante 3-3 casalingo del Napoli contro l'ottimo Cagliari di Zdenek Zeman offre alcune risposte immediate sul presente della squadra di Benitez - comunque al nono risultato utile consecutivo, migliore striscia aperta della Serie A - e sul suo futuro.
Il gol di Higuaìn per il provvisorio 1-0
Innanzitutto, alla prima verifica in tal senso, s'è capito subito che di qui in avanti l'assenza di Lorenzo Insigne peserà tantissimo, non soltanto per la sua classe e per come era riuscito a cogliere (finalmente) l'essenza dei movimenti offensivi chiesti dal tecnico spagnolo, ma per quella specialissima voglia e intensità (di cuore) che l'attaccante infortunatosi a Firenze stava mettendo, da un mese a questa parte, in ogni suo match. Forse qualcuno faceva finta di non accorgersene, ma nelle ultime quattro-cinque partite Insigne aveva acquisito la piacevole abitudine di prendersi letteralmente la squadra sulle spalle, per suonare la carica e aiutarla a superare l'ostacolo di turno (si vedano, in particolare, le vittorie casalinghe contro Verona e Roma, la prima una cosiddetta "piccola", la seconda una "grande", a riprova dell'infondatezza dell'assioma della "squadra grande con le grandi e piccola con le piccole").
La seconda risposta - che, per i suoi esiti dirompenti, forse avrà un po' sorpreso persino lo stesso Benitez - riguarda, invece, uno tra i calciatori più criticati di questi primi mesi di stagione: Raul Albiol. In molti, di fronte a prestazioni spesso non convincenti, chiedevano con insistenza di farlo riposare un po' e lanciare Henrique al centro della difesa. Ebbene, la risposta arrivata oggi dal San Paolo è abbastanza chiara: il brasiliano finora sta giocando poco semplicemente perché non è ancora all'altezza della situazione, forse a causa delle scorie mondiali e della preparazione estiva fatta un po' a pezzetti. E con la sua confusione ha finito per mettere in difficoltà persino il fin qui ottimo Koulibaly, assieme al quale ha contribuito massicciamente ai regali natalizi anticipati fatti agli attaccanti del Cagliari in occasione di tutti e tre i loro gol.
Insomma, con assenze pesanti - e in alcuni casi lunghe - come quelle di Insigne, Zuniga, Mertens, Jorginho (squalificato), la rosa pare un po' striminzita, almeno rispetto a quelle di Juventus e Roma.
Detto ciò, gli uomini di Zeman hanno pienamente meritato il pareggio, lo hanno ottenuto attraverso un calcio d'attacco e, come nel loro stile, privo di calcoli. E il Boemo ha dimostrato che, se la sua squadra deciderà di seguirlo fino in fondo, iniziando a giocare senza timori fin dal fischio d'inizio e non da quando va sotto di due o tre reti, in Sardegna potranno tutti togliersi parecchie soddisfazioni. D'altra parte, ricordo ai criticoni che squadre dal blasone ben superiore a quello del Napoli hanno perso 4-1 in casa contro il Cagliari in forma. Insomma, se questi iniziano a giocare per tutti i 90 minuti ci sarà da divertirsi.
Il Napoli, invece, deve recitare il "mea culpa" per l'occasione sprecata, perché pur giocando con minore intensità rispetto alle ultime prove (la pausa per le Nazionali non ci voleva!) questo match poteva portarlo tranquillamente a casa, nonostante gli orrori dei due centrali difensivi, un Callejon spesso assente dal gioco e un Hamsik ancora alla ricerca del tempo perduto, più largo a sinistra per provare a surrogare l'assente Insigne. Tra le note positive, vanno segnalati un Higuaìn ormai definitivamente recuperato alla causa, un De Guzman molto duttile e sempre più al centro del progetto tecnico, un Gargano tutto grinta e un Maggio di nuovo atleticamente tirato a lucido. Col rientro di Mertens a sinistra, si spera fin dalla prossima partita in casa della Sampdoria, le cose dovrebbero andare un po' meglio. Intanto, lo sguardo arrabbiato di Rafa Benitez nel post-partita - col tecnico che s'è detto "molto infastidito da questo pareggio regalato" - lascia ben sperare per la carica che saprà dare alla squadra in vista dei prossimi match, in Europa League e Serie A.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

mercoledì 19 novembre 2014

gli elogi del "corriere della sera" per il napoli di rafa benitez

Riporto qui, integralmente e citando la fonte, questo bell'articolo della settimana scorsa tratto dal Corriere della sera e dedicato al rilancio del Napoli, terzo in Serie A alla pausa di novembre per le Nazionali. Buona lettura! (d.d.p.)
---------------------------------------------------------

Benitez, calma e lavoro così è decollato il Napoli

Di Alessandro Pasini
(Corriere della sera – 11 novembre 2014)

Come Sant’Agostino e i Pink Floyd, Rafa Benitez ci parla spesso del Tempo. Lo chiede ai critici da quando è arrivato a Napoli, dice che gli serve per capire, lavorare, modificare una cultura italiana che non condivide, trasformare gli errori in opportunità, lucidare i muscoli, scalare la classifica, eventualmente vincere. Dopo le buche prese a inizio stagione, di tempo stavamo per non concedergliene più. Invece aveva ragione lui, che non a caso in carriera qualcosa ha combinato: il Napoli è terzo e sta finalmente dove deve stare, anche se un anno fa aveva 7 punti in più, era a pari della Juventus e a meno 3 dalla Roma capolista. Almeno però la tendenza si è invertita, ed è già qualcosa.
I numeri sono chiari. Nelle prime 4 partite 4 punti, 6 gol subiti, poco gioco, tanti problemi. Nelle successive 7 partite 17 punti, 0 sconfitte, 2 scalpi nobili (Roma e Fiorentina), squarci di calcio show, media punti da 1 a 2,42, media gol subiti più che dimezzata (da 1,5 a 0,54). Sono aumentati i gol fatti (da 5 in 4 partite a 15 in 7) e sono arrivati quelli di Higuain, 6 negli ultimi 4 match dopo un digiuno assurdo per uno come lui. Con Callejon, capocannoniere con Tevez a 8 (ma senza rigori), il Pipita forma la coppia più calda della serie A: ha un senso, visto che il Napoli è secondo per tiri in porta a partita (18,2) dietro la Juve (19,4).
Da dove arriva questo colorito nuovo? Il Tempo, appunto. La calma e il lavoro, secondo il noto motto di Rafa: «Senza fretta ma senza pause». La gamba finalmente va, la preparazione completata ha ripulito Higuain e soci delle scorie mondiali, Hamsik ha raggiunto almeno la sufficienza, alcuni nuovi sono fioriti (Koulibaly e David Lopez), si è rinforzata l'autostima di Rafael, ex erede pallido di Pepe Reina. Poi è stato elaborato il lutto di Champions. Uscire al preliminare con l'Athletic Bilbao è stato un fallimento senza scuse. Con gli azzurri i baschi parevano il Bayern, ora in coppa sono fieri ultimi con un punto in 4 gare. Probabilmente oggi il Napoli li asfalterebbe tanto a poco, ma oggi non è ieri. Anche qui, questione di tempo: ad agosto calendario e bioritmi erano dissincroni come un film montato al contrario. Succede, Rafa sotto sotto lo sapeva, ma vallo a spiegare ai tifosi, ai critici e ai giocatori, privatisi del giocattolo Champions prima ancora di scartarlo.
Il nuovo viaggio del Napoli è appena iniziato e alcuni rebus restano irrisolti: certi nomi come Michu permangono misteriosi, manca la continuità sui 90', Hamsik deve ancora tornare Hamsik e qualche innesto a gennaio non guasterebbe. E poi c'è il grosso guaio Insigne. Il crac di domenica a Firenze era grave: rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio destro. Lorenzo è stato operato già ieri a Villa Stuart, a Roma, dal professor Paolo Mariani. L'intervento è riuscito, ma per rientrare ci vorranno sei mesi: la stagione è praticamente finita. Il colpo è pesante per la squadra e per il napoletano che aveva appena riconquistato Napoli, trasformati i fischi in applausi grazie alla pazienza sua e di Benitez. L'ultimo Insigne volava, era decisivo, e avrebbe fatto comodo anche alla Nazionale. Un disastro, ma c'è una piccola consolazione: al suo posto giocherà Mertens, l'Insigne belga. Un lusso per stemperare la tristezza. Pochi in serie A possono permetterselo. Ecco perché il Napoli può restare in alto.

martedì 18 novembre 2014

lettera aperta ai tifosi del napoli e ai giornalisti napoletani

Di Giuseppe Cascone

Cari tutti,
Nella nostra città ci sono alcuni tifosi ed esperti che, più o meno consapevolmente, sperano nella sconfitta del Napoli perché Benitez gli sta antipatico. E allo stesso modo c'era gente che godeva delle sconfitte nelle stagioni di Mazzarri: in anni e anni di ascolto delle radio sportive ho sentito montare verso il tecnico livornese lo stesso livore che oggi si riversa spesso su Benitez.
Io trovo davvero avvilente e triste che oggi, in certi ambienti, ci si debba quasi giustificare per aver tifato, amato e anche apprezzato il Napoli di Mazzarri, Cavani, Hamsik, Lavezzi, Gargano, Grava, Aronica, una delle squadre migliori della nostra storia.
La responsabilità di questo clima va divisa a metà tra le "vedove" di Mazzarri e quelle che, per analogia, potremmo chiamare le "divorziate", ossia quelli che, invece di godersi la splendida avventura con il nuovo marito (Benitez), hanno da subito alimentato confronti tra Benitez e Mazzarri, tra Higuaìn e Cavani, tra Lavezzi e Insigne, attuando, sin dai primi mesi del nuovo corso, una sottile opera di svalutazione del passato recente ("Il Napoli faceva il catenaccio", "Cavani aveva i piedi storti" e così via).
Cari tutti, io penso che oggi dovremmo goderci il luminoso presente, sperare nel futuro e ammirare con fiducia una squadra formidabile (il Napoli di Benitez) che sta giocando il calcio forse più spettacolare mai visto sotto il Vesuvio (non conosco, se non dai libri, il Napoli di Vinicio). Lasciamo riposare il Napoli di Mazzarri nella bacheca della nostra storia e della nostra memoria, con l'affetto, la stima e la gratitudine che meritano lui e i suoi splendidi ragazzi del Napoli 2009-2012.
Adesso è il tempo di un'altra storia emozionante. Abbiamone cura.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

lunedì 17 novembre 2014

un rafaelita che non rinnega il napoli di mazzarri

Di Diego Del Pozzo

L'esonero di Walter Mazzarri da parte dell'Inter - il primo in carriera per il tecnico toscano - ha scatenato dibattiti e ironie feroci, soprattutto sul web e in particolar modo tra i tifosi nerazzurri e quelli napoletani, con i primi prontissimi a sottolineare il presunto pericolo scampato ("Libertà!", è stata l'esclamazione ricorrente) e i secondi ancora più solerti nell'attaccare il tecnico della quarta Coppa Italia, reo di essersi lasciato male con la città e con "l'ambiente" nell'estate 2013.
Io stesso, su Facebook, ci ho un po' scherzato su, semplicemente pubblicando alcuni stralci dell'indifendibile autobiografia-flop "Il meglio deve ancora venire", operazione editoriale sbagliatissima da tutti i punti di vista, giustamente snobbata dai lettori (ma io ne ho comprato una copia!!!). Però, mi sono reso conto che il mio atteggiamento poteva essere equivocato ed equiparato a quello dei troppi tifosi azzurri che, mostrando memoria corta e una certa mancanza di riconoscenza, hanno deciso quasi di azzerare quattro anni fatti, invece, di crescita costante, successi sportivi e tante emozioni.
Così, ho deciso di precisare qui, da zemaniano convinto e rafaelita ortodosso, quello che è il mio pensiero sul tanto discusso Walter Mazzarri.
Per me, Mazzarri è un ottimo allenatore e resta tale anche dopo il fallimento interista (perché tale va considerato il suo periodo in nerazzurro). Il suo approccio al calcio è maniacale, da lavoratore indefesso pronto a sacrificare tutto sull'altare del suo mestiere. Grande motivatore e buono stratega, porta avanti un'idea di calcio molto precisa e definita, tatticamente incarnata da un 3-5-2 impostato su una squadra tenuta abbastanza bassa e pronta a ripartire in micidiali contropiede, sfruttando l'atletismo degli esterni di centrocampo, gli inserimenti centrali di una delle due mezzeali e la velocità dei due attaccanti. La fase difensiva delle sue squadre si basa sulla concentrazione dei singoli e sulla densità tra i tre centrali di difesa e i due mediani di centrocampo, pronti questi ultimi a pressare gli omologhi avversari alla ricerca continua degli improvvisi rovesciamenti di fronte. Pur agendo prevalentemente di rimessa, le sue squadre sono sempre state molto produttive in attacco, mettendo costantemente gli attaccanti davanti alla porta e portandoli, quasi inevitabilmente, a finalizzare con ottimi score individuali (dai 53 gol in B di Protti-Lucarelli nel Livorno della promozione ai 35 in A di Bianchi-Amoruso nella Reggina della salvezza con penalità, fino agli exploit napoletani di Cavani). Per farli rendere al meglio, Mazzarri ha bisogno di allenare molto i suoi giocatori, da qui la sua idiosincrasia per i doppi impegni settimanali, suo limite oggettivo se si pensa a come funziona oggi il calcio di vertice.
I difetti del tecnico toscano sono altrettanto evidenti e derivano in massima parte dall'eccesso di orgoglio personale e dalla consapevolezza (giusta o sbagliata che sia) di essere molto bravo e, quindi, di meritare molto di più rispetto a tanti suoi colleghi "alla moda", in virtù di una gavetta che lo ha formato negli anni, senza fargli bruciare le tappe come capitato ad altri. Fondamentalmente, però, Mazzarri non ha il physique du role del tecnico di livello internazionale: permalosissimo, sempre sovraeccitato, spesso piagnucoloso, scostante e piuttosto antipatico, pare sempre un contadino capitato per caso nella grande città. Livornese per livornese, per fare un esempio, il "cittadino" Massimiliano Allegri possiede questo physique du role, lui originario di San Vincenzo no. E, in ambienti "forti" come quello interista, questo è stato il suo peccato originario (abbinato all'assenza di pedigree ai massimi livelli). Nei confronti dei media e degli osservatori esterni, questo limite anzitutto comunicativo non gli permette nemmeno di valorizzare al meglio quanto dice. Per capirci, se la stessa identica lamentela arbitrale viene fatta da lui e da Mourinho l'effetto all'esterno sarà diversissimo, inevitabilmente. Più che di carisma, è questione di "aura". O ce l'hai oppure non ce l'hai.
Detto tutto ciò, da zemaniano convinto e rafaelita ortodosso (lo ribadisco a scanso di equivoci), il mio giudizio sul Napoli di Mazzarri resta ampiamente positivo. I numeri dicono che nei suoi quattro anni si è visto uno tra i Napoli più forti della storia azzurra, con un secondo posto e il record di punti (78, eguagliato l'anno scorso da Benitez), la conquista della Coppa Italia, una Supercoppa italiana francamente mezza scippata, una grande Champions League disputata eliminando Manchester City e Villarreal, qualificandosi agli Ottavi assieme al Bayern Monaco e venendo eliminati soltanto ai tempi supplementari dal Chelsea futuro vincitore di quell'edizione, con imperdonabile sciupìo di occasioni da gol sia a Napoli che a Londra. Per inciso, in quella Champions, quel Napoli perse soltanto 3-2 a Monaco col Bayern - non 7-1 in casa, come qualcun altro - e 4-1 ai supplementari a Londra col Chelsea: le due finaliste di quell'edizione. E, tra gli azzurri, giocavano personaggi come Aronica, Cannavaro, Grava, per citarne soltanto tre.
I meriti di Mazzarri nella costruzione e nella gestione di quella squadra sono enormi e innegabili: Cavani centravanti lo ha inventato lui, Zuniga esterno sinistro anche, Maggio è stato il migliore nel suo ruolo in Italia, Hamsik è sbocciato sotto la sua gestione, onesti pedatori come Grava e Aronica sono stati spinti ben oltre i loro limiti evidenti, la diga di centrocampo Gargano-Pazienza ha spesso scalato l'Everest. Tra gli errori, vanno evidenziati i precocissimi accantonamenti di buoni giocatori come Edu Vargas, Federico Fernandez e - perché no? - Victor Ruiz, nessuno dei tre chiesto espressamente da lui e, dunque, mai valorizzato come sarebbe stato possibile. Poi, la gestione "provinciale" delle campagne di Europa League e la congenita incapacità di fare turnover in modo efficace tra le differenti competizioni. E, naturalmente, il modo imbarazzante nel quale ha gestito la sua uscita dal Napoli.
Sia come sia, comunque, a me gli anni di Mazzarri hanno regalato emozioni intense e tante partite memorabili. Sono coincisi con l'irruzione del nuovo Napoli di Aurelio De Laurentiis ai vertici del calcio italiano. Sono stati anni di rimonte spesso impossibili, triplette e quaterne fantastiche di Edinson Cavani (chi ricorda quella contro il Dnipro?), polemiche con le grandi tradizionali del calcio italiano e tanta adrenalina.
Poi, giunti alla soglia del livello superiore, Mazzarri ha implicitamente ammesso di non essere in grado di fare il passo finale verso la vittoria (e i 17 mesi interisti rappresentano una conferma in tal senso), mentre da parte sua la società azzurra ha capito che, per dotarsi di un profilo internazionale e provare a stabilizzarsi ai vertici, c'era bisogno di un tecnico dal profilo decisamente diverso: quello di un uomo di mondo, pluridecorato, come Rafa Benitez.
Ma Walter Mazzarri, con i suoi pregi e i suoi difetti, un posto nella storia del Napoli se lo è conquistato sul campo. E toglierglielo sarebbe ingiusto, sciocco e decisamente provinciale.
Ps: Qualche riga, per concludere, sulla famigerata autobiografia "Il meglio deve ancora venire". L'operazione è sbagliata da tutti i punti di vista, ma le colpe principali a mio avviso sono dell'editore Rizzoli e del coautore, il giornalista di Sky Alessandro Alciato, più addentro a determinati meccanismi. Dal punto di vista di Mazzarri, infatti, credo che fare questo libro gli sia servito - dal suo punto di vista del provinciale che sbarca nel salotto buono del calcio italiano - per provare a blandire i poteri forti (Sky, Rizzoli, ecc.), in modo da garantirsi un po' di tranquillità durante la sua gestione interista. E, va detto, che la pessima autobiografia un primo anno di discreta stampa a Milano glielo ha garantito. Contadino, cervello fino...
© RIPRODUZIONE RISERVATA

mercoledì 12 novembre 2014

serie a: il napoli è terzo alla pausa di novembre

Di Diego Del Pozzo

Il Napoli arriva alla pausa di novembre della Serie A, per le qualificazioni europee delle Nazionali, issandosi al terzo posto in classifica, dunque rispettando sostanzialmente quelli che erano i pronostici d'inizio stagione, che vedevano proprio gli azzurri di Benitez come unica, possibile alternativa credibile al duello annunciato per lo scudetto tra Juventus e Roma, nonostante la delusione per una campagna acquisti dai più ritenuta non all'altezza (a torto) e per la sfortunata eliminazione di agosto al play-off di Champions League.
Rispetto ad allora, però, il Napoli pare molto cresciuto soprattutto in termini di fiducia nei propri mezzi, con Rafa Benitez che ha saputo compattare il gruppo ma anche l'ambiente, a dispetto di attacchi mediatici spesso ben oltre i confini del cattivo gusto e della malafede. Così, gli azzurri di metà novembre sono una squadra forte innanzitutto sul piano mentale, poi ordinata tatticamente e decisamente competitiva sul piano della tecnica. I big Higuaìn, Callejon e persino Albiol hanno recuperato concentrazione e un po' di condizione atletica; i nuovi arrivati Koulibaly e Lopez stanno rendendo oltre le attese (soprattutto il primo, monumentale contro Roma e Fiorentina); Hamsik sta recuperando la propria centralità tecnico-tattica, mentre un Jorginho potenziato anche nel fisico sembra in grado di poter tenere le redini della squadra con una certa sicurezza. Poi, ci sarebbe il nuovo Lorenzo Insigne, purtroppo infortunatosi gravemente a Firenze, ma diventato in quest'ultimo mese un tassello indispensabile del modulo di Benitez, in grado di abbinare alla sua tecnica superiore un notevole dinamismo e una capacità unica di corsa e resistenza, capaci di fargli svolgere al meglio i suoi compiti in fase difensiva oltre che offensiva. Accentrandosi dalla fascia sinistra è, ormai, il suggeritore-principe per gli altri attaccanti azzurri, ma ha anche assimilato alla perfezione i tempi dei recuperi e dei tagli difensivi. Sul suo infortunio tornerò tra un po'.
Per arrivare al terzo posto prima della sosta, il Napoli ha dato continuità alla magnifica vittoria casalinga sulla Roma andando a espugnare il campo della Fiorentina con l'autorità della grande squadra. Al Franchi, infatti, domina i sempre temibili avversari per la prima ora di gioco, difendendosi poi con ordine e una certa sicurezza nella tranche finale. Contro i viola, tra l'altro, si vede il miglior Gonzalo Higuaìn della stagione, non soltanto per il gol decisivo dello 0-1, ma anche per alcune giocate francamente impressionanti e per quella capacità unica di abbinare potenza atletica, tecnica sopraffina e grande intelligenza tattica (nei movimenti senza palla è spettacolare). Il Pipita sta recuperando la forma migliore e, come tutto il Napoli, mostra di avere ancora evidenti margini di miglioramento.
La bruttissima notizia che arriva da Firenze, invece, è il grave infortunio di Lorenzo Insigne, che s'è rotto il legamento crociato anteriore del ginocchio destro. Il giocatore del Napoli è stato operato lunedì a Roma e i tempi per il suo pieno recupero, purtroppo, si prevedono lunghi, tra i 4 e i 6 mesi.
Ovviamente, il primo pensiero va al ragazzo, che stava attraversando un momento di grande forma e, senza infortunio, sarebbe stato convocato anche in Nazionale (il ct Conte gli ha telefonato per manifestargli la propria vicinanza), dove secondo me avrebbe avuto un ruolo importante fin da subito. A lui va un sincero "in bocca al lupo", con la speranza di rivederlo al più presto sui campi di calcio.
Per quanto riguarda il Napoli, invece, il danno tecnico è molto serio, poiché oggi come oggi Insigne è forse il giocatore meno sostituibile dell'intera rosa azzurra. Perciò, la sua assenza e quella di uno Zuniga sempre più oggetto misterioso rischiano di frenare le legittime ambizioni azzurre. In attesa di ritornare sul mercato a gennaio, per acquistare uno o due esterni, adesso toccherà a Benitez inventarsi qualcosa, aumentando di molto il minutaggio di Mertens senza fargli perdere efficacia e puntando sulla duttilità di De Guzman.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

sabato 8 novembre 2014

napoli 2014-2015: il mio diario azzurro (8 agosto - 7 novembre 2014)

Di Diego Del Pozzo

L'immagine-simbolo dei primi tre mesi della stagione azzurra
Questo che segue è il mio personalissimo diario dei primi mesi di stagione calcistica del Napoli 2014-2015 allenato da Rafa Benitez. L'ho realizzato semplicemente assemblando in ordine cronologico i post e i commenti che ho pubblicato da inizio agosto a oggi sulla mia bacheca di Facebook.
Rileggendoli tutti di seguito, ne vien fuori, credo, un racconto piuttosto interessante, in particolar modo per quel che riguarda il rapporto - che definirei sconcertante - della squadra e dell'allenatore spagnolo con l'ambiente circostante e con i media locali e nazionali.
Buona lettura!
----------------------------------------------------------------
8 agosto (dopo il sorteggio per il play-off di Champions League)
È Athletic Bilbao! Sarà un doppio confronto bellissimo e di grande fascino. Però, una preghiera: la seconda squadra di Madrid, campione di Spagna in carica, si chiama Atletico; i gloriosi "leoni" baschi di Bilbao, prossimi avversari del Napoli in un preliminare di Champions League che vale almeno un ottavo, si chiamano Athletic, all'inglese (Athletic Club di Bilbao, o per comodità Athletic Bilbao). Ok? Grazie.

12 agosto
I vergognosi e volgari fischi di stasera a Cavani da parte dei tifosi (?) azzurri presenti al San Paolo per l'amichevole tra Napoli e Paris Saint Germain (1-2) sono stati di una stupidità persino imbarazzante. L'attaccante uruguayano - 104 gol in soli tre anni all'ombra del Vesuvio e 64 milioni di euro portati alla società grazie alla sua cessione - ha risposto da gran signore, tramite twitter.
Naturalmente, dopo la vergogna di stasera, spero di non dover mai affrontare Edi in un match di Champions League... E, comunque, il rispetto per la maglia e per i tifosi Cavani lo ha dimostrato in campo, in ogni singola partita, facendosi un mazzo così senza mai risparmiarsi. Poi, se l'uomo non è mai stato un giullare o un capopopolo, non per questo va considerato automaticamente un traditore. Ma traditore 'dde che? Stiamo parlando di professionisti strapagati, sia quelli più simpatici ed espansivi (e comunicativi e carismatici) che quelli più introversi e riservati. Le eccezioni alla Maradona o Hamsik sono rarissime..

20 agosto
Alcune mie considerazioni dopo l'1-1 casalingo del Napoli nel play-off di Champions League di ieri sera.
1) L'Athletic Bilbao è una squadra forte tecnicamente, tosta tatticamente e caratterialmente, vogliosa, ben allenata e, soprattutto, due settimane più avanti del Napoli nella preparazione (sabato inizia il campionato);
2) Benitez non c'entra niente con la rosa incompleta e i mancati acquisti: li ha subìti ed è il motivo per il quale, finora, non ha ancora rinnovato;
3) Ieri sera, la differenza di preparazione è apparsa evidente (il finale del Napoli è stato tutto di voglia e di nervi) e tra otto giorni la condizione complessiva sarà certamente migliore;
4) Detto ciò, il Napoli nel secondo tempo ha messo cinque (5) volte l'uomo smarcato davanti al portiere, fallendo almeno tre gol facili;
5) Le scelte iniziali di Benitez sono state dettate unicamente dallo stato di forma dei singoli (compreso Insigne dall'inizio per Mertens, che a partita in corso ha dimostrato di essere devastante, col suo cambio di ritmo), con l'unica eccezione di Higuaìn, che però anche con la panza e i fianchi larghi - perché ieri sera aveva la panza e i fianchi larghi e non è nemmeno al 50% della condizione - ha deciso il match;
6) Gargano è stato tra i migliori in campo e, ieri sera, si è ripreso Napoli: sarà senz'altro un ottimo quinto centrocampista;
7) Se c'è un tecnico che conosce l'Athletic Bilbao e sa come è più giusto andare a giocare nella bolgia del San Mamés quello è Benitez: la squadra sarà motivatissima e preparata per fare del suo meglio;
8) Con De Guzman, Fellaini e Agger o Nastasic in rosa questa squadra vince lo scudetto.
E, comunque, In Rafa we trust!
----------------------------------------------------
Riflettevo amaramente tra me e me, dopo il doloroso 1-1 interno del Napoli con un ottimo Athletic Bilbao, nell'andata di un complicatissimo (e tecnicamente assurdo) play-off di Champions League. E pensavo ai possibili sfottò di alcuni amici interisti. Poi, stamattina, ho ascoltato un'intervista a un teso Walter Mazzarri alla vigilia dell'insidioso (????!!!???) preliminare di Europa League dell'Inter contro una impronunciabile squadra islandese. E ho pensato che l'Islanda ad agosto deve essere davvero bellissima da visitare...
Per la serie: c'è preliminare e preliminare.
---------------------------------------------------
La mutazione antropologica (in peggio) del tifo all'interno dello stadio San Paolo sta diventando un problema serissimo. Altro che "cacce 'e sord'!"...
E quel coro onanistico degli ultrà ("In un mondo che...") è tristissimo e ormai insopportabile. Il Napoli gioca abbandonato a se stesso, mentre le curve cantano per i cazzi loro (è l'effetto vuvuzelas), invece di spingere i giocatori a dare tutto ciò che hanno dentro. E, alle prime difficoltà, fischi per (quasi) tutti.
Il vero tifo per la squadra di casa, purtroppo, temo che lo vedremo mercoledì prossimo a Bilbao. Tra l'altro, il coro ultrà "In un mondo che non ci vuole più..." afferma anche il falso, dato che in realtà gli stadi italiani sono ostaggi loro. E "In un mondo che non ci vuole più..." dovrebbero cantarlo i tifosi normali, che ormai non possono più godersi in tranquillità lo spettacolo della partita dagli spalti di uno stadio e, in pratica, ne sono stati espulsi.

27 agosto (dopo l'eliminazione dalla Champions League)
Silenzio e tristezza...

venerdì 19 settembre 2014

il napoli rialza la testa in europa league: 3-1 allo sparta praga

Di Diego Del Pozzo

L'esordio infrasettimanale del Napoli nell'Europa League 2014-2015 arriva a fagiolo per tentare di mettere subito a tacere le polemiche (assurde e strumentali) che stanno rischiando di sfasciare l'ambiente partenopeo già a metà settembre. E, contro una squadra solida e abbastanza coriacea come lo Sparta Praga, gli azzurri rispondono sul campo con la forza del gioco, offrendo una prova matura, con grande concentrazione e senza innervosirsi né perdere la testa nemmeno sotto di un gol dopo un quarto d'ora.
A fine gara, l'abbraccio tra Higuaìn e Mertens
Continuando semplicemente a giocare come chiede Rafa Benitez, infatti, arriva la meritata rimonta grazie ai gol di Higuaìn (1, su rigore netto) e Mertens (2, molto belli), fino al persino logico 3-1 finale. In totale, il Napoli effettua 21 tiri in porta, colpisce 2 pali, comanda sempre il gioco e si concede appena un paio di leggerezze difensive (compresa la solita su calcio d'angolo), contro un avversario comunque orgoglioso e per nulla arrendevole.
Tra i singoli, gli inserimenti sulle fasce difensive dell'energico Henrique (soprattutto) e di un Britos ordinato e sempre concentrato, al posto di Maggio e Zuniga, contribuiscono a equilibrare l'assetto della retroguardia; quello dell'ottimo Gargano dà corsa e grinta, ma anche leadership e maggiore copertura, in mezzo al campo; il capitano Marek Hamsik (a mio modestissimo avviso "man of the match") mostra di stare finalmente comprendendo davvero come interpretare al meglio il ruolo di "tuttocampista" capace di cucire tra loro i reparti, attaccare e difendere, giostrando tra cabina di regia e tre quarti offensiva; lo spento Callejon di queste settimane offre qualche segnale positivo in più; e, soprattutto, i grandi Mertens e Higuaìn - solisti in grado di fare la differenza ai massimi livelli - danno letteralmente spettacolo, giocando per la squadra e per se stessi come soltanto i campioni sanno fare.
Al fischio finale, il giro di campo e il saluto con applausi alle due curve (che ricambiano con convinzione) sancisce quantomeno una tregua in quella che, nei giorni precedenti, stava diventando una frattura netta tra squadra (società) e ambiente. Addirittura, dagli spalti si sente anche il coro "Vi vogliamo sempre così", come giusto riconoscimento all'impegno profuso dai giocatori azzurri.
Insomma, Benitez conosceva l'importanza di questo match e, non a caso, ha messo in campo quasi tutti i suoi uomini migliori. E Napoli - Sparta Praga 3-1 può essere un buon modo per ripartire, in vista di una trasferta di campionato insidiosa come quella di Udine, dove almeno Henrique, Britos e Gargano, a mio avviso, meritano certamente la riconferma tra gli undici titolari.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

champions league: la "svolta" di platini è democratica o demagogica?

Di Diego Del Pozzo

Per un pugno di voti, mi verrebbe da dire. Nel senso che il presidente dell'Uefa, Michel Platini, per assicurarsi il voto delle Federazioni minori alle varie tornate elettorali che gli garantiscono la poltrona, sta snaturando il senso e abbassando il livello tecnico della Champions League con una politica soltanto in apparenza più democratica, ma in realtà puramente demagogica e, forse, persino un po' pericolosa dal punto di vista della legalità.
Il portiere del Ludogorets si nasconde dopo l'errore decisivo al 93'
Mi riferisco alla variazione - in vigore a partire, ormai, dall'edizione 2009-2010 - dei criteri dei turni eliminatori del torneo, quelli che si giocano ad agosto, in modo da permettere al maggior numero possibile di squadre campioni nazionali dei Paesi calcisticamente meno evoluti (o, più precisamente, quelli col ranking Uefa più basso) di accedere alla fase a gironi, a discapito delle "piazzate" dei campionati di vertice: è la logica - per intenderci - alla base dei famigerati play-off che, quest'anno, hanno visto estromesso anche il Napoli di Benitez per mano dell'ottimo Athletic Bilbao (o il Lille dal Porto), in uno scontro diretto che avrebbe potuto valere forse un ottavo di finale (qui il regolamento della Champions League 2014-2015 e quello più generale della manifestazione dalle origini ai giorni nostri).
La logica conseguenza di tutto ciò, ovviamente, è già da qualche anno un primo turno (quello a gironi) fatto di match poco equilibrati e infarciti di errori e strafalcioni tecnici spesso imperdonabili e, mi spiace dirlo, anche di situazioni un po' sospette o, perlomeno, poco limpide. A dicembre, poi, a qualificarsi per i turni a eliminazione diretta sono, in ogni caso, sempre le solite note, dando il via, così, alla Champions League vera e propria, giocata con scontri diretti di andata e ritorno e fatta di grandi partite e altrettanto grandi giocate.
Quest'anno, più che mai, mi tocca registrare la presenza di un bel po' di squadre scarse o, comunque, abbastanza improbabili nei vari gironi: squadre che, fin dalla prima tornata di gare di questa settimana, hanno saputo perdere anche 5-1 o 6-0, senza opporre resistenza e commettendo errori clamorosi in serie. Tanto clamorosi da far pensare persino a qualcosa di losco: e mi riferisco a episodi come, per limitarmi a pochi esempi, il decisivo (e tecnicamente immotivato) fallo da rigore del portiere dei bulgari del Ludogorets, Milan Borjan (tesserato pochi giorni prima del match), a Liverpool al 93esimo minuto - e, ricordo, la Bulgaria è tra le centrali europee del calcioscommesse globale - o alle molteplici papere dei difensori portoghesi in occasione del pareggio del figlio di Zahovic per il Maribor con lo Sporting Lisbona, anche qui allo scadere. Con riferimento agli anni scorsi, invece, basti citare il caso davvero inquietante della decisiva (per la qualificazione dei francesi) Dinamo Zagabria - Lione 1-7, partita ben al di sotto di ogni sospetto.
Insomma, siamo sicuri che una Champions League più democratica sia davvero anche più "pulita" e, al tempo stesso, più spettacolare?

© RIPRODUZIONE RISERVATA

mercoledì 17 settembre 2014

lo spettacolo di arsenal - manchester city e la noia della serie a

Di Diego Del Pozzo

Nel precedente articolo, ho riassunto quanto accaduto in estate al calcio italiano, dopo il fallimento al Mondiale brasiliano, elencando una serie di episodi emblematici di un declino che, invece di arrestarsi, pare destinato a continuare inesorabile. I deficit organizzativi, gestionali, strutturali, progettuali provocano inevitabilmente defaillance tecniche e risultati deludenti. Non ci vuole un genio per capirlo.
E di fronte a uno spettacolo come quello offerto sabato scorso da Arsenal e Manchester City, nell'anticipo dell'ora di pranzo della quarta giornata della Premier League 2014-2015, si comprende in tutta la sua dolorosa evidenza perché oggi la Serie A sia tanto indietro rispetto ai campionati di vertice europei, come Premier, Bundesliga e Liga.
Nel fantastico 2-2 dell'Emirates (con reti di Aguero, Wilshere, Sanchez e Demichelis), infatti, anche un bambino a digiuno di calcio avrebbe potuto notare un'altra intensità di gioco, altra velocità di corsa e di pensiero, altra voglia di segnare un gol in più rispetto all'avversario senza fermarsi mai e senza tatticismi fini a se stessi, rispetto alla noia di una partita media della Serie A. Gunners e Sky Blues hanno offerto agli spettatori presenti nel meraviglioso stadio dell'Arsenal (e la cornice conta tantissimo per la piena riuscita dello spettacolo) e a chi, come me, li ha seguiti in televisione un match vibrante, pieno di capovolgimenti di fronte e di punteggio, ricchissimo di tecnica e di atletismo, corretto nonostante la velocità, teso ma mai nervoso. Poi, a prescindere dal risultato finale, diventa persino ovvio che, al fischio dell'arbitro, il pubblico si alzi tutto in piedi per applaudire i calciatori di entrambi le squadre. Non può esservi delusione da parte dei tifosi dell'Arsenal, per un pareggio casalingo contro i campioni d'Inghilterra; né da parte di quelli dei Citizens, usciti indenni da un campo insidioso. Ma, di fronte a tanta bellezza, il punteggio passa in secondo piano. E sono sicuro che i supporters di casa avrebbero applaudito convinti anche se la loro squadra fosse stata sconfitta, per l'impegno messo in campo dal primo all'ultimo minuto.
In Italia, dunque, invece di riempirci la bocca con chiacchiere fumose, perché - semplicemente - non impariamo come si fa calcio di vertice (da tutti i punti di vista) nell'anno di grazia 2014?

© RIPRODUZIONE RISERVATA

la nuova stagione calcistica e i ritardi di un'italia sempre più (ta)vecchia

Di Diego Del Pozzo

Con i lettori di Calciopassioni ci eravamo lasciati alla fine del Mondiale brasiliano, ormai due mesi fa, con le consuete pagelle e graduatorie del meglio e del peggio di un torneo che ha sancito il trionfo della Germania giovane e multietnica e il logico fallimento di un'Italia sempre più indietro nel calcio come in tutto il resto.
A dispetto di chi per un po' ci aveva sperato, la pausa estiva ha subito spazzato via tutti i buoni propositi di coloro che s'erano posti il problema di un ringiovanimento e rinnovamento, nelle logiche e nelle persone, del panorama calcistico italiano, per provare a seminare qualcosa su cui poi costruire un futuro migliore. In estate, invece, una serie di episodi emblematici ha fatto immediatamente comprendere che, anche nell'immediato futuro, nel Belpaese tutto resterà così com'è, anzi probabilmente peggiorerà, dato che all'estero, invece, non si fermano con le mani in mano a tutela delle loro piccole rendite di potere.
Così, in ordine sparso, ecco quanto accaduto finora:
1) Alla guida della Federcalcio è stato eletto il giovane settantunenne Tavecchio, sconosciuto oltre i confini, subito segnalatosi per una infelice battuta razzista prima di entrare in carica e per la depenalizzazione dei cori ultrà contro i napoletani come primo atto concreto della sua gestione;
2) A guidare la Nazionale orfana del Prandelli dimissionario-fuggiasco, il Tavecchio di cui sopra ha chiamato Antonio Conte, ottimo allenatore della Juventus tricampione d'Italia, ma anche personaggio coinvolto a più riprese nei recenti scandali del calcioscommesse, quando allenava il Bari e, soprattutto, il Siena: almeno, così, la Nazionale italiana non sarà più regolata dal codice etico, come avveniva in maniera molto ambigua col precedente commissario tecnico;
3) Lo stesso Conte, invece di approfittare del disastro brasiliano e svecchiare tutto, ha riconfermato il blocco juventino degli ultratrentenni, compreso Pirlo, già in retromarcia rispetto ai suoi propositi di dire addio alla maglia azzurra;
4) In una sola estate, anzi in pochi giorni, la Serie A ha perso altri giovani calciatori italiani di valore come Ciro Immobile, Mario Balotelli, Alessio Cerci, Bryan Cristante, non a caso acquistati da top club esteri come Borussia Dortmund, Liverpool, Atletico Madrid e Benfica, mentre in Italia approdavano decine di pedatori medi ultratrentenni pronti a sparare (forse) le loro ultime cartucce. Tra l'altro, con la partenza di Balotelli, la Serie A ha perso anche l'unica pop star calcistica italiana universalmente nota: e pure questo è impoverimento, almeno a livello di attenzione mediatica;
5) Il Napoli di Rafa Benitez s'è fatto eliminare inopinatamente dall'Athletic Bilbao nel preliminare agostano di Champions League, tra le polemiche dell'ambiente per una campagna acquisti non all'altezza da parte della società. A livello più generale di calcio italiano, ciò significa presentarsi al via del più importante torneo internazionale per club con sole due squadre, Juventus e Roma, meno del Portogallo, che ne schiera tre (Benfica, Porto e Sporting Lisbona).
6) La Serie B, cioè il secondo campionato professionistico nazionale, ha ufficializzato appena un giorno prima del via quale fosse la ventiduesima squadra partecipante, ripescata dalla nuova Lega Pro unica (un'indegna accozzaglia di 60 squadre divise in tre gironi).
Come conseguenza (anche) di tutto ciò, un semplice sguardo gettato, in queste prime settimane di attività ufficiale, a una partita di Premier League, di Liga o di Bundesliga e poi a una di Serie A fa comprendere nella sua amara evidenza quale sia il ritardo attuale - destinato ad aumentare - del calcio italiano nei confronti delle scuole calcistiche europee di primo livello, delle quali, fino a pochi anni fa, facevamo parte a pieno titolo. Oggi, evidentemente, non più.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

venerdì 18 luglio 2014

brasile 2014: a mente fredda, ciò che mi resterà del mondiale

Di Diego Del Pozzo

Ho fatto passare qualche giorno, in modo da permettere al chiacchiericcio mediatico post-finale mondiale di cessare una volta per tutte. Poi, ho provato a riflettere un po' più a mente fredda, seppur in breve, su ciò che mi resterà di Brasile 2014.
Ecco, così, la mia personalissima e parzialissima "top ten", stilata dal decimo al primo posto:
10) Il 5-1 col quale, di fatto, l'Olanda elimina la Spagna campione in carica già alla prima giornata della fase a gironi; 
09) I continui psicodrammi dei calciatori brasiliani e dell'intero ambiente verdeoro, tra pianti immotivati e/o esagerati, accuse risibili agli avversari per normali falli di gioco, finti infortuni da parte di presunti fuoriclasse precocemente trasformati in fenomeni mediatici; 
08) Il decisivo intervento difensivo in incredibile scivolata-spaccata di Javier Mascherano sul tiro di Robben allo scadere dei tempi supplementari della semifinale Argentina-Olanda: è come se il centrocampista dell'Albiceleste avesse segnato il gol decisivo per portare la sua squadra in finale; 
07) La parata allo scadere, da fermo e con un braccio solo, effettuata da Manuel Neuer in Germania-Francia su un tiro potentissimo di Benzema: su quella botta il portiere tedesco è parso realmente invincibile; 
06) La voglia di stupire il mondo (attraverso il bel gioco) mostrata dai giocatori dell'Algeria, nettamente la migliore tra le africane presenti in Brasile; 
05) La puntualità quasi sacchiana della tattica del fuorigioco applicata dalla difesa della Costa Rica, allenata ottimamente dal colombiano Jorge Luis Pinto; 
04) La consacrazione globale del trequartista colombiano James Rodriguez, nettamente il miglior giocatore di Brasile 2014, oltre che il capocannoniere (con 6 gol) e l'autore della rete più bella (stop di petto e sinistro al volo da 20 metri contro l'Uruguay); 
03) La mossa psicologica di Louis Van Gaal, che sullo scadere dei supplementari del quarto di finale con la Costa Rica sostituisce il portiere titolare Cillessen con la riserva Krul, spacciata come pararigori: il cambio intimidisce i centroamericani e manda l'Olanda in semifinale; 
02) L'umiliazione pubblica alla quale viene sottoposto (involontariamente?) Leo Messi al termine della finale persa dall'Argentina 1-0 con la Germania, quando la Fifa pensa bene di premiarlo come miglior giocatore del torneo, in maniera immeritata nella percezione dello stesso Leo (glielo si legge negli occhi), in ossequio a un "politically correct" goffo e immotivato; 
01) Il Mineiraço (dal nome dello stadio Mineirão di Belo Horizonte, teatro del match), cioè l'incredibile vittoria per 7-1 della Germania sul Brasile padrone di casa, in una versione men che mediocre, ottenuta durante una semifinale che rimarrà nella storia di questo sport e non solo, forse persino più del celeberrimo Maracanaço del 1950 contro l'Uruguay.
 © RIPRODUZIONE RISERVATA
 
Brasile - Germania 1-7

martedì 15 luglio 2014

brasile 2014: i miei top & flop mondiali

Di Diego Del Pozzo

Il Mondiale brasiliano è finito da due giorni, tutti noi calciofili-calciomani ci stiamo riabituando a vivere secondo ritmi più normali, il motivetto-tormentone di Emis Killa ci risuona ancora nelle teste, ci è rimasto dentro lo sguardo perso nel vuoto di Leo Messi dopo il fischio finale del match decisivo che ha laureato la Germania campione del mondo per la quarta volta e che, soprattutto, ha sancito l'impossibilità da parte della Pulga di avvicinare il mito-ossessione di Diego Armando Maradona.
James Rodriguez esulta dopo aver segnato il gol più bello del Mondiale.
Siamo negli ottavi di finale e la sua Colombia batte 2-0 l'Uruguay
Così, ecco qui i miei "Top & Flop" di Brasile 2014, un torneo che - al netto di alcuni eccessi da globalizzazione plastificata politicamente corretta - mi ha lasciato tante buone sensazioni e, dopo i veleni della stagione del calcio di club, mi ha in qualche modo riconciliato con l'essenza del gioco.

Top 11
Questa, dunque, è la rosa ideale (22 giocatori) di Brasile 2014 secondo "Calciopassioni", con la formazione titolare schierata col 4-2-3-1: Neuer (Germania); Lahm (Germania), Kompany (Belgio), Hummels (Germania), Blind (Olanda); Mascherano (Argentina), Schweinsteiger (Germania); Robben (Olanda), Rodriguez (Colombia), Messi (Argentina); Müller (Germania). In panchina: Navas (Costa Rica); Zúñiga (Colombia), Marquez (Messico), Garay (Argentina), Rojo (Argentina); De Bruyne (Belgio), Inler (Svizzera); Mertens (Belgio), Kroos (Germania), Di Maria (Argentina); Van Persie (Olanda). Allenatore: Jorge Luis Pinto (Costa Rica).

Top individuali
Miglior giocatore: James Rodriguez (Colombia);
Miglior giovane (a pari merito): Memphis Depay (Olanda) e Divock Origi (Belgio);
Miglior portiere: Manuel Neuer (Germania);
Miglior difensore: Philipp Lahm (Germania);
Miglior centrocampista: Javier Mascherano (Argentina);
Miglior attaccante: Thomas Müller (Germania);
Miglior allenatore: Jorge Luis Pinto (Costa Rica).

Flop 11
E questa è la mia formazione composta dalle delusioni più cocenti di Brasile 2014, sempre schierata col 4-2-3-1: Akinfeev (Russia); Dani Alves (Brasile), Piqué (Spagna), David Luiz (Brasile), Chiellini (Italia); Luiz Gustavo (Brasile), Gerrard (Inghilterra); Rooney (Inghilterra), Oscar (Brasile), Hazard (Belgio); Balotelli (Italia). Allenatore: Prandelli (Italia).
Ps: Neymar non esiste davvero. Invece, Cristiano Ronaldo per me non è giudicabile, perché in pratica ha giocato da infortunato, semplicemente per amor di patria.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

lunedì 14 luglio 2014

brasile 2014: germania campione del mondo, ma brava argentina

Di Diego Del Pozzo

La Germania è campione del mondo
Chiariamo subito una cosa: la Germania merita il titolo di campione del mondo conquistato in Brasile, per quanto seminato in questi anni e, al tempo stesso, per ciò che ha espresso nel corso del Mondiale, dove ha mostrato un calcio veloce, tecnico, sempre propositivo, realizzato da una squadra giovane e decisamente compatta, che tra le altre cose ha saputo giovarsi della continuità di un progetto tecnico-tattico unico per durata nell'attuale panorama delle rappresentative nazionali, con Joachim Löw seduto sulla panchina da ben otto anni consecutivi. La Germania, inoltre, ha messo in mostra alcune tra le migliori individualità del torneo un po' in tutti i ruoli, dal portiere-superman Manuel Neuer al capitano terzino destro tuttofare Philipp Lahm, dal sontuoso difensore centrale Mats Hummels al cervello+corsa+muscoli di Bastian Schweinsteiger fino all'attaccante multiuso Thomas Müller: tutti e cinque inclusi, senza alcun dubbio, nella mia Top 11 (e non soltanto nella mia) di Brasile 2014.
Detto ciò, però, sono rimasti certamente delusi tutti coloro che, con molta superficialità e scarsa conoscenza delle reali forze in campo, si aspettavano un nuovo massacro calcistico anche in finale ai danni dell'Argentina, dopo lo storico 7-1 inflitto in semifinale dai tedeschi a una Seleção ridicola come pochissime altre volte nella sua storia.
Il gol decisivo di Mario Götze al 113'
Sul terreno di gioco del Maracanã, infatti, l'Albiceleste tiene testa alla Germania fino a 7 minuti dalla fine del secondo tempo supplementare, quando il subentrato Mario Götze realizza il bel gol del decisivo 1-0 sull'unica indecisione di una difesa argentina fino a quel momento semplicemente perfetta. Nel corso dei 120 minuti di gioco, anzi, i sudamericani sfiorano il vantaggio in molte più occasioni, rispetto ai loro avversari, tirando di più verso la porta avversaria e mettendo per almeno tre volte un attaccante da solo in area davanti a Neuer. Purtroppo, però, prima Higuain, poi Messi e nel finale Palacio falliscono clamorosamente le chance a loro disposizione. E, in un torneo equilibratissimo e fatto di dettagli, se non segni quando ne hai l'opportunità poi perdi.
L'Argentina mette il match sul piano che le è più congeniale, ritraendosi nella propria metà campo in modo da farsi attaccare dalla Germania, lasciandole un'iniziativa che si rivela piuttosto sterile, pronta però a rompere le trame di gioco avversarie grazie all'onnipresente Mascherano (il vero capitano e leader della squadra) e a ripartire in velocissimi contropiede affidati soprattutto a un Lavezzi in stato di grazia, migliore in campo nel primo tempo, prima dell'inspiegabile sostituzione nell'intervallo da parte di Sabella, a favore di un Aguero ancora lontano dalla forma ottimale. In quanto all'attesissimo Leo Messi, va decisamente a sprazzi, concedendosi tante (troppe) pause, come in tutta la seconda parte del Mondiale brasiliano (quella a eliminazione diretta, dove non ha mai segnato né inciso): si lancia, sì, in alcune discese palla al piede e si rende pericoloso in un paio di occasioni, ma fa mancare totalmente la propria (molto presunta) leadership, nascondendosi anzi tra le pieghe della gara. Tra l'altro, vomita nuovamente tra primo e secondo tempo (è l'ottava volta in pochi mesi) e il sospetto che non possa trattarsi soltanto di stress s'affaccia in maniera sempre più insinuante e preoccupante. E il trofeo per il miglior giocatore del Mondiale, consegnatogli al fischio finale e ritirato con un'espressione mista di scoramento e umiliazione, non ha alcuna reale motivazione tecnica e, anzi, sa soltanto di presa in giro politicamente corretta che la FIFA avrebbe potuto senz'altro evitare.
In nazionale Messi delude ancora una volta: e Maradona resta lontano
La Germania tiene saldo il possesso della palla e della partita, ma nel concreto preoccupa pochissimo la difesa argentina, guidata ottimamente da un ringiovanito Demichelis e da Garay, supportati da Mascherano e, ai lati, dagli efficaci terzini Zabaleta e Rojo. I pericoli per Romero si riducono al palo colpito da Höwedes di testa su calcio d'angolo allo scadere del primo tempo e a un paio di iniziative di Schürrle e Müller, mentre, come detto, dall'altra parte, le occasioni sprecate hanno del clamoroso. La gara è intensa e vibrante, pur senza raggiungere i picchi di spettacolo di altre precedenti. Qui, infatti, il vero spettacolo arriva dai duelli a centrocampo tra i due leader emotivi delle rispettive nazionali: Schweinsteiger e Mascherano.
Certo, col senno di poi e regolamento alla mano, sarebbe interessante capire come abbia potuto l'arbitro italiano Rizzoli non fischiare il durissimo intervento falloso di Neuer su Higuain, nel quale l'attaccante del Napoli (travolto sulla linea dell'area di rigore, peraltro) rischia seriamente l'incolumità fisica, vedendosi a sua volta fischiare - la beffa oltre al danno - un inesistente fallo che rovescia letteralmente la dinamica di un'azione che, invece, avrebbe potuto essere determinante per il prosieguo di un match equilibratissimo. Non a caso, oggi i media argentini paragonano Nicola Rizzoli al messicano Codesal, colui che a Italia '90 assegnò il discusso rigore decisivo nella precedente finale persa sempre contro la Germania ("Il Codesal italiano" è il commento più gentile su di lui).
In definitiva, dunque, la Germania merita il titolo di campione del mondo più per il complesso del suo Mondiale che per quanto espresso ieri nell'atto finale, dove a tratti mostra addirittura una certa superficialità abbinata a un pizzico di presunzione (si veda, quasi a inizio match, il retropassaggio di un distratto Kroos, che mette l'incredulo e non pronto Higuain solo davanti a Neuer). L'Argentina, invece, durante la finale mette in campo la consueta grinta e voglia di prevalere a tutti i costi, ma se la sua stella (Messi) e il suo centravanti titolare (Higuain) falliscono la prova con tanto clamore (soprattutto il primo), allora diventa davvero difficile superare una squadra forte come la Germania. Magari, chissà, se fosse riuscito a recuperare dal suo infortunio Angel Di Maria le cose avrebbero potuto prendere un'altra piega. Ma, come scritto all'inizio, al fischio finale si ha la sensazione che, nell'anno di grazia 2014, il titolo di campione del mondo non sarebbe potuto andare a una nazionale più meritevole dell'ancora giovane Germania di Joachim Löw, probabilmente destinata a crescere ulteriormente.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

domenica 13 luglio 2014

brasile 2014: ogni quattro anni diventiamo più vecchi

Di Christiano Presutti e Wu Ming 3
(il manifesto, 13 luglio 2014)

Cosa dici di un Mon­diale che occulta mas­sa­cri e con­flitti sparsi da un polo all’altro del globo? Cosa dici di un Mon­diale che non esce dalle prime news dei cir­cuiti inter­na­zio­nali, nono­stante nel frattempo: in Iraq, verso cui par­timmo più di 10 anni fa recando doni e demo­cra­zia, venga proclamato il Calif­fato; al con­fine russo-ucraino e nelle regioni sot­to­stanti avven­gano ese­cu­zioni, cac­cia etnica, pogrom e una guerra spon­so­riz­zata Ue; in Medio oriente un ter­ri­bile mas­sa­cro sia in corso a Gaza sotto i bom­bar­da­menti dell’aviazione israe­liana. Cosa dici di un Mon­diale così, che annega i con­flitti e le domande del Paese che lo ospita nella pace armata delle mili­zie colo­niali Fifa?
Beh, intanto cominci con l’ammettere che l’hai seguito. Tutto.
Per­ché è que­sto il fùt­bol, oggi. Un’enorme con­trad­di­zione pian­tata nel cuore degli appas­sio­nati. Che ti fa guar­dare le pode­rose discese sulla fascia di Serge Aurier della Costa d’Avorio senza pen­sare alle por­che­rie del Colon­nello dell’esercito del Pro­fitto e dello Sfrut­ta­mento glo­bale dal nome Joseph Blat­ter. O sob­bal­zare alla sci­vo­lata del Capo (Jefe) Masche­rano che sventa un gol fatto e toglie la finale a Rob­ben, maglia olan­dese e nome che ci ricorda la pri­gio­nia di Mandela.
Che rende il «moz­zi­ca­tore» Sua­rez noto all’universo intero.
Che ti fa notare, la sera del mas­sa­cro, l’occhio da omi­cida seriale di Toni Kroos, appena segnato il tre a zero. Vede i «gialli» cotti e smar­riti, e riparte sulla palla al cen­tro, va a strap­parla dai piedi di Luiz Gustavo e fa il quarto meno di 20 secondi dalla ripresa del gioco.
O ancora Pirlo, fine primo tempo con la Costa Rica, che tira appo­sta una puni­zione alla cazzo perché Balo­telli gli ha rivolto una frase, e vale più di una con­fe­renza stampa far­locca del sopravvalu­tato ct.
Che ti fa alzare in piedi, a casa da solo, al sublime stop di petto e sini­stro all’incrocio del favo­loso James Rodri­guez. E il palo caram­bo­lato di Dze­maili e la tra­versa super­so­nica di Pinilla all’ultimo degli ultimi secondi e cam­bia il destino e i forti, i potenti, ancora una volta vin­cono e - come ti sbagli - «il cane moz­zica lo strac­ciato». E lo strac­ciato in que­sto caso è sem­pre Pinilla.
Oppure gron­dare ammi­ra­zione per la spet­ta­co­lare difesa della Costa Rica e del suo alle­na­tore Pinto, prof colom­biano di edu­ca­zione fisica, che mette in fuo­ri­gioco gli avanti avver­sari più del dop­pio delle volte di qual­siasi altra squa­dra. Una linea, dritta e armo­nica, che ha messo in crisi i due continenti ege­moni. E il men­ta­li­sta Aloi­sius Van Gaal che per venirne a capo s’inventa la mossa del por­tiere, riu­scendo a inver­tire una sto­rica tra­di­zione con­tra­ria nei rigori per poi subirne il contrappasso in quella successiva.
Fre­mere per Hal­li­che, tosto cen­trale dell’Algeria che porta ai sup­ple­men­tari le schiere teu­to­ni­che. Per le mano­vre sinuose del Mes­sico, squa­dra ela­stico, palla avanti palla indie­tro, piedi sapienti. Per gli inscal­fi­bili «bassi» cileni che anda­vano a cento all’ora non per bal­lare lo ye ye.
Cer­care un modo (Twit­ter?) per spie­gare a Ney­màr e Balo­telli che se ogni par­tita passi 40 minuti per terra, poi quella fini­sce e tu perdi.
Rima­nere sgo­menti di fronte al per­fetto Neuer, miglior gio­ca­tore del tor­neo in due ruoli diversi: portiere e cen­trale di difesa.
E poi sti­lare - San De André pro­teg­gici - la formazione-molotov da eterni bam­bini ormai vec­chi di quelli che qual­cuno lo vedre­sti volen­tieri nella tua squadra.
Spe­rare che sta­sera il mira­colo lo fac­cia Angelo Di Maria, il pre­scelto, l’unico che può scal­fire il cemento armato.
Con­sta­tare, attra­verso il Mon­diale, il defi­ni­tivo dis­sol­versi della Rai, azienda ege­mone come nes­suna lo fu, ormai ridotta a cir­colo par­roc­chiale. Leg­gere, sui media che rac­con­tano il Mon­diale, la para­bola ita­lica di un tec­nico medio­cre prima incen­sato in coro una­nime privo di senso e di meriti, grondante reto­rica d’accatto adesso figlia di nes­suno, con i lau­da­to­res che ora rin­ghiano aggressivi.
Il Mon­diale è il Mon­diale è il Mon­diale, ogni quat­tro anni, diven­tiamo più vec­chi, e il pros­simo in Rus­sia, e quello dopo in Qatar e poi ancora su Marte. E lo guar­de­remo anche da lì, con le imma­gini sfo­cate e dif­fe­rite, per non per­derci l’esordio imper­di­bile di una fre­ne­tica, fan­ta­stica, squa­dra di cui si parla molto, fatta tutta di super tec­nici omini verdi.

giovedì 10 luglio 2014

brasile 2014: la finale sarà germania-argentina, dopo le semifinali shock

Di Diego Del Pozzo

Dopo quasi un mese di abbuffata calcistica, saranno Germania e Argentina a contendersi il titolo di campione del mondo, domenica sera, nella cornice unica dello stadio Maracanã di Rio de Janeiro. E, al di là del tifo e delle personali predilezioni o idiosincrasie, si può certamente affermare con convinzione che, all'atto finale del Mondiale brasiliano, stavolta arrivano le due nazionali più meritevoli e più forti, dal punto di vista tecnico e mentale, dell'intero panorama internazionale.
Il primo gol di Schurrle: e sono sei!
La Germania allenata da 8 anni da Joachim Löw raccoglie quanto seminato da un decennio a questa parte e si presenta al match decisivo sull'onda apparentemente inarrestabile del clamoroso 7-1 rifilato al malcapitato Brasile di Felipão Scolari in una semifinale apparsa da subito senza storia ma che, invece, alla storia passerà come la più pesante sconfitta della Seleção in una partita ufficiale e in una giocata in casa propria. Da parte sua, invece, l'Argentina guidata dal sottovalutato tecnico Alejandro Sabella suda le proverbiali sette camicie per avere la meglio su un'Olanda che conferma ancora una volta i pregi e i difetti già evidenziati nel corso dell'intero torneo. Abilissima a distruggere il gioco avversario e ad anestetizzarne le fonti, infatti, la squadra del "diabolico" Louis Van Gaal contribuisce largamente allo spettacolo noioso e a tratti persino avvilente che va in scena a San Paolo, dove uno 0-0 ovvio - per quanto visto in campo, non per il potenziale dei due team - resiste fino al termine dei tempi supplementari, col 4-2 finale che premia l'Albiceleste concretizzatosi soltanto dopo i calci di rigore.
Ma è meglio ripercorrere con qualche dettaglio in più tutte e due le semifinali.

Disperazione brasiliana
Brasile - Germania 1-7
Il match di Belo Horizonte fa parte di quegli eventi storici che, tra 50 anni, faranno dire a chi vi ha assistito in diretta: "Mi ricordo di quella sera in cui la Germania distrusse il Brasile 7-1 in casa sua...".
Sì, perché quanto accade nella prima semifinale mondiale ha davvero dell'incredibile, con i padroni di casa umiliati dai tedeschi come una squadretta di dilettanti qualsiasi. Dopo mezz'ora, il tabellone indica già 0-5, con gli uomini di Löw che, appena recuperano palla, scendono a folate verso l'area di rigore avversaria, tagliano la difesa verdeoro come lame nel burro e depositano immancabilmente in rete, quasi indisturbati da un assetto difensivo ridicolo, non giustificabile nemmeno con la pur grave assenza di capitan Thiago Silva per squalifica.
La grande gioia tedesca
Nei primi 20 minuti del secondo tempo, addirittura, i tedeschi si fermano letteralmente, permettendo ai brasiliani di tirare ripetutamente in porta, in modo da far allenare un po' anche il fino a quel momento disoccupato portierone Manuel Neuer. In realtà, infatti, per lunghi tratti pare davvero di assistere a un allenamento defatigante di metà settimana, con i padroni di casa mai visti in una versione così vergognosa. Terminata senza danni anche la sessione di training di Neuer, la Germania riprende ad attaccare, semplicemente perché qualcosa deve pur fare, in attesa che arrivi il novantesimo. E gli altri due gol di André Schürrle (dopo quelli del primo tempo, in rapida sequenza, di Müller, Klose, da quel momento miglior marcatore nella storia dei mondiali, Kroos due volte e Khedira) sono l'inevitabile conseguenza della leggera accelerata finale tedesca, che peraltro avrebbe potuto produrne ancora altri e, invece, concede proprio sul fischio finale la marcatura della bandiera al pallido Oscar, il quale fissa il punteggio su un fantascientifico 1-7 che i brasiliani non dimenticheranno mai. Altro che Maracanazo!
In vista della finale, la Germania è brava, matura, forte di testa oltre che nella tecnica, dunque non dovrebbe correre il rischio di sopravvalutare il risultato roboante della semifinale. Il Brasile di questo Mondiale, infatti, è apparso subito come inadeguato e, con ogni probabilità, in un torneo giocato altrove sarebbe stato eliminato già al primo turno da Messico e Croazia. Con la solida Argentina sarà tutta un'altra storia. Ma questo la Germania lo sa.

Sergio Romero festeggia dopo i rigori
Olanda - Argentina 0-0 (2-4 dopo i calci di rigore)
Nella seconda semifinale mondiale, lo spettacolo è di tutt'altro tenore. Quelle allenate da Van Gaal e Sabella, infatti, sono due squadre molto consapevoli dal punto di vista tattico, arcigne, esperte, anche se dotate di parecchie individualità di spicco (non sempre impiegate al meglio...). La partita è equilibratissima, inevitabilmente brutta e bloccata, come quasi sempre in questo torneo quando ci sono di mezzo gli Oranje. Il 5-3-1-1 olandese chiude tutti i varchi ai solisti argentini, mentre dall'altra parte l'assenza di un tuttofare imprevedibile e talentuoso come Angel Di Maria si sente più del dovuto, nonostante la buona prova tutta corsa e sostanza del suo sostituto Enzo Perez. A centrocampo giganteggia il leader nato Javier Mascherano, che imposta la propria manovra, contrasta e pressa, distrugge le trame altrui, senza mai fermarsi per un solo secondo. In fascia, Lavezzi sgomma e percorre i consueti chilometri, mentre Higuain e Messi appaiono un po' fuori tono o, forse, soffrono la vigoria della difesa olandese, nella quale si distingue in positivo il centrale Ron Vlaar e in negativo il solito Martins Indi, opportunamente sostituito da Van Gaal all'intervallo.
Il penalty segnato da Leo Messi
Le occasioni da gol restano poche per tutto il match, con le due squadre più concentrate sugli aspetti agonistici piuttosto che su quelli strettamente tecnico-spettacolari. E nemmeno il cambio di modulo di Sabella nel secondo tempo, con gli ingressi offensivi di Palacio e Aguero al posto di Perez e Higuain, produce troppi scossoni al nervoso tran tran destinato ad approdare alla soluzione dagli undici metri. Qui, però, Van Gaal si risparmia l'effetto-placebo di Krul al posto del titolare Cillessen, poiché gli argentini non si sarebbero certo fatti intimidire da simili giochetti, come accaduto nei quarti ai meno esperti costaricani. Invece, sull'altro fronte, sale in cattedra l'estremo difensore dell'Albiceleste, Sergio Romero, che para i penalties di Vlaar e Wesley Sneijder, valorizzando le perfette realizzazioni dei compagni Messi, Garay, Aguero e Maxi Rodriguez.
Così, sul suolo brasiliano ancora fresco di profanazione teutonica, l'Argentina si toglie la soddisfazione immensa di andare a giocarsi la finale mondiale contro la fortissima Germania nel tempio carioca del Maracanã, in quello che, dopo i due precedenti di segno opposto del 1986 e 1990, si preannuncia un vero e proprio spareggio iridato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

brasile 2014: elogio di javier mascherano

Di Diego Del Pozzo

"Oggi è il tuo giorno, oggi diventi un eroe. Hai capito?": con queste parole, Javier Mascherano carica il portiere dell'Argentina, Sergio Romero, al termine dei tempi supplementari della semifinale mondiale di ieri sera contro l'Olanda.
Mascherano parla alla squadra, prima dei rigori
Intorno a lui, i volti dei compagni sono stremati dalla fatica, ma "El Jefecito" - e non è un caso che lo chiamino così - si trasforma in vero e proprio allenatore in campo e arringa il resto della squadra prima del momento decisivo che dovrà portare l'Albiceleste in finale 24 anni dopo Maradona.
L'intervento decisivo in scivolata su Robben
Poco prima, allo scadere dei supplementari, lo stesso Mascherano - miglior centrocampista di questo Mondiale, anche secondo le statistiche - aveva salvato in scivolata su Robben un gol quasi fatto, ennesimo intervento decisivo di un match condotto con leadership e carisma da capitano vero (anche se la fascia sul braccio la porta Messi) dal primo all'ultimo secondo.
Messi e Mascherano: chi è il vero leader?
Nella Selecciòn, come in qualunque squadra nella quale abbia giocato, Javier diventa in maniera naturale il punto di riferimento per i compagni e l'allenatore. In campo, dà ordine alla manovra con una tecnica discreta ma una comprensione del gioco mostruosa e una enorme duttilità tattica. Imposta l'azione con lanci lunghi o passaggi brevi filtranti, pressa chiunque si muova, distrugge costantemente le azioni offensive avversarie. Da qualche anno, sa rendere con grande profitto anche da difensore centrale in linee a tre (da libero 2.0) o a quattro. In pratica, è una sorta di Daniele De Rossi all'ennesima potenza. E la fascia di capitano della nazionale l'ha ceduta lui a Leo Messi, per far sentire più importante e coinvolto il compagno anche quando indossa la camiseta albiceleste.
Nel momento del trionfo, i compagni corrono ad abbracciare "El Jefecito"
A parte il tifo "interessato" per il "Pipita" Higuaìn, dunque, è anche o soprattutto per giocatori come Mascherano che domenica sera sosterrò senza indugi l'Argentina. E spero sia definitivamente chiaro, anche ai più distratti, perché Rafa Benitez ha fatto di tutto, negli ultimi due anni, per portare Javier con sé a Napoli. Purtroppo, senza riuscirci...
Ps: E Diego Armando Maradona, oggi, scrive giustamente sul suo sito: "Quando dissi che la mia squadra era composta da Mascherano più altri dieci, molti sorrisero...".
 © RIPRODUZIONE RISERVATA