sabato 28 febbraio 2009

mentalità vincente

Di Diego Del Pozzo

Nel mondo del calcio e, più in generale, dello sport si parla spesso del rischio dell'appagamento dopo le grandi vittorie e di una presunta difficoltà a mantenere viva la mentalità vincente per lunghi periodi, senza accusare cali di concentrazione e "sazietà" per i risultati già conseguiti.
Questo pericolo, tuttavia, può esistere per quegli atleti e quelle squadre che arrivano al successo in modo più o meno casuale e che, dunque, non riescono poi a gestire correttamente le conseguenze di tale successo.
Certamente, tornando allo specifico del calcio, tutto ciò non può essere vero nel caso di un team come il Manchester United di sir Alex Ferguson.
Ebbene, se io fossi stato un tifoso dell'Inter, mi sarei sinceramente spaventato ascoltando, ieri pomeriggio, le parole di Gary Neville, pronunciate durante un'intervista andata in onda all'interno del consueto magazine settimanale "Premier League World" (trasmesso per l'Italia da Sky Sport 1). Neville, infatti, è il capitano del Manchester United che negli ultimi quindici anni ha vinto praticamente tutto; assieme a Ryan Giggs e a Paul Scholes, inoltre, è un autentico simbolo di questa grande squadra, nonché anima dello spogliatoio e coscienza del gruppo.
Cosa ha detto, allora, di tanto spaventoso - per gli avversari - l'ancora ottimo terzino destro dello United? A domanda precisa sui recenti trionfi della sua squadra - che lo scorso anno ha vinto Premier League, Champions League e Mondiale per club - ha semplicemente risposto così: "Francamente, ormai, sono ricordi lontani. Non appartengono nemmeno a quest'anno. E' ovvio - ha proseguito - che siamo contenti di aver vinto il Mondiale per club, ma sappiamo tutti che quei trofei appartengono al passato. Noi, infatti, non parliamo quasi mai dei successi delle stagioni precedenti. Negli ultimi quindici anni - ha concluso l'insaziabile Neville - ci è andata bene, ma la cosa più importante è sempre vincere altri trofei nei prossimi tre-quattro mesi".
Come dire? A buon intenditor...

venerdì 27 febbraio 2009

un bel libro su evaristo beccalossi


Il solito amico cinefilo e interista mi ha segnalato un bell'articolo, uscito qualche giorno fa - per la precisione domenica 22 - sul quotidiano "Il Mattino". Si tratta della consueta rubrica settimanale "La domenica dello sciagurato", tenuta sul giornale partenopeo dall'ottimo Giorgio Porrà, rifacendosi allo stile della sua celebre e mai dimenticata trasmissione televisiva "Lo sciagurato Egidio". Ripropongo qui di seguito, anche per i lettori di Calciopassioni, questo bel pezzo di giornalismo, che al contempo è una interessante recensione libraria. (d.d.p.)
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Le magie di Beccalossi. "Io, l'ultimo egoista"
Di Giorgio Porrà
(Il Mattino - 22 febbraio 2009)
All’asilo era l’unico ad indossare il grembiule senza fiocco, la madre non faceva in tempo a sistemarglielo attorno al colletto che lui se lo era già infilato in tasca. Era già un solista. Minuto, gracilino, ma con il destino già tracciato. Sivori era il suo sole. Perché era un ribelle e giocava coi calzettoni abbassati. E perché con il piede sinistro faceva quello che voleva. Al piccolo Evaristo bastò una giocata vista in tv, palla accarezzata con la suola, dribbling secco, zampata assassina, per subirne la diabolica seduzione. Nessuno riusciva a metter giù l'argentino, nessuno era in grado di fermare quel discolo riccioluto. Troppo forte, anche per i ragazzi più grandi. Quando quelli miravano alle caviglie, lui e la palla erano già in viaggio sull’astronave della fantasia. È cominciata così l’avventura calcistica di Beccalossi, genialoide degli anni Ottanta, il cui calcio fuori dagli schemi ha ispirato canzoni e monologhi, diviso gli intellettuali, incendiato i polemisti. Ora anche un libro, «Mi chiamo Evaristo» (Bevivino editore), scritto da Luca Pagliari, che racconta l’ascesa del talento bresciano dalle partitelle di quartiere allo scudetto del 1980. «Evaristo arrivò all’Inter mentre negli occhi dei tifosi erano ancora impresse le prodezze di Mariolino Corso - ricorda Massimo Moratti nella prefazione - Beccalossi, nonostante l’inevitabile raffronto, non deluse le aspettative e fu all’altezza della situazione. Il suo talento e la sua creatività, per chi ebbe la fortuna di vederlo all’opera, rappresentano un qualcosa da conservare nella memoria». E di imprese del Becca da ricordare, nelle sue stagioni nerazzurre, ce ne sono davvero a bizzeffe. Comprato dal presidente Fraizzoli, che lo strappò in extremis al Genoa, il 22enne di San Polo sbriciolò in un lampo lo scetticismo di chi non si fidava del suo istinto anarchico. Merito anche di Eugenio Bersellini, il tecnico di ferro che si occupò dello svezzamento milanese, che prima di godersi le sue giocate pensò bene di metterlo a dieta, facendogli subito perdere 5 chili con un durissimo programma di footing in mezzo ai boschi. Tirata a lucido, la matricola Beccalossi stregò San Siro alla prima uscita, davanti al Vicenza di Paolo Rossi. Un po’ d’emozione, poi lo spettacolo. «Evaristo non c’era. Non riusciva a guardare il campo, aveva occhi solo per quelle gradinate nerazzurre esagerate e terrorizzanti che lo sovrastavano. Poi iniziò a giocare, a divertirsi, a rovesciare gli schemi come accadeva in mezzo alla polvere dell’oratorio. Realizzò il primo gol scavalcando in accelerazione tre sentinelle avversarie, giunto al limite dell’area, prima di affrontare il quarto uomo, calciò di destro infilando perfettamente l’incrocio dei pali». Rotto il ghiaccio, fabbricò il suo percorso di gloria. O quasi. Con la sua difesa, per esempio, faticò a trovare il giusto feeling. Restano memorabili certi litigi in campo con Graziano Bini, storico libero dell’Inter, detto anche Brontolo. Poi arrivarono i capolavori nei derby, quelli che lo consacrarono «il tramite con l’impossibile». Ad Albertosi, sotto un acquazzone, rifilò una doppietta da cineteca, nonostante la guardia di ben quattro carcerieri: Maldera, De Vecchi, Buriani e Minoia. Il primo graffio fu un vero prodigio. «Pasinato tra un mare di schizzi spedì la palla a mezz’altezza nel cuore dell’area, Evaristo finse di calciare di sinistro, invece roteò leggermente il busto e con il piatto destro, al volo, indirizzò la palla nell’angolo più lontano della porta». Solo Bearzot non si lasciava incantare. Restava perplesso davanti allo stile del Becca, davanti a «quella danza antica perennemente sospesa tra successo e fallimento». Sui giornali scatenarono l’inferno. Bearzot definì l’interista un mezzo giocatore senza coraggio e carattere, bravo a far tunnel e a divorare le energie dei compagni. Beccalossi replicò: «Finalmente Bearzot ha detto la verità, non mi può sopportare». La storia si sarebbe poi preoccupata di acquietare entrambi, regalando al ct la gloria spagnola, consegnando il Becca alla dimensione poetica. «Io sono l’ultimo egoista - canta Ruggeri - perché sono un fantasista, faccio quello che vorreste fare voi».
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Il libro "Mi chiamo Evaristo" di Luca Pagliari racconta la storia di Evaristo Beccalossi, fantasista dell'Inter degli anni Ottanta e autentica icona dei tifosi nerazzurri e non soltanto. Pochi calciatori rappresentano come lui il concetto di "genio e sregolatezza". Amato e criticato, Evaristo resta l'emblema di un calcio romantico fatto di cuore e invenzioni. Non si tratta di un libro per addetti ai lavori o per i soli amanti del calcio, ma della fotografia di un'epoca che sembra infinitamente lontana: Evaristo, figlio di operai che va ad allenarsi con la "Graziella" e il papà che lo va a riprendere con la Fiat 128, piegando la bici e caricandola nel bagagliaio; Evaristo sempre e comunque fuori dagli schemi, col suo amore per la Ferrari e l'amicizia con Gilles Villeneuve; gli aneddoti infiniti dello spogliatoio; e poi gli amici di oggi, da Enrico Ruggeri al comico Paolo Rossi, da Roberto Mancini a Lele Oriali.
Luca Pagliari, Mi chiamo Evaristo, Bevivino Editore - 208 pagine, 15 euro.

pensiero della settimana: a pallonate...

Di Diego Del Pozzo

Non è stato certamente bello, martedì sera in Champions League, vedere la rappresentante più qualificata del calcio italiano attuale essere presa letteralmente a pallonate, per di più a domicilio, dal Manchester United, che nella prima mezz'ora della partita contro l'Inter avrebbe potuto tranquillamente portarsi sul 3-0, senza sforzo apparente. Dopo questa sfuriata, anche dimostrativa, i Red Devils si sono limitati a controllare il match, senza mai rischiare nulla.
Per l'ennesima volta, dunque, questa Inter ha dimostrato i suoi enormi limiti, anzitutto caratteriali, in campo internazionale, così come la sua presunta stella più luminosa, Zlatan Ibrahimovic, ancora una volta assente ingiustificato quando, invece, avrebbe dovuto fare la differenza.

giovedì 26 febbraio 2009

sconcerti: atto primo al calcio inglese


Ecco, dal sito del Corriere della Sera, il commento di Mario Sconcerti dedicato all'andata degli ottavi di finale di Champions League e al triplice confronto tra calcio italiano e inglese. (d.d.p.)
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Atto primo al calcio inglese
Di Mario Sconcerti
(Corriere della Sera - 26 febbraio 2009)
Il primo tempo lo vincono gli inglesi, due vittorie in casa contro Roma e Juve, un pareggio esterno a San Siro. Nessun gol segnato dalle squadre italiane, ma anche gli inglesi vanno lentamente, due reti in tutto. C'è stato molto rispetto reciproco e buon tatticismo. Sono finiti i tempi in cui gli inglesi battevano palla lunga e aspettavano il colpo di testa. Oggi giocano benissimo la palla, meglio di noi, che invece abbiamo forse qualche valore assoluto in più. L'italiana più convincente è stata la Juventus battuta dal Chelsea.
A conferma di una prudenza di fondo, di un atteggiamento sempre tattico e mai decisamente offensivo, né Buffon né Cech hanno avuto molto da fare. Nessuno ha tirato seriamente in porta. Anche questa è stato uno 0-0 interrotto da una magia di Kalou per Drogba. Il risultato della Juve è meno importante di come la squadra ha invece tenuto il campo. La Roma con l'Arsenal ha perso con lo stesso punteggio, ma subendo spesso l'avversario e senza portare a sua volta grandi pericoli. Difficile dire quante possibilità abbiamo ora di ribaltare i risultati. Non ci è mai stato chiaro contro chi giocavamo. Gli inglesi sono i migliori perché i più ricchi e i più indebitati. Hanno giocatori straordinari e collaudati. Sarebbe già molto giocarci contro alla pari.
La cosa che ha più stupito in questi due giorni di Champions è stata la facilità, la compostezza, quasi la naturalità con cui il Manchester United ha prima dominato e poi controllato l'Inter. In Italia da tre anni l'Inter non ha avversari. Tutto il meglio del nostro calcio è stato dal primo minuto avvolto dal passing game degli inglesi e non è riuscito a produrre un solo tiro in porta, una sola vera azione da gol. Nel secondo tempo l'Inter è cresciuta ma proprio crescendo ha confermato le sue difficoltà perché non è comunque arrivata in porta. Quasi la stessa cosa è toccata alla Roma. A colpire in entrambi i casi è stata la differenza di personalità. Manchester e Arsenal giocano sicuri dei propri mezzi, con grande qualità e piccola pignoleria interrotta dai loro fuoriclasse, Cristiano Ronaldo in particolare. Nelle squadre italiane continuano a mancare i capisaldi, Ibrahimovic da una parte, Totti dall'altra. Per non dire di Adriano, Stankovic, Baptista, Muntari, Brighi eccetera. A San Siro Mourinho ci ha messo anche del suo. Rivas era un errore risparmiabile, lo stesso Santon ha qualche metro da perdere in partite come queste. Il recupero forzato di Adriano (ottenuto?) ha messo fuori tutti gli altri attaccanti, in special modo Cruz.
Nel ritorno serviranno partite migliori. All'Inter qualcosa di più. Per quanto visto sul campo, per diversità dall'avversario, è quella che esce peggio. Ma anche la Juve rischia perché il Chelsea gioca in trasferta come in casa, tutto fisico e triangolazioni. Mi sembra meno difficile per la Roma, ma è complicato sapere oggi cosa sia la Roma.

la crisi del napoli secondo alfredo pedullà


Come al solito, è molto lucido il commento di Alfredo Pedullà sull'attuale crisi del Napoli. Ecco uno stralcio del suo editoriale, tratto da Tuttomercatoweb.com. (d.d.p.)
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"[...] Si parla molto di Napoli in queste ore. E noto che chi, appena un mese fa, diceva e scriveva che la società non doveva prendere rinforzi per non turbare gli equilibri (?) di spogliatoio, che l'organico andava benissimo così, che Reja era l'allenatore ideale, in poche settimane ha cambiato idea con un'incoerenza senza precedenti. Con il senno del poi, siamo bravi tutti. [...] Troppo semplice, troppo facile, troppo buffo. I tifosi del Napoli avrebbero meritato un maggiore rispetto all'inizio dell'anno nuovo da De Laurentiis che ha avuto il coraggio di dire che a gennaio i rinforzi non servono quando nel gennaio del 2008 spese circa venti milioni per rafforzare la squadra. A gennaio i rinforzi sono importatissimi, esimio presidente, soprattutto quando bisogna rinsaldare un sogno europeo. Non è importante che arrivi un altro argentino (Datolo), è molto più importante prendere quelli pronti immediatamente (un errore grave farsi sfuggire Pazzini, un errore quasi più grave non aver proposto un contratto a Panucci che in quella difesa sarebbe stato come Franco Baresi dei bei tempi). Su Datolo il buon Reja ha commesso uno dei suoi soliti errori grossi: lo ha sganciato contro il Bologna in un ruolo non suo, per poi dichiarare - sette giorni dopo - che non si era ambientato tatticamente per giocare da esterno sinistro. Non ci sono parole. Mi sembra soprattutto un dispetto a chi glielo ha portato, la reazione di chi si sarebbe aspettato di meglio e di più dalle operazioni di mercato. Leggo e ascolto autorevoli opinionisti (locali e nazionali) parlare di un Napoli spettacolare nella prima parte della stagione. Mi permetto di dire che il Napoli raramente ha giocato bene. Meglio ancora: ha dato spettacolo quando ha potuto contare sui migliori Hamsik e Lavezzi. Sono stati i soliti, non il coro. Soprattutto: ha dato spettacolo quando è stato trascinato, letteralmente trascinato, dal dodicesimo in campo che è il popolo del San Paolo. Non è un caso che in trasferta abbia fatto disastri, con un rendimento da retrocessione sicura. Sono giorni fondamentali per le strategie del Napoli: preparare il futuro, capire quali sono i rapporti tra De Laurentiis e Marino, evitare di fare sempre la spesa in Argentina. Esempio: il Napoli ha speso recentemente una trentina di milioni per prendere Navarro, Rinaudo, Pazienza, Datolo e Denis. Non sarebbe stato meglio spenderne nove o dieci per Pazzini e altri venti per uno o due campioni di maggiore e migliore qualità? I tifosi del Napoli hanno respirato calcio ad alti livelli e pretendono di continuare a respirarlo. Se non fosse possibile, sarebbe giusto e importante dirlo. Perché a Napoli non hanno gli occhi foderati di prosciutto: sanno capire se il progetto è competitivo, oppure se è una scorciatoia poco percorribile. [...]".

il bel calcio inglese di una volta


In giorni di confronto tra Italia e Inghilterra sui campi extralusso della Champions League mi piace riproporre, qui di seguito, un bellissimo articolo pubblicato nel numero di ottobre 2008 della notevole fanzine sul calcio britannico "UK Football, please", purtroppo oggi presente soltanto in forma telematica e non più anche cartacea. L'articolo in questione è stato ripubblicato proprio oggi sul sito della ormai webzine. (d.d.p.)
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Stand by me - Ricordo di un'estate e di un calcio (inglese) che fu
di Diego Mariottini (da UKFP n° 24 - ottobre 2008)
Correva l’anno… vabbè lasciamo stare l’anno, diciamo circa due decenni fa. Una Londra diversa, un calcio diverso, tifosi che non ci sono più, nel bene come nel male. Confesso di essere un tifoso dell’Arsenal e il motivo è presto spiegato: zia Lina e suo marito Miro abitano ad Highbury e sono ancora tifosi accaniti, anche se sedentari, vista l’età. Dunque si può dire che in quel borough centrale di Londra io da sempre sono di casa.
Non era ancora l’Arsenal di Thierry Henry o quello di Dennis Bergkamp, ma i “Gunners” di Alan Smith erano pur sempre, negli anni ’80, una squadra in grado di rendere la vita difficile a chiunque. Come si direbbe a Roma, vincere a Highbury “non è stata mai una passeggiata per nessuno”. Ciò che in generale affascina del tifo inglese (e naturalmente non mi riferisco solamente al “mio” Arsenal) è anche ciò che spesso è presentato a tinte fosche e senza sfumature, sul piano mediatico. Impressiona la compattezza delle tifoserie e la capacità di dare supporto alla squadra cantando per 90 minuti a squarciagola (potenza della pinta di birra). Anche gli scontri tra opposte fazioni non erano mai gli stessi rispetto a quanto avveniva, sempre in quegli anni, in Italia.
Ricordo perfettamente la prima partita dell’Arsenal che vidi all’Highbury Stadium: l’avversaria era il (allora) più blasonato Liverpool. Lo stadio aveva un parco antistante l’impianto di gioco, il punto d'arrivo di chi, in pieno agosto, vuole approfittare dei rari momenti di sole per prendere la cosiddetta “abbronzatura sostenibile”. Nella seconda metà degli anni ’80, gli atti di teppismo legati alle partite casalinghe dell’Arsenal avvenivano sempre lì e la polizia, i bobbies, ne erano perfettamente consapevoli. Vedere due tifoserie inglesi scontrarsi è come assistere alla cronaca in diretta di una battaglia campale, posso assicurarlo. Uno spettacolo di sicuro non edificante sul piano etico, ma tuttavia un qualcosa che somiglia a una strategia militare organizzata: agguati, irruzioni in massa, cariche individuali, ma sempre a mani nude, secondo un codice cavalleresco che non è mai venuto meno neppure nei momenti più cupi del calcio inglese. Fin qui tutto normale, se di normalità vogliamo parlare. Poi, di regola, le due tifoserie organizzate entrano allo stadio in un apparente buon ordine, seguite dai tifosi comuni, i cosiddetti “cani sciolti” come me.
Ricordo Arsenal-Liverpool come una partita bellissima, l’atmosfera, quella tipica del calcio inglese, con il rumore dei cori molto più affascinante e robusto del boato afono che si sente allo Stadio Olimpico (specialmente in quello ricostruito per Italia ’90). Lo “YEEEEEESSSS”, urlato dai supporters della squadra che ha appena segnato è un’esplosione di gioia contagiosa per chi nota tutti i dettagli di “una partita nella partita”. Purtroppo il Liverpool fa il colpaccio corsaro e con un perentorio 2-1 in terra di Highbury porta a casa i primi tre punti di un campionato alla sua giornata inaugurale. “Adesso che l’Arsenal ha perso in casa, le due tifoserie si ammazzano veramente – penso io – meglio andare a casa prima possibile”. Cerco la via d’uscita per raggiungere zia Lina, che abita a pochi isolati dall’Highbury Stadium. Macché, non è possibile: la polizia ha deciso di far defluire prima il tifo organizzato e poi tutti gli altri. “Questi devono essere pazzi – dico un po’ preoccupato a uno spettatore italiano, anch’egli interessato alle gesta dei Gunners – ma non sarebbe più logico far sfollare prima i tifosi tranquilli e poi gestire con calma quelli più esagitati?”. Se si fosse trattato di tifosi italiani avrei avuto ragione: non avevo fatto i conti con un diverso modo di concepire il tifo. Insomma, al momento indicato dagli addetti ai lavori, esco dalla curva con aria un po’ circospetta e passo attraverso il verde di Highbury Park, evitando volutamente vicoli pericolosi e strade strette. È a quel punto che capisco tutto, malgrado all’inizio non riesca a credere ai miei occhi. I tifosi delle due squadre, dopo essersele date di santa ragione prima della partita, si godono insieme il sole pallido di una Londra caldissima ma nuvolosa e all together si recano al pub a bersi una birra. La battaglia è finita e le due opposte fazioni hanno smesso di combattersi, come due pugili dopo la fine dell’ultimo round.
Naturalmente non va sempre così, ma in Inghilterra va anche così. In Italia, invece, la cultura della scazzottata (esecrabile quanto si vuole, ma almeno leale nei suoi fondamenti teorici) non c’è ed è per questo che fanno la loro triste comparsa ganci, catene e soprattutto coltelli. Nella Premier League, ma anche nelle categorie inferiori, un fallo laterale o un calcio d’angolo possono essere battuti tranquillamente, senza il timore di essere colpiti da monetine e altri oggetti contundenti. Da noi si scavano trincee e fossati degni di una guerra di posizione.
Oggi anche il calcio inglese è cambiato: Scotland Yard ha messo a punto una strategia che ha messo in ginocchio gli hooligans violenti e le loro connessioni con la politica eversiva (in Italia siamo ancora lontanissimi da raggiungere obiettivi anche vagamente simili). Si va allo stadio come se si andasse a teatro. Gli steward ti accompagnano al tuo posto e i genitori portano i figli alla partita senza particolari timori. Tutto perfetto, ma è tutto stravolto. Non c’è più quell’atmosfera, quella passione, quel fermare il tempo delle tue sensazioni con una birra bevuta insieme all’acerrimo nemico, dopo. Anzi, non c’è più il nemico. E se il nemico non c’è, non esiste più neanche l’amico. È l’anima di ognuno di noi a selezionare ciò che è familiare da ciò che è alieno.
Essere di una squadra piuttosto che di un’altra non è forse una scelta dell’anima? Ecco, è proprio questo il punto: in un calcio senz’anima come quello moderno, potresti essere di una squadra come di un’altra, indifferentemente. L’Emirates Stadium, che nel frattempo ha sostituito il vecchio Highbury, è una bomboniera. Ma una bomboniera non racchiude di per sé il senso di un matrimonio e, senza sentimenti, una bomboniera è soltanto un contenitore di confetti.

mercoledì 25 febbraio 2009

napoli ancora in ostaggio di se stesso e dei tifosi

Di Diego Del Pozzo

Mentre le vere grandi del calcio italiano si giocano gli ottavi di finale di Champions League, la situazione del Napoli resta piuttosto seria: la squadra continua a essere reclusa nel centro sportivo di Castelvolturno, dove gli ultras hanno fatto pervenire il loro nuovo messaggio: "Sabato andrete a Torino senza indossare la maglia azzurra, perché non ve la meritate!".
Si tratta di una situazione mai verificatasi prima in Italia, con la società che continua a balbettare silenzi imbarazzati e, fondamentalmente, non sa davvero che pesci pigliare.
L'atmosfera di questi giorni è descritta benissimo in un articolo di Maurizio Nicita pubblicato sulla Gazzetta dello sport di ieri mattina.
Ecco, qui di seguito, l'articolo in questione, purtroppo ancora attuale anche un giorno dopo
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Napoli sotto scorta: ostaggio degli ultrà
Di Maurizio Nicita (La Gazzetta dello Sport - 24 febbraio 2009)
La bella favola del Napoli di Aurelio De Laurentiis, volato per lavoro a Los Angeles più lontano possibile, rischia di evaporare per una serie di eventi sconcertanti. Il club proiettato verso una dimensione internazionale di colpo è ripiombato in un passato buio, con gli ultrà a dettare legge e la squadra lasciata in ostaggio da una società incapace di farsi rispettare. Ieri sera, dopo tentativi di depistaggio per un incontro che doveva rimanere segreto, un gruppo di rappresentanti delle curve è stato ospitato a Castelvolturno - lì dove ai mass media è stato vietato nell'ultima settimana di seguire persino gli allenamenti - per un incontro con la squadra, col d.g. Pierpaolo Marino che abdica al proprio ruolo e consente un ulteriore precedente incredibile, dopo l'assedio di domenica e la decisione di un ritiro presa dai capi ultrà.
Silenzi inquietanti. I giocatori sono smarriti, sconcertati per l' incontro "imposto" di ieri sera, impauriti e imbavagliati da una società che impedisce loro di parlare in pubblico, di difendersi dopo essere stati lasciati in pasto a una piazza ora inferocita. Inoltre i silenzi di Marino - unico dirigente con pieni poteri: conferiti dal patron De Laurentiis - a bocca chiusa dalla gara col Bologna, fa sì che all'apparenza tutte le colpe ricadano sul tecnico Reja e sul suo gruppo sfilacciato. Così non si fa altro che peggiorare la situazione sotto il profilo psicologico, con giocatori che da gennaio hanno passato più giorni in ritiro che a casa e che ieri sono stati costretti a ricevere le famiglie come "reclusi" a Castelvolturno, per le poche... ore d'aria concesse. Perché una cosa è giocare male, un'altra minacciare violenze.
Quale progetto? Idee e capacità non mancano a De Laurentiis, riuscito in 4 anni a rilanciare la squadra dalla C alla A, ma adesso si è a un punto di non ritorno. Per compiere un ulteriore salto di qualità occorre un'organizzazione societaria di ben altro profilo. Mentre, per esempio, Zalayeta (infortunato?) viene mandato a curarsi a Villa Stuart a Roma, perché la palestra di Castelvolturno ha ancora i macchinari acquistati in saldo nel fallimento della vecchia s.p.a. Quando dagli albori del 2004 si parla virtualmente di Napoli Lab e di una struttura sanitaria che non c' è. È il momento dei nervi saldi e delle scelte coerenti, non degli scaricabarile. Questa non è una squadra da Champions, ma nemmeno da prestazioni insulse come le ultime. E allora occorre ritrovare un minimo di serenità, smarrita completamente. Perché per un anno si può anche fallire obiettivo (l'Europa), senza che diventi un dramma per la piazza. Ma se si perde la trebisonda alla prima difficoltà forse è il momento di riflettere sull'impostazione
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martedì 24 febbraio 2009

napoli: quadri societari inadeguati

Di Diego Del Pozzo

Poco dopo aver evidenziato - nel mio precedente intervento - come tra le cause dell'attuale crisi del Napoli vi sia l'inadeguatezza dei quadri societari, mi è capitato di leggere, su Tuttomercatoweb.com, un lucido editoriale di Ciro Venerato, che mette in evidenza le medesime carenze della società guidata dal presidente Aurelio De Laurentiis.
Ecco, qui di seguito, alcuni stralci.
"[...] Il principale colpevole di questo sfascio generale - scrive Venerato - è il club, retto da una diarchia che non ne ha voluto sapere di crescere. Non c'è sufficiente organizzazione: il team manager è il figlioccio del presidente anziché essere un grande ex calciatore di carisma, in grado di poter stare vicino alla squadra. Il direttore generale si occupa di tutto senza il minimo aiuto di nessun direttore sportivo; per non parlare del fatto che in un momento sportivamente drammatico per la squadra, il presidente e proprietario parte per Los Angeles delegando tutto a Marino".
"La gestione societaria, duole dirlo, ma è rimasta a Lanciano, altro che serie A. E domenica sera - prosegue Ciro Venerato - se n'è avuta conferma. Dopo la gara si decide di non continuare il ritiro, si manda Reja in pasto alla stampa, a dire che la squadra si sarebbe ritrovata, come di consueto, solo il martedì. Senonché, due ore dopo, la rosa viene richiamata in fretta e furia per comunicare che si tornava direttamente a Castelvolturno: 'Contrordine compagni'. Bella dimostrazione di coerenza e linearità. Quando un club ha basi caduche, difficilmente riesce ad emergere. Chi si limita a dire che basterebbe centrare il settimo posto dimostra di avere una veduta ben poco lungimirante. Il problema è più vasto. Così come è messo, è impossibile pensare che questo Napoli possa infastidire le grandi. Prendendo Denis e bocciando i vari Floccari e Pazzini, per tacere di Milito, o acquistando Datolo che non serve, non si va lontani. È il momento dell'autocritica, chi ha sbagliato lo ammetta, ma cerchiamo di non ripetere lo stesso errore. Si inizi fin d'ora a pianificare la prossima stagione, dal mister ai giocatori".

lunedì 23 febbraio 2009

napoli: sogno finito o bluff che viene a galla?

Di Diego Del Pozzo

Alla fine la crisi è arrivata. O meglio, è esplosa in tutto il suo fragore, dato che in realtà - in modo meno dirompente - il Napoli era già in crisi almeno da prima della sosta natalizia, cioè da quando perse una inguardabile partita a Torino contro i granata, peraltro potendo trincerarsi dietro l'alibi della contemporanea assenza delle due stelle Lavezzi e Hamsik.
Da allora, due mesi dopo, il bilancio parla di una sola vittoria (1-0 col Catania, peraltro col favore di una decisione arbitrale piuttosto generosa), due pareggi casalinghi e ben cinque sconfitte, tra le quali l'ultima col Genoa, in uno stadio San Paolo in rivolta, culminata con l'assedio da parte di oltre quattrocento tifosi inferociti che hanno tenuto la squadra "in ostaggio" negli spogliatoi per più di tre ore e che alla fine le hanno imposto un ritiro punitivo da consumarsi a Castelvolturno, "per soffrire - hanno spiegato gli ultras - come state facendo soffrire noi".
Ebbene, l'ennesima sconfitta di questo difficile scorcio di stagione ha avuto almeno il pregio di fare, finalmente, esplodere le contraddizioni che da diverso tempo stavano sabotando, in maniera strisciante ma non per questo meno pericolosa, il presunto processo di crescita della squadra. Ormai, trincerarsi dietro dichiarazioni concordate e silenzi imposti non serve più a nulla; i mass media locali e nazionali hanno "scoperto" il bluff e, quindi, hanno deciso di iniziare a parlare più o meno apertamente di ciò che si cela dietro il velo definitivamente squarciato ieri pomeriggio.
Per ricapitolare, i problemi sembrano essere davvero tanti: i contrasti profondi tra l'allenatore Reja e il direttore generale Marino, la spaccatura tra i giocatori italiani e quelli sudamericani, le continue trasgressioni di questi ultimi nonostante i reiterati ritiri imposti dalla società, una preparazione estiva fatta per partire forte ma evidentemente non seguita da un adeguato carico di lavoro durante la deleteria sosta natalizia, una campagna acquisti dispendiosa dal punto di vista economico ma deludente sotto il profilo tecnico (l'orrendo Navarro, il sopravvalutato Rinaudo, il rozzo Denis, un Datolo inutile nell'attuale sistema di gioco, nessun regista a centrocampo, nessun esterno sinistro di ruolo, scarsissimi ricambi di qualità in ruoli chiave: tutte scelte di Marino, spesso non condivise da Reja che, però, le ha incassate senza mai protestare più di tanto); last but not least, una società ancora scarsamente organizzata e chiaramente inadeguata alle ambizioni dichiarate - almeno a parole - dal presidente De Laurentiis (inadeguata per scelta dello stesso presidente, che continua a gestirla in modo casereccio).
E a proposito del "buon Aurelio", è davvero interessante il retroscena rivelato dal come sempre ottimo Stefano Olivari in un articolo pubblicato sul suo blog Indiscreto. L'articolo, addirittura agghiacciante per il quadro di dilettantismo e pressappochismo che fa emergere, merita di essere letto interamente. Così, oltre a rimandare direttamente al sito di Stefano, mi piace riportarlo anche qui di seguito.
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"Oldoini è più bravo di te", di Stefano Olivari
Abbiamo visto presidenti insultare i propri allenatori in pubblico, alcuni anche mettergli le mani addosso, ma non avevamo mai sentito un discorso come quello fatto ieri da Aurelio De Laurentiis nello spogliatoio del Napoli.
Per la verità l'ha sentito per noi un amico con la maglia azzurra, come i compagni in ritiro perenne prima e dopo le sconfitte: il calcio è sempre quello dei presidenti 'vulcanici', anche infilando le parole marketing ed entertainment in ogni discorso. Mai nessuno che si renda conto che in una classifica fra venti squadre una che arriva decima ci deve essere per forza: oltretutto avendo alle spalle pari grado ambiziose come Udinese e Sampdoria.
Questo il piccolo episodio raccontatoci. Subito dopo la sconfitta con il Genoa De Laurentiis va ad arringare la sua squadra, giocatori ed allenatore si aspettano frustate ma il discorso del produttore è più sottile: ''Voi avete dato tutto, vi siete impegnati e non ho niente da rimproverarvi. Però Gasperini ha fatto tutte le mosse giuste, mentre il nostro allenatore tutte quelle sbagliate''. I giocatori non sanno come prenderla, Reja sbianca ma evita di fare Fantozzi: ''Se Gasperini è così bravo, come allenatore del Napoli doveva prendere lui''. Attimi di tensione, per dirla in giornalistese, e finale prevedibile: Reja riconfermato come parafulmine dopo tre ore di assedio dei tifosi, mentre per il ritiro ad oltranza si vedrà.
Del resto anche a Castelvolturno Lavezzi può trovare l'amato Fernet, che mischia alla Coca Cola per ottenere una delle bevande più cattive dell'universo. Meno cattivo del momento della squadra: entertainment, marketing e merchandising esigerebbero l'Europa. Di sicuro De Laurentiis non è mai andato su uno dei suoi set a dire a Neri Parenti che Oldoini, per non dire Spielberg, è più bravo di lui. Poi sabato il Pocho batterà da solo la Juventus e De Laurentiis sarà un grande motivatore: questo è il calcio, dove vale tutto.
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Particolarmente gustosa - e al tempo stesso significativa - mi sembra la notazione riguardante il mix di Fernet e Coca Cola tanto amato da Lavezzi. Ebbene, questa è una cosa che, già dallo scorso anno, conosce tutta Napoli: ci sono addirittura i beninformati che sottolineano come il "Pocho" utilizzi il Fernet a pranzo - anche in ritiro! - come i comuni mortali usano il vino, quindi bevendolo a bicchieri pieni per "innaffiare" i suoi pasti quotidiani. Ebbene, questo particolare non propriamente irrilevante per un professionista che dovrebbe essere la stella della squadra, non è mai stato riportato, finora, da nessun organo di informazione. Così come tante altre vicende, riguardanti in particolare gli irrequieti sudamericani della rosa.
Dunque, se deve esser colto un elemento positivo in seguito alla sconfitta casalinga col Genoa, questo può senz'altro riguardare il definitivo abbattimento del muro di omertà che, finora, aveva protetto i giocatori del Napoli da sguardi indiscreti. D'ora in poi, magari, la società si impegnerà di più per imporre loro comportamenti più consoni a calciatori professionisti.

sabato 21 febbraio 2009

napoli-genoa: perché nacque il gemellaggio

Di Diego Del Pozzo

Mi è sembrato davvero molto intelligente il modo di preparare Napoli-Genoa di domani scelto da Marco Liguori sul suo blog Il pallone in confusione: due interviste gemelle a una coppia di giornalisti d'eccezione come il genoano Massimo Donelli (attuale direttore di Canale 5) e il napoletano Mimmo Carratelli (del quale è in libreria la nuova edizione aggiornata de "La grande storia del Napoli", notevole volumone pubblicato da Gianni Marchesini Editore).
Sollecitati dalle domande di Liguori, i due ritornano, in particolare, alla nascita del gemellaggio ancora solidissimo esistente tra le due società: esso risale al 16 maggio 1982, quando un generoso Napoli pareggiò 2-2 al San Paolo col Genoa permettendogli di restare in Serie A.
E appare decisamente gustosa, in particolare, la rievocazione di Donelli, a proposito del famoso e tanto discusso gol del definitivo pari genoano. "Ero a Milano, in un appartamento - racconta il direttore di Canale 5 - che si affacciava su un cortile chiuso ai quattro lati. Mio fratello e io ascoltavamo 'Tutto il calcio minuto per minuto' e quando arrivò la notizia del gol di Faccenda tirammo un urlo che fece affacciare le poche persone in quel momento a casa (era un pomeriggio caldissimo). Solo dopo scoprii le incredibili dinamiche dell'azione (Castellini che butta la palla in angolo etc.). E solo moltissimo tempo dopo mi fu spiegato (chissà se è vero?) che quel... regalo era dovuto alla regia del grande, immenso Krol. Narra la leggenda (nessuna prova, solo leggenda, appunto) che Krol avesse fatto da mediatore nel passaggio del suo connazionale Peters al Genoa. E se il Genoa fosse retrocesso Peters non sarebbe potuto arrivare (allora in B non c'erano stranieri) e Krol non avrebbe incassato la mediazione... Sarà vero? Mah... Fatto sta che io venivo da tre anni meravigliosi di vita a Napoli. E che più che mai quel giorno mi sentii parte... genovese e partenopeo...".

venerdì 20 febbraio 2009

salary cap: sì dalla commissione europea

Di Diego Del Pozzo

Come ben sa chi segue questo spazio virtuale fin dall'inizio, l'introduzione del "salary cap" anche per le società di calcio professionistiche europee è sempre stato argomento prediletto di Calciopassioni.
Ebbene, stasera è stato con grande piacere, dunque, che ho letto, sul bel sito Goal.com, la notizia che riporto qui di seguito. Si tratta di un piccolissimo passo, lungo un percorso ancora tutto da compiere. Però, è pur sempre un primo passo...
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Salary cap? La Commissione Europea dà il suo ok
Platini continua a far proseliti anche nei piani alti riguardo il salary cap per le società di calcio. L'idea portata avanti dall'ex campione della Juventus, quella cioè di porre un limite, legato al bilancio, alle somme che una società può spendere per il calciomercato e gli ingaggi, è stata bene accolta dalla Commissione Europea. E' questo però un parere meramente consultivo, come spiega il Commissario Europeo per l'Educazione, Formazione, Cultura e Gioventù con competenze sullo Sport, Jan Figel... "Credo sia una cosa molto importante che lo sport si preoccupi della correttezza, dell'equità e della sostenibilità delle competizioni - ha detto Figel - E credo che un equilibrio tra entrate ed uscite in questo aiuterebbe. Dal punto di vista pratico, comunque, queste questioni sono di pertinenza degli organismi che si autoregolano, come l'Uefa".

giovedì 19 febbraio 2009

cannavaro resta al real

Di Diego Del Pozzo

Arriva la parola "fine" per la stucchevole telenovela che, in questi mesi, ha continuamente accostato l'ormai trentacinquenne Fabio Cannavaro al Napoli per la prossima stagione, pur non potendo concretizzarsi, nella pratica, questo trasferimento, per ragioni economiche e di altro tipo.
La conferma giunge dalla viva voce di Juande Ramos, l'attuale allenatore "merengue".
Qui di seguito, riporto la notizia tratta dal sito Tuttomercato.com: "Niente Napoli per Fabio Cannavaro. Il calciatore, oramai in scadenza di contratto con il Real Madrid, rimane uno dei punti fermi dei Galacticos. Tanto che è stato il tecnico del congiunto castillano a riconfermarlo: 'Fabio è grandissimo, una sicurezza in campo e nello spogliatoio. Rinnova il contratto e resta qui'. Il difensore napoletano è stato più volte accostato alla squadra della sua città, considerata la scadenza del contratto fra poco più di quattro mesi".
E allora? Vorrà dire che ce faremo una ragione...

mercoledì 18 febbraio 2009

il vero tifoso

Di Diego Del Pozzo

Fa sempre piacere imbattersi in testimonianze come quella che ho trovato questa settimana nella rubrica della posta del Guerin Sportivo.
Un lettore della provincia di Ferrara, il ventenne Marcello Bellini, in una bella lettera al curatore Andrea Aloi riesce, infatti, a distillare - quasi come un novello Nick Hornby - l'essenza stessa del tifo calcistico più puro e sincero, o meglio un suo aspetto assolutamente rilevante. "[...] Mi fa ridere, caro Andrea, che tanti - scrive il buon Marcello - considerino il calcio uno spettacolo: non guardo le partite dell'Inter perché è carino, non penso: 'cosa guardo? Inter-Genoa o il dottor House?'. Non guardo le partite per divertimento, le guardo per una sorta di dovere morale. Quante partite siamo costretti a vedere noi interisti, juventini, napoletani, magari inutili o di Coppa Italia o amichevoli o partite finali di un Campionato che ci ha visti comprimari? Cosa ce lo fa fare? Dubito che sia per il puro aspetto ludico, bensì per il fatto di 'doverle vedere'".
In realtà, da parte mia credo che l'aspetto ludico abbia, invece, una sua importanza, quando la tua squadra del cuore non è direttamente coinvolta: per esempio, qualche settimana fa mi sono divertito fin quasi alle lacrime assistendo allo spettacolo offerto dal Cagliari di Allegri a Torino contro la Juve. Ovviamente, lunedì sera, di fronte ad analogo spettacolo offerto dal "mio" Arsenal in F.A. Cup l'atteggiamento verso il match è stato molto diverso.
Ed è persino inutile sottolineare il godimento puro, certamente non di carattere estetico, che proverei di fronte a una pessima prestazione del Napoli conclusa, però, con una striminzita vittoria per 1-0, magari sul campo di una grande del nostro calcio: in quel caso, al di là del giudizio più o meno negativo che, criticamente, mi farei sulla prestazione della mia squadra, l'apprezzamento per la qualità dello spettacolo sarebbe certamente l'ultima cosa alla quale penserei. Così come è altrettanto inutile sottolineare che tra un pessimo e persino inutile Napoli-Chievo e un avvincente e probabilmente spettacolare Inter-Juventus o Roma-Fiorentina non avrei dubbi su quale partita vedere: la mia squadra, infatti, avrebbe bisogno di me e, da parte mia, non potrei mai lasciarla da sola di fronte al suo destino.

martedì 17 febbraio 2009

pensiero della settimana: con le mani...

Di Diego Del Pozzo

Pallavolo e pallamano sono due sport nobilissimi, che rispetto al calcio presentano, però, una differenza sostanziale: si giocano toccando la palla con le mani. Ebbene, un regolamento sempre meno certo e sempre più interpretabile sta rendendo questi tre sport un po' troppo simili tra loro, dato che ormai pare che anche a calcio si possa giocare con le mani, almeno nella Serie A italiana.

lunedì 16 febbraio 2009

bentornato eduardo!!!

Di Diego Del Pozzo

Eduardo è tornato! Finalmente! Stasera, nel replay del quarto turno di F.A. Cup, giocato all'Emirates contro il Cardiff City, l'Arsenal ha presentato nuovamente il suo sfortunato centravanti, al rientro un anno dopo il gravissimo infortunio che ha rischiato di rovinargli la carriera.
Ebbene, Eduardo ha risposto alla grande, segnando una doppietta e disputando una partita molto convincente. Di Bendtner e Van Persie le altre due reti, nel 4-0 finale a favore dei Gunners.
Allora, in attesa di rivederlo nelle prossime settimane in partite più impegnative, non resta che urlare felici: bentornato Eduardo!!!

"la spidercam ha rotto i maroni!"

Di Diego Del Pozzo

Ebbene sì: "La spidercam ha rotto i maroni!".
Faccio mio il "grido di dolore" del comico Gene Gnocchi, lanciato durante la puntata di ieri sera della sua esilarante trasmissione "Gnok Calcio Night", a proposito del ritorno, in occasione del derby milanese, della famigerata telecamera aerea di Sky, impegnata in spettacolari evoluzioni lungo cavi fissati alle estremità della sommità del terzo anello di San Siro e deputata a fornire immagini della partita da punti di vista inediti e, per la verità, assolutamente non necessari né richiesti dai telespettatori.
Ma cosa offre, in definitiva, quella che le "voci Sky" hanno pomposamente battezzato, appunto, "spidercam"? Niente più che riprese fatte apposta per non far capire nulla a chi sta seguendo la partita in tv o, ancora più grave, per spezzettare l'evento in inquadrature che si danno il cambio in maniera intempestiva, in particolar modo sui calci d'angolo, facendo crescere nell'appassionato la paura di perdersi un gol per un improvviso passaggio di telecamera (da quella normale alla "spider" e viceversa in pochi secondi, mentre il giocatore è impegnato nella rincorsa e sta per calciare).
Però, vuoi mettere quanto è bello San Siro visto dall'alto e com'è spettacolare il suo colpo d'occhio complessivo? Ehi, ma a proposito, cosa sono quei puntini con le maglie a strisce rossonere e nerazzurre che si aggirano sul prato verde, centinaia di metri più in basso?
Particolarmente imbarazzante per la sua inutilità appare, poi, l'inquadratura che la "spidercam" offre in occasione dei calci di punizione verso la porta, da posizione più o meno centrale e distanza pari a circa venti-venticinque metri. In queste occasioni, infatti, il punto di vista è quello di un immaginario osservatore posizionato un po' più in alto e pochi metri più indietro rispetto a colui che sta per calciare: così, porta e portiere appaiono lontanissimi - sembra quasi di assistere ai mitici "srotolamenti" del campo durante le azioni d'attacco mostrate nel celebre anime "Holly & Benji" - e, soprattutto, il tiro appena scoccato è innaturalmente schiacciato, perde completamente la sua profondità e viene ridotto alla stregua di una linea disegnata su un foglio bianco.
Sarà un caso che gli operatori e le regie inglesi, da sempre all'avanguardia nei modi di riprendere un match di calcio, non abbiamo mai nemmeno pensato di servirsi di uno strumento tanto inutile e, anzi, in alcuni frangenti della partita, persino dannoso?
Ma a Sky, incuranti della risposta che merita questa domanda, continuano a riempirsi la bocca con la "telecamera dell'uomo ragno"... Addirittura, l'anno scorso, un Fabio Caressa più gasato del solito presentava questa camera canticchiando il motivetto della vecchia serie televisiva dell'Uomo Ragno (quello vero...): "Spidercam, spidercam, nah nah naah nah nah nah naaah nahhh...".
Diciamo che già soltanto per questa genialata, il network satellitare di Rupert Murdoch s'è meritato il tanto discusso aumento dell'Iva dal 10 al 20 per cento. Certo, tanto poi lo paghiamo noi abbonati... mica l'Uomo Ragno...

domenica 15 febbraio 2009

allenerei ovunque

Di Diego Del Pozzo

Il derby di Milano si avvicina: manca poco più di mezz'ora al fischio d'inizio. In questi giorni, il match è stato preparato anche attraverso gli scambi a distanza tra i due allenatori, Carlo Ancelotti e José Mourinho.
A tale proposito, mi ha molto colpito la differenza sostanziale tra i due in risposta a una domanda piuttosto significativa: "Lei allenerebbe mai l'altra squadra milanese?".
Ebbene, il "vate" portoghese ha tenuto a far sapere a tutti che un domani, dopo essere stato nuovamente all'estero, potrebbe tranquillamente fare - perché no? - l'allenatore dei rossoneri, "perché il Milan - ha precisato José - è sicuramente una grande società". Da parte sua, il buon Carletto ha, invece, escluso la possibilità contraria: "Non credo proprio - ha sottolineato - che potrei mai allenare l'Inter, perché significherebbe andare contro la mia storia. E questo non mi va, perché si tratta di una bella storia".
Insomma, due modi differenti, decisamente agli antipodi, di essere grandi allenatori e grandi uomini di calcio. Indovinate un po', poco prima del match più atteso dell'anno, quale dei due avrà scaldato più e meglio il cuore dei propri tifosi?

sabato 14 febbraio 2009

inghilterra: f.a. cup e altre storie

Di Diego Del Pozzo

Week-end intenso, quello attuale, per gli appassionati di calcio inglese: sono in programma, infatti, il quinto turno della F.A. Cup, recuperi del quarto turno e della Premier League, le partite di campionato in Championship e Leagues One & Two. In più, domani, in Scozia è il giorno di un nuovo, attesissimo "Old Firm" tra Celtic e Rangers.
In particolare, il cartellone della Coppa d'Inghilterra propone queste partite:
Swansea City - Fulham 1-1 (già giocata, oggi alle ore 13.45); Blackburn Rovers - Coventry, Sheffield United - Hull City, West Ham - Middlesbrough (tutte alle ore 16); Watford - Chelsea (ore 18.30); Everton - Aston Villa (domani, ore 15.30); Derby County - Manchester United (domani, ore 17.30); Arsenal - Cardiff City (lunedì sera, ore 20.45: si tratta del replay del quarto turno, con la vincente che affronterà il Burnley nel quinto turno, in data ancora da definire).
Per un quadro completo del week-end calcistico inglese, comunque, mi piace rimandare all'esaustivo articolo di Silvio Di Fede presente sul suo blog e sul sito "Calcio Internazionale".
Buon divertimento!

venerdì 13 febbraio 2009

un sospiro di sollievo

Di Diego Del Pozzo

I tanti impegni accumulati in pochi giorni potevano costare cari a Marek Hamsik e, conseguentemente, al Napoli. Per fortuna, poco fa, una notizia di agenzia ha rassicurato tutti i tifosi partenopei, che così possono tirare un sospiro di sollievo. Ecco la notizia:
Calcio: Napoli, nulla di grave per Hamsik
NAPOLI - Non è grave l'infortunio capitato a Marek Hamsik nell'amichevole della sua Slovacchia contro Cipro. L'ecografia, a cui è stato sottoposto il centrocampista del Napoli, ha escluso infatti lesioni del muscolo della coscia. Hamsik salterà comunque la gara di domani contro il Bologna ma sarà disponibile per il turno successivo. (Agr)

come stanno le grandi del calcio mondiale?

Di Diego Del Pozzo

Le gare amichevoli di metà settimana mi hanno stimolato a fare un punto della situazione sull'attuale stato di salute delle principali squadre nazionali, quelle che sono comunemente considerate come le grandi tradizionali del calcio internazionale.
Dunque, procedendo con ordine, va anzitutto sottolineata la nettissima differenza di valori - deflagrata in tutta la sua esplosiva evidenza nel lussuoso anticipo londinese di martedì sera - che esiste attualmente tra il Brasile e l'Italia: all'Emirates Stadium, infatti, non c'è quasi mai stata partita, con i brasiliani capaci di fare a meno del loro miglior giocatore (cioè Kakà), proponendo alla platea un efficace mix di classe, velocità e atletismo abbinati a un inconsueto furore agonistico tradottosi in annichilente pressing a tutto campo che ha prodotto i suoi risultati in particolare su uno smarrito Andrea Pirlo. In quanto all'Italia, tenendo da parte le consuete riserve sul modo nel quale i nostri calciatori sono soliti approcciare le amichevoli (ed è questo l'unico motivo di speranza per le future partite ufficiali...), devo rilevare l'ormai preoccupante incapacità dei c.t. italici di far giocare assieme Pirlo e De Rossi in modo efficace. Secondo me, le prospettive future dell'Italia ai Mondiali 2010 ruotano tutte attorno alla risoluzione di questo rompicapo. Detto ciò, preoccupa un Cannavaro sempre meno solido e tempestivo a causa dell'anagrafe; preoccupa, conseguentemente, l'assenza di alternative di qualità in difesa; fa riflettere la timidezza di Montolivo a centrocampo e di Pepe sulla fascia destra (magari Lippi avrebbe potuto iniziare la prestigiosa amichevole col Brasile schierando qualcuno più temprato dell'esterno udinese).
Il mercoledì ha offerto, poi, altre due partite di notevole interesse: Francia - Argentina e Spagna - Inghilterra. Al Velòdrome di Marsiglia, la nazionale albiceleste di Diego Maradona ha dato una stordente impressione di solidità e di sicurezza nei propri mezzi, facendo risaltare al tempo stesso la pochezza dei transalpini in alcuni ruoli, in particolare quelli di portiere - con l'acerbo Mandanda preferito a Frey - e interni di centrocampo (Toulalan e Lassana Diarra letteralmente distrutti nel confronto con Mascherano e Gago). La lezione tattica impartita dal neofita Maradona a Domenech, inoltre, rende sempre più misteriosa la permanenza di un allenatore tanto inadeguato su una panchina così prestigiosa, in particolare dopo il disastroso Europeo dello scorso anno.
Venendo all'Argentina, la guida del "Diè" sembra aver dato ai suoi uomini una inedita sicurezza nei propri mezzi, quasi ai limiti della sfacciataggine, come se l'avere Maradona come condottiero possa fornire all'Argentina automaticamente una patente di imbattibilità: il 4-4-2 proposto per la seconda volta dopo Glasgow funziona già benissimo, gli esterni di centrocampo Maxi Rodriguez e Jonàs fanno in pieno il loro dovere, i centrali Gago e Mascherano sono di un altro pianeta, l'attacco ha alternative infinite, le fasce della difesa sono ottimamente presidiate da Zanetti e Papa. Va registrata meglio la coppia centrale difensiva, quasi mai impeccabile; e va data fiducia incondizionata a Carrizo per riportarlo ai livelli che gli appartengono.
A Siviglia, invece, la Spagna ha letteralmente dominato un'Inghilterra però largamente sperimentale e quasi intimorita dall'ambiente spettacolare e calorosissimo. Ciò detto, gli uomini di Del Bosque sono, ormai, nel pieno della maturità e sanno giocare calcio a livelli vicinissimi a quelli proposti da Brasile e Argentina. L'Inghilterra, anche perché guidata da un "mastino" come Fabio Capello, va testata in partite nelle quali ci saranno punti in palio, magari potendo contare sui tanti suoi fuoriclasse assenti mercoledì sera (Gerrard, Rooney, Ferdinand, Walcott... mica pizza e fichi...).
Volendo dare dei voti, dopo le esibizioni di questa settimana, mi potrei sbilanciare in questo modo:
Brasile = 7,5;
Argentina = 7;
Spagna = 7;
Italia = 5,5;
Francia = 5;
Inghilterra = 5;
Germania (sconfitta in casa dalla Norvegia) = 4,5.
Comunque, in prospettiva Sudafrica 2010, Brasile e Argentina fanno già paura.

mercoledì 11 febbraio 2009

zola ricorda "el diè" realizzatore di sogni

Di Diego Del Pozzo

In attesa della seconda uscita di Maradona come commissario tecnico dell'Argentina, prevista per questa sera contro la Francia, stamattina mi è capitato di dare un'occhiata a una bellissima intervista a Gianfranco Zola, andata in onda su Sky Sport 1 nell'ambito della serie "I signori del calcio" (programma di approfondimento davvero interessante e molto ben fatto).
A un certo punto, l'attuale manager del West Ham ha parlato degli anni napoletani, trascorsi in parte proprio come riserva di lusso di Dieguito. Ebbene, tra i tanti ricordi profondi che Zola ha condiviso con l'intervistatore e con i telespettatori, il più bello è stato sicuramente questo: "La cosa incredibile di Diego - ha raccontato Zola - era che lui riusciva a rendere concreti i miei sogni calcistici e tecnici. Mi spiego meglio: se io sognavo di realizzare un gol in un modo particolare il giorno dopo lui lo realizzava davvero, in partita o in allenamento. Insomma, riusciva a rendere concreti i miei sogni...".

martedì 10 febbraio 2009

un "derby del mondo" alla brasiliana

Di Diego Del Pozzo

Ore 23.13: il "derby del mondo" - per dirla con le impegnative parole del nostro umile commissario tecnico - è stato praticamente dominato dalla "metà mondo" brasiliana, che ha battuto 2-0 la "metà mondo" italiana. Il problema vero da sottolineare, infatti, è proprio che, tra le due squadre, non c'è quasi mai stata partita.
Comunque, domani sera sono in programma altri due possibili "derby del mondo", sempre rigorosamente amichevoli, cioè Spagna - Inghilterra e Francia - Argentina.
Qualcuno avverta Marcello Lippi...

il "derby del mondo": ma quale mondo?

Di Diego Del Pozzo

I media "italioti" si sono affrettati a etichettare la prestigiosa amichevole londinese di stasera tra Italia e Brasile come il "derby del mondo". E, naturalmente, il nostro commissario tecnico Marcello Lippi, con l'umiltà che lo contraddistingue, ha subito fatto propria questa impegnativa definizione.
Ebbene, che dire? Sicuramente Germania e Argentina ringraziano felici, per la considerazione della quale godono qui da noi... E non solo loro (Uruguay? Francia? Inghilterra?).

lunedì 9 febbraio 2009

pensiero della settimana: l'equilibrio

Di Diego Del Pozzo

Sulla lunga distanza non potrà che vincere la strapotente Inter o, al massimo, Milan e Juventus, poiché c'è troppa differenza (anzitutto economica) già in partenza tra queste tre squadre e tutte le altre: in una gara di corsa sui cento metri è come se l'Inter partisse dai quaranta, Juve e Milan dai venti e tutte le altre dai blocchi.
Detto ciò, però, quello attuale è un campionato davvero bello se si considerano le singole partite: nella gara "secca", infatti, chiunque può vincere o fare risultato contro qualunque altro avversario, sia in casa che in trasferta. Per ora è un po' pochino, ma come inizio non c'è male.
Certo, se ci si decidesse a introdurre il "salary cap"...

domenica 8 febbraio 2009

inghilterra: i convocati di capello per la spagna

Di Diego Del Pozzo

Al termine di una giornata calcistica caratterizzata, in Premier League, dallo 0-0 nel derby del nord di Londra tra Tottenham e Arsenal e, in Serie A, dall'ennesima sconfitta in trasferta del Napoli (la settima consecutiva, anche questa al termine di una partita piuttosto deludente), ho dato un'occhiata curiosa alle convocazioni di Fabio Capello per l'amichevole di mercoledì a Siviglia tra la sua Inghilterra e la Spagna campione d'Europa.
Ebbene, accanto alla scontata chiamata di David Beckham, che così eguaglierà probabilmente Bobby Moore a quota 108 presenze, mi hanno fatto parecchio piacere le convocazioni di Carlton Cole dell'ottimo West Ham di Zola e di James Milner dell'Aston Villa che sta tentando di scardinare il solido regno delle "Big Four" al vertice del calcio inglese.
Ecco, qui di seguito, l'elenco completo dei giocatori chiamati da Capello: David James, Robert Green, Joe Hart (portieri); Wayne Bridge, Ashley Cole, Rio Ferdinand, Glen Johnson, John Terry, Matthew Upson, Phil Jagielka, Luke Young (difensori); Gareth Barry, Michael Carrick, James Milner, Frank Lampard, Stewart Downing, David Beckham, Shaun Wright-Phillips, Ashley Young (centrocampisti); Gabriel Agbonlahor, Carlton Cole, Peter Crouch, Emile Heskey (attaccanti).
Non sorprendano alcune assenze illustri - come, per esempio, quelle di Rooney, Walcott e Gerrard -, causate unicamente dagli attuali infortuni.

sabato 7 febbraio 2009

saviano "blaugrana" vs. cannavaro "merengue"

Di Diego Del Pozzo

Stamattina un caro amico mi ha segnalato un curioso articolo pubblicato oggi sul quotidiano napoletano "Il Mattino". Mi piace riproporlo anche qui su Calciopassioni. Ne è autrice la corrispondente dalla Spagna, Paola Del Vecchio. Ecco il testo.
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Saviano-Cannavaro, su "Gomorra" continua la polemica
Di Paola Del Vecchio
(Il Mattino, sabato 7 febbraio 2009)
"Dopo che Fabio Cannavaro ha dichiarato che il mio lavoro dava una cattiva immagine del nostro paese, mi hanno scritto tantissimi tifosi del Barça per dirmi: cosa ti aspettavi da un merengue? Non so se sia merengue o no, ma so che il suo discorso è condiviso da molti italiani che credono che il semplice fatto di raccontare possa infangare un paese. Per me, invece, raccontare è resistere. Aiuta a creare gli anticorpi alla mafia". Roberto Saviano a Barcellona ha rilanciato la palla a Cannavaro, ieri sera, nello splendido scenario de La Predrera di Gaudì, dove ha ricevuto il premio di giornalismo Vazquez Montalban per la cultura e politica, che nella categoria sport è stato assegnato all'ex direttore della Gazzetta dello Sport, Candido Cannavò. Fra imponenti misure di sicurezza, l'autore di "Gomorra" ha ritirato il premio dalle mani del presidente dell' F.C. Barcellona, Joan La Porta. "Solo una grande squadra di calcio come il Barcellona poteva premiare l'intelligenza dello sport e della cultura che difende un paese", ha detto Saviano. Nonostante la difficoltà logistica che comporta ogni suo spostamento, lo scrittore non ha "resistito alla tentazione di venire a Barcellona", la città che l'altra sera al Camp Nou gli ha consentito di assistere alla partita di Coppa vinta dal Barça. "Ho realizzato un sogno - ha detto Saviano -. Sono innamorato di Messi perché mi ricorda Maradona che ho avuto da ragazzino l'onore di vedere giocare a Napoli". Saviano ha dedicato il premio agli italiani che vivono in Catalogna: "Negli ultimi dieci anni - ha ricordato - dieci milioni di persone sono emigrate dall'Italia, operai specializzati, la forza migliore è andata via. Spero solo che possano tornare per essere utili alla mia terra".

venerdì 6 febbraio 2009

i giocatori del napoli non sanno calciare

Di Diego Del Pozzo

A distanza di qualche giorno da quella sfortunata partita, voglio condividere un pensiero che mi è passato per la mente dopo la sconfitta del Napoli ai rigori, mercoledì sera, contro la Juve.
E' mai possibile, mi sono chiesto, che tra le fila degli azzurri vi siano così pochi giocatori capaci di calciare bene il pallone? Ebbene sì, nonostante qui si stia parlando di gioco del calcio, quello appena evidenziato mi sembra uno tra i maggiori limiti del Napoli di quest'anno: in pochi sanno calciare bene il pallone.
Ciò può essere facilmente notato in occasione di ogni calcio da fermo del quale il Napoli usufruisce durante le partite, calci d'angolo così come punizioni dal limite, regolarmente sprecate nonostante se ne conquistino in gran numero, grazie ai tanti falli che riesce a subìre Lavezzi.
Contro la Juve, poi, questo limite è emerso prepotentemente anche al momento di quella che i "luogocomunisti" continuano assurdamente a definire "la lotteria dei calci di rigore".
Ma quale lotteria? I rigori, come le punizioni e i calci d'angolo, bisogna anzitutto saperli tirare...

mercoledì 4 febbraio 2009

heleno de freitas, il "maledetto" del "fogao"

Di Diego Del Pozzo

Heleno non aveva un bel carattere, anzi. Però, era dotato di una classe immensa, di un talento purissimo che lo avrebbe potuto far ricordare universalmente come uno tra i più grandi calciatori di tutti i tempi.
Invece, il suo nome è caduto in un immeritato oblìo, tranne che per gli studiosi del calcio che fu e, naturalmente, per i tifosi del Botafogo di Rio de Janeiro, il club che per dieci anni Heleno rese grande con i suoi 204 gol in 233 partite. Per la "torcida" del "Fogao" (il nomignolo della squadra "alvinegra" brasiliana), Heleno è stato, infatti, il massimo idolo prima dell'avvento di Garrincha.
Come per altri grandi calciatori dello stesso periodo (gli anni Quaranta), sfortuna ha voluto che, a causa della Seconda Guerra Mondiale, Heleno de Freitas non abbia mai avuto la possibilità di giovarsi del palcoscenico planetario di un Campionato del Mondo, poiché i suoi anni nella nazionale verdeoro sono racchiusi nel periodo compreso tra il 1944 e il 1948: 18 presenze condite da ben 15 gol, tra i quali spiccano i 6 che lo laurearono capocannoniere della Copa America 1945, disputatasi in Cile e vinta dall'Argentina che battè in finale un Brasile schierato con l'attacco-meraviglia composto da Tesourinha-Zizinho-Heleno-Jair-Ademir.
Heleno de Freitas, nato il 12 dicembre del 1920 a Sao Joao Nepomuceno nel Minas Gerais, era un autentico artista del pallone, uno di quei giocatori che vivevano per il gol, al quale arrivava facilmente, sfruttando la naturale forza di penetrazione e il suo gioco di finte assolutamente insuperabile. In campo era elegantissimo, così come fuori dal rettangolo di gioco, dove, però, assieme alla naturale eleganza e al bell'aspetto esibiva anche bizzarrie e un carattere "rebelde" che finì, poi, per pregiudicarne la carriera. Amato dalle donne e amante del lusso e della bella vita, Heleno era laureato in legge e, fin da quando si affacciò alla prima squadra del "Fogao", divenne un "divo" assoluto dei suoi tempi.
Nonostante le caterve di gol segnati in dieci anni, col Botafogo non vinse mai nulla, anzi in quello stesso 1948 che lo vide andare agli argentini del Boca Juniors dovette sopportare "l'onta" del titolo vinto dalla sua ex squadra. La reazione fu tipica di un personaggio sempre sopra le righe. Ecco ciò che scrive il grande Darwin Pastorin, in un articolo a lui dedicato: "Heleno, furibondo, si fece ingaggiare dai rivali, quelli del Vasco da Gama. Peggio che andar di notte. Un giorno, nello spogliatoio, aggredì l'allenatore Flavio Costa, minacciandolo con una pistola scarica. Il tecnico, dopo averlo disarmato, gliele suonò di santa ragione. Heleno - prosegue Pastorin - non riuscì mai a trovare un po' di serenità. Vedeva ombre, nemici, tutto nero. Se ne andò in Colombia, nell'Atletico di Barranquilla; tornò in Brasile, per una fugace e anonima stagione nel Santos. Al crepuscolo di una carriera difficile, dalle troppe spine, l'America di Rio gli diede un'ultima possibilità di riscatto, il match della rinascita. Invano. Il 4 novembre del 1951, al debutto contro il Sao Cristovao, in diretta televisiva, il rebelde, al 35' del primo tempo, venne espulso. Tornò nello spogliatoio con i nervi a pezzi e tentò di aggredire un fotografo con una bottiglia".
Da quel momento, di Heleno si persero le tracce. Proseguì la sua esistenza in miseria e lontano dai riflettori. In seguito, la sua proverbiale bizzarria degenerò nella malattia cerebrale che, l'8 novembre 1959, lo portò alla morte in un anonimo sanatorio di Barbacena.
Su questo artista ribelle è in fase di realizzazione un film, interpretato dall'attore brasiliano Rodrigo Santoro. Ma, per restituirne l'epica grandezza, dovrà trattarsi di un autentico kolossal, dedicato a un personaggio davvero unico, amante dei gol e delle cadillac, delle donne e della musica classica; un personaggio che aveva lo stesso sarto del presidente della Repubblica brasiliana Getulio Vargas e che lanciò la moda degli occhiali da sole anche di notte, che in Argentina divenne amico di Juan Peròn e che, alla fine, impazzì, forse per il troppo amore.

martedì 3 febbraio 2009

pensiero della settimana: "i giovani"

Di Diego Del Pozzo

Con riferimento alle strategie di mercato del Napoli, questa storia dei "giovani" - unici obiettivi dell'attuale società - mi puzza un po'. Perché, per esempio, il Genoa ha affiancato a giovani di grande valore anche campioni affermati - quindi, esperti e dotati di personalità spiccata - come Diego Milito e Thiago Motta?

il "botto" del mercato: arshavin all'arsenal!

Di Diego Del Pozzo

In una sessione di mercato piuttosto floscia, in Italia e nel resto d'Europa, il vero "botto" lo ha fatto sicuramente l'Arsenal, con l'acquisto di Andrej Arshavin dallo Zenit San Pietroburgo per 16,5 milioni di euro.

Con l'arrivo del talentuoso fantasista 27enne, Wenger ha ora a disposizione un giocatore di livello internazionale e dotato della giusta esperienza oltre che di una enorme voglia di "sfondare" su una platea più importante di quella del campionato russo: addirittura, pare che Arshavin si sia liberato dallo Zenit pagando di tasca propria ben 2,5 milioni di euro, pari alla metà della clausola rescissoria fissata dal club, che ha cercato fino all'ultimo di impedire il concretizzarsi di questa trattativa.
Al tempo stesso, poi, col suo nuovo acquisto Wenger potrà godere di un'opzione tattica in più, facendo partire Arshavin dalla fascia destra del centrocampo per accentrarsi dietro le due punte e creare densità e scambi stretti pericolosi ai limiti dell'area avversaria (il medesimo compito che, sulla fascia sinistra, ha il "genietto" francese Samir Nasri), al tempo stesso lasciando libera la corsia per le scorribande di Bacari Sagna (identica cosa, dall'altro lato, fa proprio Nasri con Gael Clichy). Insomma, in attesa di un rientro di Rosicky che non arriva più, ad Arshavin sarebbero affidati i compiti che, fino a un paio di stagioni fa, erano propri dello sfortunato fantasista cèco. Ovviamente, Arshavin può egregiamente disimpegnarsi anche come trequartista centrale in un 4-3-1-2 o come seconda punta accanto ad Adebayor o Bendtner.
Come sempre, la risposta definitiva spetterà al campo, ma si ha la netta impressione che dal calciomercato invernale i "Gunners" siano usciti decisamente potenziati e - perché no? - pronti a rientrare nella lotta al vertice, con maggiore convinzione e più talento a disposizione.

lunedì 2 febbraio 2009

napoli: dàtolo? compratolo!

Di Diego Del Pozzo

In coincidenza con la giornata conclusiva della sessione invernale del Calciomercato, da un articolo di Antonio Di Colandrea pubblicato sul bel sito Calcioargentino.com estrapoliamo uno stralcio nel quale, per il piacere dei tifosi del Napoli, si traccia un breve profilo di Jesus Alberto Dàtolo, il nuovo centrocampista di sinistra appena acquistato dal Napoli.
"[...] Nato a Carlos Spegazzini (che non è una persona, bensì una ridente cittadina di 41.000 abitanti della periferia di Buenos Aires) il 19 maggio del 1984, Jesus Alberto Dàtolo è un centrocampista sinistro di 176 cm. e 67 Kg. Ha cominciato la sua carriera nelle giovanili del Banfield, club con il quale ha esordito in Primera Division nel Torneo Apertura 2005, collezionando 10 presenze di cui 4 dall’inizio e segnando anche un gol. Alla fine saranno in totale 28 le partite giocate con il Banfield nella stagione 2005/2006, con 5 reti all’attivo.

Nell’estate del 2006 passa al Boca Juniors, che lo seguiva già da un po’ e che decide di puntare sul talento cristallino del “volante”: 1.000.0000 di dollari per l’80% del cartellino è il prezzo pagato dagli Xeneizes al Taladro. Gli inizi di Dàtolo con il Boca non sono tuttavia semplicissimi: la “cantera” (le giovanili, NdR) del Boca sono ricche di giovani di qualità e nel suo ruolo è appena esploso il giovanissimo Neri Cardozo, molto apprezzato da dirigenza ed allenatore boquense. Finisce così che tra Apertura 2006 e Clausura 2007 Dàtolo collezioni solo 10 presenze da titolare (altre 14 volte subentra a partita in corso), segnando un solo gol. Il Torneo Clausura 2008 è la stagione di lancio per Dàtolo; complice anche un infortunio a Cardozo riesce a collezionare 12 presenze segnando anche 4 gol e ponendosi prepotentemente alla ribalta nell’ambiente Azul y Oro. I dirigenti e l’allenatore non possono più far finta di non vederlo. Dàtolo è ormai una realtà e così nella scorsa stagione è sempre titolare, sia in campionato che in Coppa Libertadores e l’esplosione del centrocampista è fragorosa, diventando di fatto la stella della squadra, secondo solo all’idolo Juan Roman Riquelme. Dàtolo ha appena rifiutato una ricca offerta della Dinamo Kiev, motivando la sua scelta nella voglia di misurarsi in un campionato più competitivo di quello ucraino. Sembra che, saputo dell’opportunità di andare al Napoli a giocare con Lavezzi e Denis, il giocatore abbia fatto i salti di gioia [...]".