sabato 31 gennaio 2009

un colpo di fulmine: il cagliari di max allegri

Di Diego Del Pozzo

Ho appena visto il Cagliari vincere, dominando, a Torino contro la Juventus. E sono rimasto a bocca aperta davanti allo spettacolo offerto dalla bellissima squadra allenata da Massimiliano Allegri, fin d'ora il più autorevole candidato al titolo di allenatore italiano dell'anno.
A tratti, il Cagliari di Allegri mi ha ricordato addirittura - e non vorrei bestemmiare - l'Arsenal di Arsène Wenger, con Cossu nei panni di Nasri, Acquafresca in quelli di Adebayor e Jeda in quelli di Van Persie, supportati da un centrocampo a orologeria che ha in Biondini a sinistra una furia, in Fini a destra un instancabile pendolino e nel troppo sottovalutato Daniele Conti il centrocampista italiano assimilabile più da vicino a un illustre compagno di squadra di "papà" Bruno: il grande Paulo Roberto Falcao.
Corsa, velocità, coraggio, entusiasmo: ecco le armi principali di questa bellissima squadra, che dopo cinque sconfitte nelle prime cinque giornate ha saputo totalizzare addirittura 34 punti nelle successive 17 partite, viaggiando a un ritmo da secondo-terzo posto.
Per capire meglio cosa si nasconde dietro la squadra che sta piacevolmente stupendo l'Italia, mi piace riproporre anche qui su Calciopassioni la bella intervista a Massimiliano Allegri realizzata dal grande Paolo Condò e pubblicata questo martedì, 27 gennaio, sulle pagine della Gazzetta dello Sport. Ecco, di seguito, il testo integrale dell'intervista.
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Allegri: "Il mio Cagliari non ha più paura"
Di Paolo Condò
(La Gazzetta dello Sport - martedì 27 gennaio 2009)
Altri dodici punti per timbrare la salvezza, certo, ecco stampato l'obiettivo previsto dal manuale del bravo allenatore debuttante. Approfittando di un'antica amicizia, però, abbiamo estorto a Massimiliano Allegri qualcosa di più: il vero traguardo del Cagliari, così come gli si è palesato domenica quando Ilaria D'Amico gli ha squadernato sul video la classifica. "Guardo in alto a destra e non ci siamo. Mamma mia. Scopro in quel momento che abbiamo scollinato, per la prima volta il Cagliari è nella parte sinistra del tabellone. Beh, è una specie di zona residenziale, un quartiere modello pieno di bella gente, anche se siamo in fondo c'è una vista... Okay, lo ammetto: il mio obiettivo è non tornare a destra".
Senta Allegri, lei sembra proprio bravo ma, dopo quella partenza, il vero fenomeno è stato Cellino a non esonerarla.
"Questo è sicuro. Il presidente ha la vista lunga, e capisce realmente di calcio: lasci perdere me, e pensi ai tecnici che aveva prima, da Ballardini a Giampaolo per risalire fino a Reja. Tutta gente che sta facendo benissimo. E poi sono contento per lui anche dal punto di vista umano".
La vittoria sul Palermo è stata più pesante delle altre, vero?
"Alla vigilia Zamparini ringraziò ironicamente Cellino per avergli lasciato Ballardini. Premesso che il discorso non riguarda il mio predecessore, che qui ha fatto davvero un gran lavoro, ma soltanto i rapporti fra presidenti, non ho mai visto Cellino soddisfatto di una vittoria come quel giorno. In molti gli hanno dato del pazzo per aver puntato su di me, e dunque ogni mio successo è innanzitutto suo".
Quindi il prossimo anno resterà a Cagliari?
"Sicuramente, sempre che mi confermi. Ma esiste già un accordo".
Un concetto del suo modo di intendere il calcio. Il principale.
"Assumersi una responsabilità. Il giocatore può fare il compitino, limitandosi a eseguire il suo incarico, oppure interpretarlo con qualcosa che gli bruci dentro, il desiderio di una giocata, di un'idea alternativa. I miei sono ragazzi coraggiosi, non hanno paura della brutta figura o del 5 sulla Gazzetta; quando arriva il momento si prendono la loro responsabilità. Il segreto del decollo è questo".
È un concetto che riguarda anche lei. Nel momento più difficile, dopo le famose cinque sconfitte, non ha cambiato niente.
"L'incoscienza della gioventù, immagino. Perdevamo, sì, ma giocando bene, e poi Cellino mi dava forza nello spogliatoio evitando di minacciare l'esonero. Io credo in un calcio equilibrato ma offensivo, da giocare con coraggio e — diciamolo — divertendosi. Sono fatto così, non potrei passare le giornate sempre triste o incazzato, non è nella mia natura. E non mi sento mica strano. Ancelotti mi pare uno rispettato dai suoi giocatori eppure la battuta o la risata non se la fa mai mancare. Sul lavoro sono un gran rompiscatole. Ma una volta usciti dal campo, se qualcuno dei miei ventenni vuole un consiglio sentimentale glielo do volentieri, con tutti i casini che ho combinato io a quell'età ci mancherebbe che facessi il pretino".
L'Italia si è accorta di lei il giorno di Inter-Cagliari.
"A un certo punto Mourinho mi manda contro cinque punte. Se mi chiudo in difesa mi squarta, il più piccino di loro è alto un metro e 98... Dico alla squadra "se davanti sono in tanti, vuol dire che dietro sono in pochi, dunque si va all'attacco". Il rimpianto non è il pari subito, quello è normale; il rimpianto è non aver vinto 3-1 come avremmo dovuto. Gli spazi intasati sono il territorio del campione, quello che in un metro quadrato fa cose incredibili; gli spazi larghi, invece, sono il territorio del tecnico, perché ci puoi disegnare lo schema che ti porta a dama".
Leggiamo in filigrana, e con assoluto piacere, i fondamenti del suo filosofo preferito: Giovanni Galeone.
"Ben detto, il Gale è proprio un filosofo. Del tanto che mi ha insegnato, la tattica è quasi il meno: lui sa come trattare i ragazzi. Quando arrivai a Pescara da Pavia ero un trequartista di C1 ricco di qualità e presunzione. Lui mi disse: 'Se non cambi posizione, in B non vedrai mai la palla, prova a fare la mezzala'. Da quel giorno giocai sempre; il Gale aveva chiesto uno sforzo ma poi mi sosteneva. Si prendeva la responsabilità di sostenermi".
Acquafresca è davvero l'erede di Inzaghi?
"Assolutamente, in area è micidiale. Inoltre, si fa un mazzo così per aiutare la squadra; quando tornerà all'Inter non avrà certi compiti di copertura, e pensando a se stesso segnerà anche di più".
Lei a Cagliari ha giocato, ad aprile si va in spiaggia...
"Vedo che ha capito perché voglio salvarmi prima. Scherzo, un po' di mare ai calciatori fa bene. E poi questi sono bravissimi ragazzi, professionali e orgogliosi. Guardi Cossu, che è di qui: si capisce in un minuto che gioca per qualcosa di più nobile dello stipendio".
Il Cagliari dei suoi tempi visse una straordinaria coppa Uefa. A Trabzon, Turchia profonda, lei scodellò al 90' un assist a Dely Valdes che valse l'1-1: in tribuna stampa ci disponemmo a testuggine per respingere i "complimenti" dei tifosi locali.
"Che bei ricordi, la coppa Uefa mi è sempre piaciuta un sacco...".

venerdì 30 gennaio 2009

caso mannini: la legge è uguale per... totti?

Di Diego Del Pozzo

Ancora sulla vergognosa vicenda della squalifica di Daniele Mannini per un anno, voglio segnalare un interessante articoletto tratto dal quotidiano "Il Mattino" di oggi. L'articolo in questione riguarda la disparità di trattamento tra Mannini e un altro calciatore italiano ben più noto e significativo, a dimostrazione di come, anche nel mondo del calcio, la legge non sia mai uguale per tutti. O, sarebbe meglio dire, per Totti?
"Ritardo al controllo antidoping, un caso - si legge sul quotidiano partenopeo - che ha riguardato anche un campione del mondo. Francesco Totti, capitano della Roma, non si presentò subito nella saletta dopo la partita con il Torino del 13 maggio 2007: quindici minuti, qualcuno in più di quelli che Mannini e Possanzini avrebbero trascorso qualche mese dopo negli spogliatoi di Brescia. Il caso venne segnalato dal medico di servizio allo stadio Olimpico e Totti venne in gran segreto convocato dal procuratore del Coni, Ettore Torri, al Foro Italico. Non scattò il deferimento nei suoi confronti, il capitano della Roma esibì un certificato medico: si era presentato in ritardo al controllo antidoping per sottoporsi a cure alla caviglia. L’episodio emerse il 12 ottobre, cinque mesi dopo: 'Archiviazione'. Ma i vertici del Coni non erano stati informati della convocazione di Totti da parte del dottor Torri".
Su questa vicenda segnalo anche il come al solito illuminante parere di Stefano Olivari in un intervento leggibile sul suo bel blog "Indiscreto".

giovedì 29 gennaio 2009

anche "calciopassioni" grida: "forza daniele!!!"

Di Diego Del Pozzo

Alla fine la sentenza è arrivata, dopo un "tira e molla" crudele e insensato come tutta questa assurda vicenda. E la cosa più crudele è che la sentenza sia arrivata proprio nel giorno del venticinquesimo compleanno di Daniele Mannini, come uno scherzo di pessimo gusto che, in quanto tale, non fa ridere proprio nessuno.
Veniamo ai fatti: il giocatore del Napoli Daniele Mannini e quello del Brescia Davide Possanzini sono stati squalificati per un anno dal Tribunale amministrativo dello sport di Losanna (Tas) per essersi presentati in ritardo a un test antidoping dopo la partita della squadra lombarda (nella quale, all'epoca, militava anche Mannini) con il Chievo del dicembre 2007. La Federcalcio italiana aveva assolto i due giocatori, il tribunale nazionale antidoping del Coni li aveva condannati a 15 giorni di squalifica (già scontati), la Wada (l'agenzia mondiale antidoping) aveva, però, fatto ricorso. Avendo già scontato 15 giorni, la sospensione di Mannini e Possanzini si concluderà il 14 gennaio 2010. Ai calciatori è stata imputata la "non cooperazione con i responsabili dei controlli antidoping", che equivale a "un rifiuto di sottomettersi ai test antidpoing". Il Tas ha concesso a Mannini e Possanzini anche delle attenuanti, visto che il ritardo comporta la violazione degli articoli 10.4.1 e 10.2 che varrebbe almeno due anni di squalifica, sanzione "ridotta al massimo della metà se l'atleta non ha commesso un errore o una negligenza particolare".
Sì, perché in realtà né Mannini né Possanzini sono poi risultati positivi al controlo antidoping. Il loro ritardo di venticinque minuti fu dovuto semplicemente a una energica ramanzina che il presidente del Brescia, Gino Corioni, fece all'intera squadra, dopo la sconfitta interna col Chievo, tenendola chiusa per parecchi minuti all'interno dello spogliatoio. Il medico addetto al controllo antidoping fu invitato a entrare in spogliatoio per accertarsi che non stesse accadendo nulla di illecito, ma preferì attendere all'esterno e procedere poi, venticinque minuti dopo, ai controlli che risultarono negativi.
La carriera di due atleti che non hanno commesso alcuna infrazione, dunque, viene messa seriamente in pericolo a causa della demenza di chi gestisce quella che dovrebbe essere la principale agenzia mondiale nella lotta al doping e che, invece di perseguire duramente quegli atleti che davvero barano mettendo a repentaglio la propria salute e la regolarità delle competizioni alle quali partecipano, preferisce accanirsi su due calciatori non di primissimo livello in quanto a notorietà, trattandoli come se avessero davvero commesso qualche reato. Particolarmente significativo è il parere dell'avvocato Mattia Grassani, che oltre a essere il difensore di Mannini in questa allucinante vicenda è il principale esperto italiano di diritto sportivo. "È una sentenza scioccante e allucinante, poiché Mannini e Possanzini - sottolinea Grassani - sono stati trattati peggio e come atleti dopati conclamati. L'iter stesso di tutti i gradi di giudizio - aggiunge l'avvocato - ha avuto un andamento incredibile: in primo grado, davanti alla Figc, assolti; in secondo grado, davanti al Coni, condannati per una leggerezza a quindici giorni di squalifica; in terzo grado, davanti al Tas di Losanna, condannati a un anno. Non c'è certezza di regole, non c'è certezza di diritto, si gioca con la salute degli sportivi, perché sul doping non ci sono più regole; e sulla carriera di due atleti che, lo riconosce lo stesso Tas, non hanno assunto alcuna sostanza dopante. Dal momento che le prestazioni non sono state alterate con l'assunzione di sostanze e medicinali vietati - conclude Grassani - non ha senso trattarli come dopati".
Per quel che può valere, in un momento tanto triste, anche Calciopassioni aderisce alla campagna "Forza Daniele!!!", promossa dal portale di informazione sportiva Napolisoccer.net, che ha aperto un indirizzo e-mail al quale è possibile inviare messaggi di solidarietà e vicinanza allo sfortunatissimo Daniele Mannini, per provare a farlo sentire meno solo. L'indirizzo e-mail è: forzadanielemannini@libero.it.
Mi raccomando, scrivete numerosi a Daniele, perché in questo momento ha bisogno di tutto il sostegno possibile.

mercoledì 28 gennaio 2009

petizione: salviamo il calcio, vogliamo la moviola in campo


Comunicato stampa dei quotidiani telematici di informazione sportiva Tuttonapoli.net, Napolisoccer.net, Il pallone in confusione

Salviamo il calcio, vogliamo la moviola in campo

A: Figc, Lega Calcio

Dopo il numero elevato di errori arbitrali, che ricorrono troppo spesso dall'inizio del campionato, chiediamo a tutte le istituzioni calcistiche di introdurre al più presto la moviola in campo. Al contrario degli altri sport professionistici, soltanto il calcio resiste impassibile all'introduzione delle moderne tecnologie: il mondo dell'italica pedata vuole restare purtroppo ancorato a quella "età dei pionieri", come diceva il grande Gianni Brera, di inizio '900 quando le partite erano disputate con palloni di cuoio e le teste dei giocatori erano fasciate dalle retine. Invece, le altre discipline hanno fatto passi da gigante. Ad esempio il tennis: durante l'Australian Open 2007 i giocatori avevano la possibilità con l'instant replay di contestare le chiamate due volte per set, oltre un altro eventuale utilizzo nel tie break. La stessa cosa, anche se con modalità diverse avviene nel football americano, nel rugby e nel basket.
Nell'era del calcio a scopo di lucro, inaugurata con la legge Veltroni del 1996, è necessaria l'introduzione della moviola per evitare le continue polemiche dopo ogni giornata di campionato. Gli errori arbitrali possono condizionare l'esito di una stagione ed escludere una squadra dalle coppe europee oppure condannarla alla retrocessione: con conseguenti danni patrimoniali ingenti.
Chiediamo ai tifosi di tutte le squadre e ai colleghi di tutti i mezzi di informazione di aderire a questa nostra raccolta di firme, che successivamente inoltreremo alle istituzioni calcistiche. Se lo sport più amato dagli italiani non si adeguerà ai tempi, rischierà di morire a poco a poco. Perché errare è umano, ma perseverare è diabolico.
La petizione si può firmare sul link http://firmiamo.it/salviamoilcalciovogliamolamoviolaincampo1 del sito http://www.firmiamo.it/.

Marco Liguori – direttore de "il pallone in confusione"
Francesco Molaro – direttore di "Tuttonapoli.net"
Massimo Sergio – direttore di "Napolisoccer.net"

martedì 27 gennaio 2009

giorno della memoria: recensione del libro "dallo scudetto ad auschwitz"

Di Diego Del Pozzo

In occasione del "Giorno della memoria", voglio segnalare nuovamente, anche ai lettori di Calciopassioni, un libro bellissimo e tremendamente utile, che mi è capitato di leggere qualche tempo fa. Si tratta di un volume che, secondo me, andrebbe proposto nelle scuole e fatto leggere ai più giovani, in modo da far loro comprendere fino in fondo, attraverso un argomento amato e tutto sommato quotidiano come il calcio, come la follia possa spazzar via la ragione e come il male assoluto possa concretamente distruggere, da un momento all'altro, le esistenze reali di ciascuno di noi.
Il libro si intitola Dallo scudetto ad Auschwitz, lo ha scritto l'attuale direttore del "Guerin Sportivo", Matteo Marani, per l'editore Aliberti di Reggio Emilia.
In questo pregevole volume, Marani ricostruisce egregiamente la vicenda umana e professionale di Arpad Weisz, grandissimo e oggi semi-dimenticato allenatore ungherese, di origine ebraica, capace di vincere nell'Italia degli anni Trenta ben tre scudetti, sia con l'Inter (uno: il primo col campionato a girone unico, nel 1929-'30) sia col Bologna del "mitico" presidente Dall'Ara (due campionati, ma anche il trionfo del 1937 nel Trofeo delle Esposizioni a Parigi, in pratica una Champions League dell'epoca, sbalordendo l'Europa intera con un 4-1 ai maestri inglesi del Chelsea). Ma capace, soprattutto, attraverso il suo genio tecnico-tattico e grazie a un approccio scientifico rivoluzionario al mestiere di allenatore, di anticipare di decenni le innovazioni nel modo di affrontare questa professione, lasciando così una traccia profonda sul calcio italiano a venire, senza che, fino al libro di Marani, praticamente quasi nessuno gliene avesse reso esplicitamente merito.
Sì, perché Weisz, un bel giorno di fine ottobre 1938, si dimette da allenatore del Bologna e sparisce all'improvviso dalla città che lo venera per i risultati raggiunti dallo squadrone "che tremare il mondo fa"; sparisce senza lasciare traccia, assieme a sua moglie e ai suoi due bambini, come fossero stati inghiottiti dalla terra. Da allora, per quasi settant'anni, nessuno in Italia si interrogherà sul destino di quell'uomo che pure Vittorio Pozzo (il ct bicampione del mondo nel 1934 e nel 1938) aveva indicato come modello e punto di riferimento imprescindibile. Weisz sparisce, infatti, quando l'Italia diventa un Paese invivibile, soprattutto se sei ebreo: l'ignominia delle leggi razziali - delle quali è ricorso nel 2008 il settantesimo anniversario - toglie, infatti, l'aria intorno a lui e alla sua famiglia, lo priva del lavoro e della dignità e lo costringe alla fuga per cercare di salvare la pelle. Prima in Francia, poi in Olanda, dove purtroppo l'odissea sua e dei suoi familiari si concluderà, al momento dell'invasione nazista, con la deportazione nei campi di sterminio di Auschwitz, dove i Weisz troveranno la morte.
Nel suo libro, coinvolgente e avvincente anche per il bel ritmo e per la prosa estremamente scorrevole, Matteo Marani procede come in un'autentica inchiesta poliziesca, abbinando dunque l'acume del detective a quello del ricercatore storico quale evidentemente è per formazione e studi (azzardiamo, ma crediamo di essere nel giusto). Così, l'autore ricostruisce tassello per tassello la vita quotidiana dell'uomo, attraverso documenti inediti ed emozionanti interviste di prima mano. Bellissima e molto commovente, tra queste ultime, è in particolare quella all'anziano signore bolognese, Giovanni Savigni, che da bambino fu il migliore amico del figlio di Weisz (il piccolo Roberto) e che, a sua volta, aveva inseguito per tutta la vita le tracce perdute del compagno di giochi: è proprio da questo incontro struggente e decisivo che Marani trova nuova forza per procedere oltre nel suo lavoro di ricostruzione, soprattutto per quel che riguarda la totalmente sconosciuta parentesi olandese di Arpad Weisz come allenatore del piccolo Dordrecht.
La ricostruzione storica impeccabile e rigorosa si affianca a quella che lo stesso Marani sottolinea essere un'interpretazione plausibile dei pensieri e degli stati d'animo di un uomo che sente ogni giorno di più mancargli il terreno sotto i piedi. In particolare nella sua seconda parte, il libro diventa, infatti, un autentico viaggio nell'orrore: il lettore si trova quasi a vivere in prima persona, accanto alla famiglia Weisz, la loro fuga attraverso l'Europa; si trova a soffocare all'interno dei treni piombati, sporchi e senz'aria, diretti verso una destinazione dalla quale non si sarebbe fatto più ritorno; si trova col cuore sanguinante a soffrire il momento della separazione dalla propria moglie e dai propri figli, quando i prigionieri vengono divisi in vari gruppi dagli aguzzini senz'anima; si trova, infine, accanto ad Arpad nei suoi ultimi giorni di vita, segnati dal vuoto e dallo sgomento di fronte all'impazzimento che ha divorato il mondo.
Con Dallo scudetto ad Auschwitz, dunque, Matteo Marani ottiene due significativi risultati con un colpo solo: da un lato, infatti, colma una lacuna gravissima e quasi inspiegabile nella storiografia del calcio italiano, dando infine la giusta dignità a un allenatore di straordinaria rilevanza come Arpad Weisz (scopritore, tra l'altro, di Giuseppe Meazza); dall'altro lato, però, riesce a proporre ai lettori un esempio di saggistica civile autorevole e al tempo stesso commovente per la sua sincerità, di quelle che quando le leggi ti cambiano dentro e ti rendono migliore di com'eri prima.

Matteo Marani, Dallo scudetto ad Auschwitz. Vita e morte di Arpad Weisz, allenatore ebreo, Aliberti editore, 2007 - 208 pagine, 14 euro

lunedì 26 gennaio 2009

perché la juve merita lo scudetto

Di Diego Del Pozzo

Non pensavo che avrei mai potuto scrivere una cosa simile. Ma, come si dice, nella vita mai dire mai.
Ecco, dunque, a mio modestissimo avviso, dieci validi motivi per i quali la Juventus merita di vincere questo campionato:
1) Per necessità o per scelta, è da un paio di anni l'unica società italiana di vertice a puntare davvero sulla valorizzazione dei giovani, principalmente formati nel suo vivaio;
2) La fedeltà dei suoi campioni-simbolo - Del Piero, Buffon, Nedved, Camoranesi, Trezeguet - merita di essere premiata, in qualche modo, poiché non hanno abbandonato la barca nel momento del naufragio e hanno accettato - alcuni addirittura da neo-campioni del mondo - di giocare in Serie B e tenersi lontani per un paio d'anni dalla ribalta internazionale della Champions League;
3) Si tratta della prima - per la verità, finora è l'unica - società italiana che ha deciso di investire sullo stadio di proprietà "all'inglese", in modo da aumentare, per il futuro, le entrate e da differenziarle come fanno le società internazionali più all'avanguardia;
4) Conseguenza del punto precedente è che, nonostante il controllo da parte di una delle due famiglie più potenti d'Italia (gli Agnelli), la società abbia deciso di gestirsi in maniera più oculata e di camminare con le proprie gambe, evitando le ricapitalizzazioni selvagge sul modello di quelle interiste-morattiane;
5) Il suo allenatore, Claudio Ranieri, ha finora raccolto, nell'arco della sua carriera, molto meno di quanto abbia seminato, a differenza del "rivale" Mourinho, abilissimo anzitutto a promuovere se stesso;
6) Finora, ha giocato quasi tutto il campionato priva di alcune sue stelle, in grado di fare la differenza in qualunque squadra: innanzitutto, Buffon (rientrato soltanto ieri), Camoranesi e Trezeguet;
7) Si trova a soli tre punti dall'Inter nonostante l'impressionante mole di infortuni che l'ha colpita dall'inizio della stagione;
8) Conseguenza dei due punti precedenti: ha dovuto giocare lo scontro diretto di San Siro con l'Inter praticamente con la "Squadra B";
9) Ha un sistema di gioco che, come dimostrato dalla reazione ai tanti infortuni, riesce a prescindere persino dalla presenza di alcuni interpreti apparentemente insostituibili. Al contrario dell'Inter di Mourinho, priva finora di un'idea di gioco chiara e troppo appiattita sui suoi sempre presenti solisti (su tutti Julio Cesar, Maicon e Ibrahimovic, assenti soltanto in caso di squalifica e quasi sempre decisivi ben al di là dei meriti del resto della squadra);
10) Ha saputo superare alla grande un momento di enorme difficoltà, anche ambientale, dopo la sconfitta di Napoli, reagendo con l'orgoglio dei suoi vecchi campioni e la freschezza e irriverenza dei suoi giovani di talento.

domenica 25 gennaio 2009

pensiero della settimana: la compensazione

Di Diego Del Pozzo

Ma sarà vero che a fine campionato gli errori a favore e a sfavore si compensano? La realtà mi dice continuamente di no.

sabato 24 gennaio 2009

gli "straordinari" entusiasti

Di Diego Del Pozzo

Può un'occasione da gol essere "mitica"? E può un tiraccio da fuori area mezzo "ciccato" essere "straordinario"? Ebbene sì. Basta sintonizzarsi sulle frequenze di Sky Sport e assistere a una qualsiasi partita di calcio, italiana o internazionale, con tanto di telecronaca e commento tecnico sparato a mille e più decibel.
Lo stile dei ragazzi della tivvù satellitare di Rupert Murdoch, infatti, è sempre a metà strada tra l'urlatore e il piazzista; e la loro principale preoccupazione - e non fanno mai nulla per nasconderlo - sembra essere quella di invogliare lo spettatore a sottoscrivere un "pacchetto" in più, magari quello "Calcio" se si è dotati solo di "Sport", o viceversa. Così, ogni partita diventa uno "spettacolo unico e irripetibile", ogni amichevole un "evento magico e straordinario" (proprio questo è il termine in assoluto più utilizzato), ogni confuso rimpallo in area una "clamorosa occasione da gol".
Insomma, dopo una mezz'ora di partita, con questo commento ansiogeno e forzatamente adrenalinico, il mal di testa è garantito e il rimpianto per il buono, caro, vecchio stile Rai, soporifero ma almeno rispettoso delle coronarie del telespettatore, si fa sempre più forte.
E che dire di una piovosa giornata invernale trascorsa a seguire le dirette delle partite della "mitica" - lei si che lo è davvero! - F.A. Cup, sentendosi ripetere per un centinaio di volte a incontro che l'atmosfera di questa manifestazione è "davvero unica", che gli spettatori offrono "uno spettacolo straordinario" e che solo qui è possibile vedere i dilettanti che battono i professionisti? Magari sarà anche vero, ma perché lo si deve ripetere ogni cinque-sei minuti? E, soprattutto, perché lo si deve declamare con un entusiasmo che appare da mille miglia lontano come costruito a tavolino, magari soltanto per rendere più appetibile un mediocre Doncaster - Aston Villa 0 - 0?

venerdì 23 gennaio 2009

mourinho come moggi?

Di Diego Del Pozzo

Certo che l'Inter è davvero una strana squadra e una ancora più strana società. Dopo aver sbandierato ai quattro venti, per anni, di essere stati la vittima principale del sistema di potere moggiano, adesso deve esser sembrato davvero strano, addirittura surreale, sentir pronunciare dal proprio allenatore - secondo quanto riportato da alcuni tra i principali quotidiani italiani - le medesime accuse solitamente fatte ai nerazzurri dai nostalgici della "Prima Repubblica Pallonara", dalle cosiddette vedove di Moggi e da tifosi, dirigenti e giocatori della Juventus.
"Il primo scudetto l'avete vinto in segreteria, il secondo senza avversari, il terzo all'ultimo minuto. Siete proprio una squadra di ...": sono queste le dure parole con le quali Josè Mourinho, sempre secondo i resoconti di stampa, avrebbe sferzato la propria squadra alla ripresa degli allenamenti dopo la bruttissima sconfitta di domenica scorsa a Bergamo.
Insomma, se ciò rispondesse al vero, si tratterebbe di accuse che avrebbe potuto pronunciare "Lucky Luciano", non certamente l'allenatore dell'Inter. E gli "scudetti degli onesti", giusto risarcimento per i tanti, troppi, torti subiti? Dove sono andati a finire?
Pare che i "senatori" della squadra, coloro che hanno vissuto sulla propria pelle una stagione che gli interisti veri preferirebbero dimenticare per sempre, si siano legati al dito le frasi del loro tecnico.
Adesso cosa accadrà? Che sia il preludio a un clamoroso addio del tecnico portoghese a fine stagione, magari per approdare alla corte dorata dello sceicco mancuniano?

giovedì 22 gennaio 2009

napoli: il "punto" alla fine del girone d'andata

Di Diego Del Pozzo

Come deve essere considerato il campionato del Napoli, al termine del girone d'andata? A quali obiettivi può realisticamente puntare, la squadra del presidente Aurelio De Laurentiis?
Finora, la stagione degli azzurri allenati da Edy Reja ha fatto gridare al miracolo quasi tutti gli osservatori, nonostante un leggero calo nelle ultime settimane e un rendimento esterno ancora insoddisfacente: quinto posto in classifica, dopo 19 giornate, con 33 punti frutto di dieci vittorie, tre pareggi e sei sconfitte (tutte in trasferta: Genoa, Milan, Atalanta, Inter, Torino e Chievo), con 27 gol fatti (sesto attacco del torneo) e 18 subìti (quinta difesa). Il San Paolo è tornato a essere un bunker inespugnabile (solo il Cagliari è riuscito a portare via un punticino, peraltro al termine di una partita sfortunatissima dei partenopei) e il gioco, almeno fino a un certo punto della stagione, ha prodotto scomposti peana in commentatori autorevoli e solitamente molto misurati nei giudizi.
E allora? Che sia arrivata la volta buona per la definitiva rinascita di una società gloriosa, che in anni recenti ha sofferto non poco, fino a patire l'onta del fallimento e della ripartenza addirittura dalla Serie C? Le premesse ci sono tutte; e i risultati conseguiti finora sono persino superiori al piano triennale che la società aveva deciso di seguire.
Il "Progetto giovani" portato avanti dal presidente De Laurentiis con la sapiente regia del direttore sportivo Pier Paolo Marino sta continuando, infatti, a produrre i suoi frutti. I giovani acquistati l'anno scorso si sono, pur con qualche oscillazione di rendimento (in alcuni casi), trasformati in campioni, appetiti dalle principali squadre italiane ed europee (Lavezzi, Hamsik, Santacroce, Gargano, per citare soltanto i nomi sulla bocca di tutti); la squadra è decisamente più solida dello scorso anno ed è cresciuta in mentalità e convinzione nei propri mezzi (anche se sarebbe auspicabile, anzi appare necessario, un deciso salto di qualità in trasferta); gli innesti di Maggio e Mannini sulle fasce hanno dotato il Napoli di una coppia di esterni italiani che, probabilmente, non ha eguali nel nostro campionato (straripanti in fase offensiva e molto attenti anche in quella difensiva); e quello del "tanque" argentino Denis, superate le incertezze iniziali, ha fornito alla squadra quel finalizzatore che prima non aveva, così simile nei movimenti e nella struttura fisica ai bei centravanti di una volta. Inoltre, la panchina è più profonda grazie a giocatori di rendimento come Pazienza, Aronica, Rinaudo e a talenti giovani e meno giovani come Bogliacino, Vitale, Russotto e Zalayeta; in mezzo al campo, Blasi sta offrendo una continuità di prestazioni da nazionale; la difesa ha in Iezzo un portiere di grande affidabilità e in Paolo Cannavaro e Contini due solidi centrali che si completano benissimo con l'ancora discontinuo talento italo-brasiliano Santacroce; il 3-5-2 di Reja, poi, resta modulo redditizio e spettacolare al tempo stesso, anche se l'allenatore dovrebbe mettere mano anche a qualche variante tattica da utilizzare in partite "particolari", come per esempio l'ultima col Chievo; infine, la preparazione atletica sembra essere stata davvero curata nei minimi dettagli da uno staff di qualità guidato dal professor Febbrari (si tenga presente che il Napoli ha iniziato a giocare a metà luglio in Intertoto e che, finora, ha mostrato soltanto piccoli cedimenti atletici, ancora abbastanza trascurabili).
Insomma, gli ingredienti sembrano essere quelli giusti per puntare a un obiettivo importante, che naturalmente quest'anno non potrà certo essere lo scudetto, ma una qualificazione diretta in Coppa Uefa direi proprio di sì, magari con la segreta speranza di sfruttare le incertezze di qualche presunta big (Milan? Roma? Fiorentina?) per approdare al sogno di quel quarto posto finale che vale i preliminari di Champions League (ma - attenzione! - per questo obiettivo è in piena corsa anche l'ambizioso Genoa del presidente Preziosi...).
Sul mercato di gennaio attualmente in corso, poi, la società potrebbe fare ulteriori investimenti, per potenziare ancora di più la rosa, sempre coerentemente con i criteri seguiti finora: si parla, infatti, di un interessamento per il nazionale Under 21 del Siena, Galloppa (ottimo centrocampista di scuola giallorossa); per l'altro mediano italo-argentino Tissone, attualmente poco impiegato nell'Udinese; e, soprattutto, di un possibile assalto al talentuosissimo diciannovenne del Brescia, Savio Nsereko (trequartista - seconda punta, miglior giocatore del torneo agli Europei Under 19 di questa estate, vinti dalla sua Germania anche grazie al suo contributo determinante).
Da parte mia, sono convinto che un Napoli nuovamente ai vertici - quarto club italiano per bacino di tifosi; e secondo, dopo la Juve, per numero di tifosi all'estero - farà del bene all'intero calcio nostrano, soprattutto se questa sua crescita dovesse continuare a essere accompagnata, com'è stato finora, da una politica basata sulla valorizzazione dei giovani talenti, magari italiani.
Dal girone di ritorno, mi aspetto sicuramente una crescita della squadra lontano dal San Paolo, soprattutto in termini di personalità; la conferma dello strepitoso rendimento casalingo; l'ulteriore valorizzazione di ragazzi di talento come Russotto e Vitale; qualche modulo alternativo al 3-5-2, per scompigliare le certezze delle avversarie; la conferma del "Pocho" Lavezzi su livelli di eccellenza e il ritorno di Hamsik ai picchi dello scorso campionato.
Ma, come sempre, le risposte arriveranno unicamente dal campo, a partire dal difficile confronto diretto di domenica pomeriggio contro la Roma.

mercoledì 21 gennaio 2009

ciao a tutti e benvenuti!

Di Diego Del Pozzo

Ciao a tutti e benvenuti!
I post che trovate qui di seguito sono stati scritti tra novembre 2008 e gennaio di quest'anno e pubblicati durante una mia precedente esperienza on line sul blog Febbre a 90, realizzato su Splinder assieme agli amici pingu71 e magoal merlino (il mio pseudonimo era diegulp).
Li ripropongo qui, su questo mio blog personale, con tanto di data della prima pubblicazione, in modo da dare a questo nuovo luogo virtuale una sua piccola storia, un po' di archivio che serva, fondamentalmente, a tenere insieme argomenti ai quali volevo dare una "casa comune", piccola ma accogliente.
A partire da domani, su Calciopassioni potrete leggere nuovi post, coerenti con quella che è l'identità di questo blog (per saperne di più, leggete qui a lato): post sulle mie passioni calcistiche, ma non solo; "punzecchiature" riguardanti ciò che secondo me non va; recensioni di libri di calcio e non; approfondimenti e analisi di varia natura; ripescaggi di storie più o meno conosciute del presente e del passato. Ovviamente, tutto sarà firmato senza pseudonimi, poiché le passioni sono personali ed è giusto che si sappia di chi realmente sono.
A questo punto, dunque, non mi resta che augurarvi buona lettura e darvi appuntamento a domani col primo post nuovo di Calciopassioni.

inghilterra: risultati del terzo turno di f.a. cup

Prima pubblicazione: martedì, 06 gennaio 2009

Si è concluso, col posticipo di ieri sera, il terzo turno della F.A. Cup, la tradizionale Coppa d'Inghilterra, che si è confermata ineguagliabile per quanto riguarda l'atmosfera e le suggestioni, offrendo al tempo stesso anche buoni spunti tecnici e agonistici.Ecco il link con tutti i risultati, dal sito ufficiale della manifestazione: www.thefa.com/TheFACup/TheFACup/Results/.

Va ricordato che, poiché la formula è a eliminazione diretta in partita secca, le squadre vincenti si sono già qualificate per il quarto turno mentre i match terminati in parità saranno disputati nuovamente, la prossima settimana, a campi invertiti.
Intanto, in Italia, i nostri prodi hanno appena ripreso la preparazione, dopo quasi un mese di vacanza!!!

i numeri del napoli prima della ripresa

Prima pubblicazione: sabato, 03 gennaio 2009

Interessante articolo appena pubblicato nella sezione "Napoli" del sito Tuttomercatoweb.it: vi si analizza il cammino degli azzurri in campionato, fino al momento della pausa natalizia, servendosi dell'oggettività dei numeri.
Ecco il link dell'articolo, opportunamente intitolato "Il Napoli ai raggi x": http://www.tuttomercatoweb.com/napoli/?action=read&idnotizia=31416

ancora sulla "piramide invertita"

Prima pubblicazione: mercoledì, 31 dicembre 2008

Ancora a proposito di Inverting the Pyramid, il libro di Jonathan Wilson sull'evoluzione delle tattiche calcistiche dalle origini ai giorni nostri, voglio segnalare, in chiusura di anno, una dettagliata recensione di Stefano Faccendini pubblicata giovedì 27 novembre sulla fanzine on line "UK Football, please". Ecco il link per leggersi questa recensione: http://ukfootballplease.blogspot.com/search?q=Inverting.

le tattiche del calcio in un libro bellissimo

Prima pubblicazione: domenica, 28 dicembre 2008

Nel mese di giugno di quest'anno è uscito sul mercato anglosassone il libro che tutti gli appassionati e studiosi di calcio aspettavano da sempre: s'intitola Inverting the Pyramid (sottotitolo: The History of Football Tactics), l'ha scritto il noto Jonathan Wilson e l'ha pubblicato l'editore Orion Books (384 pagine con illustrazioni, 18.99 sterline). Il libro è una accuratissima storia del calcio in tutto il mondo, dalle origini ai giorni nostri, attraverso l'evoluzione delle tattiche di gioco: la piramide invertita alla quale ci si riferisce nel titolo è, ovviamente, quella - raffigurata anche nell'illustrazione di copertina - che vede contrapposte due tattiche agli antipodi, dal punto di vista temporale e concettuale, come il 2-3-5 di fine Ottocento e, per esempio, l'attualmente utilizzatissimo "modulo ad albero di Natale" basato sul 4-3-2-1.
Per ora, su Inverting the Pyramid, ho potuto soltanto leggere un po' di articoli e recensioni su Internet, in attesa di trovarmi concretamente tra le mani quello che si preannuncia davvero come un piccolo, grande gioiello della saggistica calcistica e, più in generale, sportiva. Ovviamente, appena ho potuto, ho ordinato il volume di Wilson sul sito italiano Internet Bookshop (www.ibs.it), che lo vende nella sezione "books" all'onesto prezzo di 23.23 euro e lo consegna entro 4-5 settimane dal momento dell'ordine.
Dunque, in attesa di una mia recensione più meditata, per ora mi piace segnalare un po' notizie utili alla comprensione di ciò che contiene questo libro straordinario. Innanzitutto, rigorosamente in lingua madre e direttamente dal sito dell'editore britannico, ecco le note pubblicate nel risvolto di copertina: "Whether it's Terry Venables keeping his wife up late at night with diagrams on scraps of paper spread over the eiderdown, or the classic TV sitcom of moving the salt & pepper around the table top in the transport cafe, football tactics are now part of the fabric of everyday life. Steve McLaren's recent switch to an untried 3-5-2 against Croatia will probably go down as the moment he lost his slim credibility gained from dropping David Beckham; Jose Mourinho, meanwhile, is often brought to task for trying to smuggle the long ball game back into English football (his defence being his need to 'break the lines' of banks of defenders and midfielders). Jonathan Wilson is an erudite and detailed writer, but never loses a sense of the grand narrative sweep, and here he pulls apart the modern game, traces the world history of tactics back from modern pioneers such as Rinus Michels and Valeriy Lobanovskyi, the Swiss origins of Catenaccio and Herbert Chapman, right back to beginning where chaos reigned. Along the way he looks at the lives of great players and thinkers who shaped the game, and probes why the English, in particular, have 'proved themselves unwilling to grapple with the abstract'. This is a modern classic of football writing to rank with David Winner's 'Brilliant Orange' and Simon Kuper's 'Football Against the Enemy'.".

Credo, poi, che sia utile segnalare anche l'indice del libro:
Prologue
Chapter One: From Genesis to the Pyramid
Chapter Two: The Waltz and the Tango
Chapter Three: The Third Back
Chapter Four: How Fascism Destroyed the Coffee House
Chapter Five: Organised Disorder
Chapter Six: The Hungarian Connection
Chapter Seven: Harnessing the Carnival
Chapter Eight: The English Pragmatism (1)
Chapter Nine: The Birth of the New
Chapter Ten: Catenaccio
Chapter Eleven: After the Angels
Chapter Twelve: Total Football
Chapter Thirteen: Science and Sincerity
Chapter Fourteen: Fly Me to the Moon
Chapter Fifteen: The English Pragmatism (2)
Chapter Sixteen: The Coach Who Wasn't a Horse
Chapter Seventeen: The Turning World
Epilogue
Bibliography
Index

A proposito di Inverting the Pyramid, infine, ecco quello che scrive Roberto Gotta sulla prima pagina del numero di questo mese di "Mister Football", l'indispensabile mensile del calcio inglese allegato al "Guerin Sportivo" in edicola ogni ultimo martedì del mese: "Il libro di Wilson ci ha quasi angosciati nel vedere la ricchezza delle fonti e la profondità delle ricerche, che devono avergli portato via una quantità di tempo e richiesto un'attenzione che nemmeno possiamo immaginare. [...] Nel libro si parla di tutto il calcio, non solo di Inghilterra che viene comunque seguita con grande attenzione, e questo permette di avere una visuale globale e non ristretta".
Insomma, quello di Jonathan Wilson sembra essere davvero un libro destinato a segnare un punto di svolta e ripartenza nel settore della saggistica sportiva. Naturalmente, sarebbe auspicabile - soprattutto per rispetto verso chi non "mastica" la lingua inglese - una veloce e curata traduzione italiana da parte di qualche editore nostrano.

argentina: boca campione

Prima pubblicazione: mercoledì, 24 dicembre 2008

Nonostante ciò che pensa e propaganda la dirigenza del Milan, la squadra più titolata del mondo è un'altra: il Boca Juniors. E da stanotte lo è ancora di più, poiché ha vinto il campionato argentino di Apertura 2008, al termine di uno spareggio a tre drammatico ed equilibratissimo, nel quale ha avuto la meglio su Tigre e San Lorenzo soltanto grazie a un gol in più nella differenza reti del minitorneo di spareggio.
Stanotte, infatti, il Boca è stato sconfitto 1-0 dal Tigre, dopo avere, però battuto 3-1 il San Lorenzo che a sua volta aveva vinto 2-1 contro gli uomini di Diego Cagna. Insomma, solo il terzo gol nel 3-1 sul "Ciclòn" ha fatto sì che lo squadrone allenato da Carlos Ischia potesse laurearsi campione di Argentina, al temine di una stagione equilibrata come non mai. E va sottolineato che il gol del 3-1 sul San Lorenzo era arrivato soltanto al novantaduesimo minuto!!!
Il minitorneo di spareggio ha offerto poco bel gioco, molto nervosismo e tantissime emozioni, calamitando comunque gli occhi di tutto il mondo del calcio su quello che, anche quest'anno s'è confermato come un torneo bellissimo e, soprattutto, estremamente avvincente.
Come al solito, mi piace segnalare i link del bel sito Calcioargentino.com, sul quale potete leggere cronache più dettagliate: http://www.calcioargentino.com/cawp/.

argentina: primo round al san lorenzo

Prima pubblicazione: giovedì, 18 dicembre 2008

Il "Ciclòn" ha matato il "Matadòr". Il primo round degli spareggi a tre per il titolo dell'Apertura 2008 argentino, infatti, è andato al San Lorenzo (squadra soprannominata "Ciclòn"), che ha dominato ben oltre il punteggio finale di 2-1 un Tigre (il "Matadòr") intimorito e deludente soprattutto nel suo uomo più atteso, quel Martin Morel addirittura sostituito alla fine di un primo tempo da ectoplasma.
L'appuntamento, adesso, è per sabato sera (ore 18.30 argentine, 21.30 italiane, diretta televisiva su Sportitalia), quando si affronteranno al "Cilindro" di Avellaneda lo stesso San Lorenzo e il Boca Juniors. In caso di successo del "Ciclòn", i giochi sarebbero fatti e non ci sarebbe bisogno di disputare il terzo match tra Boca e Tigre.
Per un commento più dettagliato, può essere utile consultare l'ottimo sito italiano dedicato al calcio argentino che già abbiamo segnalato tra i nostri link. L'indirizzo del loro articolo sul match di ieri sera è: http://www.calcioargentino.com/cawp/?p=788#more-788.

clamoroso in argentina: spareggio a tre

Prima pubblicazione: lunedì, 15 dicembre 2008

Non so se da qualche altra parte nel mondo si era già verificata una simile situazione: certo che si tratta, comunque, di un caso più unico che raro. Di che sto parlando? Ma, naturalmente, di quello che è successo, nel fine settimana, in Argentina, dove si giocava la giornata conclusiva del campionato di Apertura 2008.
Ebbene, al termine delle partite, si sono ritrovate a pari punti, a quota 39, addirittura tre squadre: le blasonate Boca Juniors e San Lorenzo e la novità Tigre. E il regolamento, che prevede lo scontro diretto per assegnare il titolo in caso di parità, ha così prodotto un originalissimo e inedito spareggio a tre: un autentico triangolare, che si disputerà in partita unica in campo neutro da mercoledì prossimo a martedì 23, col titolo di campione, dunque, a fare da prezioso regalo di Natale per la vincitrice.
Le partite si disputeranno col seguente calendario: mercoledì 17, Tigre-San Lorenzo (ore 18.30 locali, Stadio "Josè Amalfitani" di Liniers, il "Fortìn" del Velez Sarsfield); sabato 20, San Lorenzo-Boca (ore 18.30, Stadio "Juan Domingo Peròn", il mitico "Cilindro", casa del Racing Avellaneda); martedì 23, Boca-Tigre (ore 21.30, ancora al "Cilindro" di Avellaneda). Gli appassionati italiani potranno seguire tutte e tre le partite in diretta su Sportitalia, che detiene l'esclusiva per l'Italia del campionato argentino e offre ogni settimana un servizio di notevole livello sia con le dirette degli incontri che con l'ottimo magazine riepilogativo.
Agli spareggi le tre squadre arrivano in un buon momento di forma, reduci da tre vittorie nella giornata conclusiva e tutte con i giocatori più rappresentativi - Martin Morel per il Tigre (ex "canterano" del Boca e probabilmente miglior giocatore di questo Apertura), Juan Romàn Riquelme per il Boca, Gonzalo Bergessio per il San Lorenzo - che sembrano essere al loro meglio.
Ovviamente, tutta l'Argentina neutrale farà il tifo con forza e convinzione per la "cenerentola" Tigre, che peraltro può vantare già un terzo posto nell'Apertura 2007, conquistato addirittura da neopromossa nella massima serie.

un napoli inesperto, ma poteva finire meglio

Prima pubblicazione: lunedì, 01 dicembre 2008

Non è possibile giocare a San Siro contro l’Inter letteralmente dormendo per la prima mezz’ora e lasciando un uomo in più agli avversari per ben 66 minuti, cioè fino alla sostituzione di un impalpabile Hamsik, che ha “toppato” il secondo “big match” meneghino, dopo quello altrettanto deludente giocato contro il Milan. Partendo da questo semplice doppio assunto ci si rende facilmente conto dell’impossibilità di una vittoria del Napoli, domenica scorsa, sul campo della capolista.
Eppure, eppure… Dopo la prima mezz’ora di assenza, il giovane Napoli scendeva finalmente in campo al “Meazza”, iniziava a pressare i nerazzurri con maggiore convinzione, a tenere difesa e centrocampo più vicini tra loro (e, quindi, più “alti”), a far girare meglio la palla… Peccato che, dal ventiseiesimo minuto, si fosse già sul 2-0 per l’Inter.
Eppure, eppure… Dopo il fantagol di Lavezzi, ben assistito di tacco da uno Zalayeta lento come al solito ma comunque piuttosto utile alla manovra azzurra, il Napoli di Edy Reja conquistava ulteriormente campo, dando la concreta impressione di poter riaprire la partita. Infatti, all’inizio del secondo tempo, soltanto un notevole recupero di Samuel impediva a uno scatenato Lavezzi, ottimamente lanciato in verticale verso la porta di Julio Cesar, di battere a rete per il 2-2. E per l’intera seconda frazione di gioco il Napoli assumeva il quasi totale controllo del centrocampo, gestendo con fluidità il possesso palla e scandendo la partita al ritmo più congeniale. Certo, i tiri verso la porta interista erano davvero pochi, ma la supremazia territoriale teneva in costante allarme i nerazzurri, costringendo Mourinho ad adattare la propria squadra all’avversario e finanche a effettuare la più classica delle sostituzioni “trapattoniane” (Burdisso per Stankovic), difendendo a cinque negli ultimi minuti, pur di blindare la propria porta. A tutto ciò bisognava aggiungere, per l’intero secondo tempo, le costanti perdite di tempo dei giocatori interisti e l’atteggiamento intimidatorio al limite dell’antisportivo da parte di alcuni di loro, in particolare l’intrattabile Muntari, che si candida fin d’ora al titolo di “giocatore più odiato dalle tifoserie avversarie”.
E chissà che cosa sarebbe successo se, a pochi minuti dal fischio finale, l’arbitro Rosetti avesse voluto vedere l’evidente ancata di esperienza con la quale Maxwell buttava a terra un Lavezzi lanciato a rete a tutta velocità, invece di fischiare contro il Napoli e ammonire, in modo assurdo, il “Pocho” per una inesistente simulazione… Ma, si sa, a San Siro, contro le due squadre con le maglie a strisce verticali, da questo punto di vista bisogna sempre pagare un po’ di dazio. Soprattutto se si è ancora piuttosto inesperti come i giocatori del Napoli.
Comunque, e questa è una consolazione, per il secondo tempo disputato il pareggio del Napoli sarebbe stato un risultato giusto; e, in ogni caso, questa sconfitta rappresenta una ulteriore tappa lungo un evidente processo di crescita di una squadra che continua a non nascondere le proprie ambizioni e che, quindi, deve continuare a guardare con la giusta fiducia al prosieguo di questo finora ottimo campionato.

un "campiomatto" davvero equilibrato?

Prima pubblicazione: martedì, 25 novembre 2008

Fin dalla prima giornata dell'attuale campionato di Serie A i principali mass media italiani continuano a parlare di "campiomatto" (Gazzetta dello Sport), equilibrio imprevisto, sorprese fuori da ogni pronostico, eccetera, eccetera. Spesso, tuttavia, lo fanno con una malcelata ironia, con un po' di fastidio e, comunque, considerando il fenomeno come transitorio e inevitabilmente destinato "a rientrare".
In realtà, con l'arrivo dei primi freddi, ai vertici della classifica ci sono due delle favorite. Subito dietro, però, assieme alla Juve, continuano a reggere diverse cosiddette squadre-sorpresa, prima tra tutte il giovane Napoli di Hamsik e Lavezzi, guidato da Edy Reja e costruito da Pier Paolo Marino.
Sono in molti, però, non soltanto tra i rappresentanti dei mass media ma anche tra i tifosi "semplici", a nutrire poche speranze su un successo finale (scudetto) da parte di una squadra che non abbia sede a Milano o Torino e non vesta una maglia a strisce verticali.
Forse, allora, appena oltrepassato un terzo del cammino, questo è il momento migliore per cercare di capire cosa si nasconde realmente dietro questo (presunto?) maggiore equilibrio della nostra Serie A 2008-2009, provando anche a capire come mai, però, alla fine vinceranno ancora una volta le solite note.
Per fare ciò può essere molto utile un confronto con gli altri principali campionati europei.
Premesso che la situazione di duopolio scozzese non fa testo, dunque, nella Premier League inglese è facile notare come le prime quattro siano sempre le stesse, quest'anno con la simpatica sorpresa del neopromosso Hull City, che però non ha alcuna speranza di arrivare fino in fondo in quella posizione di classifica. Le "Big Four", però, sono quasi sempre ai vertici semplicemente perché si sono dimostrate più brave delle altre e non perché a queste altre sia precluso, a priori, un inserimento al vertice: Tottenham, Newcastle, Manchester City, Aston Villa, Everton per citarne solo alcune, sono a loro volta società ricche, in alcuni casi ricchissime; se poi non vincono è perché spendono male, in alcuni casi malissimo, le risorse a loro disposizione, o perché hanno bisogno ancora di un po' di tempo. A questo si aggiunga una "classe media" che, a differenza di quella italiana, fino allo scorso anno - la crisi economica mondiale, infatti, ha toccato molto da vicino proprio la Premier League - poteva permettersi campagne acquisti molto dispendiose (penso, per esempio, al Middlesbrough, ma potrei citare anche il West Ham fino a qualche settimana fa). In Italia, per proseguire nel confronto diretto, una società come il Tottenham potrebbe competere, per budget e ambizioni, alla pari con le nostre grandi.
Il vero problema, dunque, nel confronto con l'estero, sembra essere la gestione dell'intero movimento. Gestione che, nel caso inglese, significa anche abilità con la quale si sa vendere il proprio prodotto (facendolo pagare profumatamente) in tutto il mondo.
Per quanto riguarda la situazione spagnola, lì Real Madrid e Barcellona significano storicamente qualcosa che va anche al di là del contesto puramente calcistico; e, comunque, in anni recenti hanno vinto la Liga anche il Deportivo La Coruna e due volte il Valencia; e ultimamente anche Siviglia e Villareal sono in pianta stabile nelle zone nobili della graduatoria.
In Francia, il fenomeno Lione è cosa recente e mi sembra sia ormai in fase calante, dato che lo scorso anno una grande storica come il Bordeaux le ha conteso il titolo fino alla fine.
In Germania, due anni fa ha vinto una outsider come lo Stoccarda, avendo la meglio solo alla fine sullo Schalke e sul Werder; dal 1991-92, oltre al Bayern Monaco campione in carica hanno vinto un paio di volte lo Stoccarda, varie volte Werder Brema e Borussia Dortmund e una volta persino il Kaiserslautern, con il Bayer Leverkusen secondo per ben quattro volte e lo Schalke secondo per tre volte. Quest'anno, addirittura, è in testa la ricchissima neopromossa Hoffenheim, che non sembra essere un fuoco di paglia e, anzi, non nasconde le proprie ambizioni.
In realtà, dunque, il vero problema, che almeno in tempi brevi renderà impossibile qualunque tipo di “terremoto” nell'albo d'oro della Serie A, credo che sia proprio l'attuale impostazione e gestione del campionato italiano, fatta apposta per impedire "a priori" a determinate squadre - tutte tranne le "big three"? - di avere la possibilità anche teorica di competere per la vittoria; e questo accade solo da noi.
La Lazio, per esempio, ha pagato il suo scudetto di qualche anno fa quasi fallendo e venendo salvata dal Governo "per motivi di ordine pubblico" (spalmamento del debito su 23 anni!!!); il Parma stesso è quasi fallito, nell'ambito del crack Parmalat; Fiorentina e Napoli sono fallite e rinate; il Toro se l'è vista brutta; la Roma si è risollevata solo negli ultimi tempi e, comunque, è in mano alle banche; le uniche realtà davvero (o apparentemente?) solide dal punto di vista economico sono le due milanesi e la Juventus (anche se tutte e tre vanno avanti prevalentemente a ricapitalizzazioni da parte dei ricchi padroni: magnati del petrolio, delle auto o addirittura “proprietari dell’Italia”).
Uno scudetto al Verona o alla Sampdoria, dunque, oggi non sarebbe purtroppo più possibile. Almeno con le attuali regole del gioco.
E allora, quali potrebbero essere le possibili soluzioni per creare un campionato nel quale tutti possano partire alla pari e nel quale possa davvero vincere chi lavora meglio per costruire una squadra competitiva?
Una Lega e una Federazione serie secondo me dovrebbero, come prima mossa, ridurre le squadre di A e B da, rispettivamente, 20 e 22 a 18 (o 16 addirittura) e 20; e poi dovrebbero lavorare in profondità per far sì che le risorse economiche – in particolare quelle derivanti dalla vendita dei diritti televisivi – vengano divise in modo da ridurre il rapporto tra prima e ultima di Serie A dall'attuale 1/10 a un auspicabile 1/4 o massimo 1/5. Con questo sistema, simile d'altra parte a quello inglese o tedesco, sono sicuro che, in tempi relativamente brevi, anche Napoli e Fiorentina (per fare due possibili esempi) potrebbero vincere lo scudetto.
L’ideale per un reale equilibrio sul campo, poi, potrebbe essere l’introduzione del cosiddetto “salary cap”, cioè il tetto al monte-salari di ciascuna squadra, sul modello di quanto accade già da molti anni nella Nba, la Lega professionistica americana di basket: in tal modo, non ci sarebbero disparità evidenti quanto quelle attuali, che vedono, per esempio, l’ingaggio di un Ibrahimovic o di un Kakà pesare quanto quelli di un’intera squadra di media classifica; si partirebbe tutti alla pari e, in tal modo, sarebbe davvero premiata la bravura dei vari direttori sportivi, presidenti, amministratori delegati, oltre, naturalmente, a quella degli allenatori e dei giocatori. E’ ovvio che per avere un senso e per non far perdere competitività alle squadre italiane in Europa e nel mondo, il criterio del “salary cap” dovrebbe essere introdotto per i club professionistici di tutto il mondo, d’accordo con la Fifa e le varie federazioni nazionali.
Si tratterebbe di una rivoluzione copernicana, certo; ma, credo, di una rivoluzione che, in realtà, non accadrà mai, poiché le grandi tradizionali in Italia e nel resto del mondo, tenteranno in ogni modo di proteggere le loro posizioni di privilegio.
Potrebbe essere di aiuto, paradossalmente, proprio la grande crisi economica mondiale, che prima o poi chiederà il conto dei tanti sprechi anche ai ricchi e ai potenti del variopinto pianeta-calcio.

Libri consigliati: Luca Manes, Made in England. Luci e ombre del football dei maestri, Bradipolibri, 2008 - 136 pagine, 14 euro