lunedì 17 giugno 2019

sarri è un allenatore professionista, non un masaniello guevarista

Di Diego Del Pozzo
 
Durante l'epocale conferenza stampa odierna (sì, epocale; e non soltanto per il calcio italiano), Francesco Totti lo ha detto molto bene: "I presidenti passano, gli allenatori passano, i giocatori passano. Le leggende non passano". E poi ha reso il concetto ancora più chiaro: "La Roma viene prima di tutto" (qui l'intera conferenza stampa).
Le sue parole, opportunamente parafrasate, dovrebbero far fischiare le orecchie a quella parte di tifoseria e di opinione pubblica napoletane che per un anno sono state colte da isteria e cecità, anteponendo al tifo per la propria squadra il culto per la personalità di un ex allenatore che, pur avendo regalato un triennio meraviglioso e spettacolare alla guida degli azzurri (comunque senza vincere nulla), è stato trasformato in simbolo socio-politico di non si sa bene cosa, fino a esplodere fragorosamente, in questi giorni di presunti "tradimenti" (ohibò!), tra quelle stesse mani che per mesi lo avevano fatto diventare qualcosa che, in realtà, lui non era mai stato.
Alla fin fine, stiamo parlando di un allenatore, Maurizio Sarri, che sulla panchina azzurra è stato seduto per soli tre anni, seppur indimenticabili (non per ventidue, realmente rivoluzionari rispetto al passato, come Arsène Wenger all'Arsenal o per ventisette come Alex Ferguson al Manchester United). E che, sebbene abbia lasciato dietro di sé il ricordo di un gioco visto pochissime altre volte a livello di calcio italiano, dal punto di vista della proposta tecnico-tattica ha potuto certamente giovarsi della rivoluzione culturale (quella sì!) prodotta nel precedente biennio da Rafa Benitez (a onor del vero, sempre citato e ringraziato per questo da Sarri). A sua volta, peraltro, il valore del retaggio del tecnico toscano all'ombra del Vesuvio è stato suggellato dal nome "pesante" di colui che il Napoli ha scelto come suo sostituto, cioè Carlo Ancelotti, ovvero uno tra i cinque allenatori più importanti in attività. Questi sono i fatti. Tutto il resto, a mio avviso, è soltanto isteria e cecità.
Per capirci meglio: negli anni Sessanta, José Altafini ha giocato nel Napoli (e lo ha fatto alla grandissima!) per ben sette stagioni, prima di trasferirsi alla Juventus e diventare "Core 'ngrato"; e persino un monumento della juventinità come Dino Zoff è stato il portiere del Napoli per cinque lunghe stagioni, prima di essere venduto ai bianconeri quando aveva già una ventina di presenze da titolare in Nazionale ed era considerato uno tra i portieri più forti del mondo. Di Maradona, dal punto di vista dell'identificazione totale e profonda con Napoli e con la sua gente, ce n'è stato e ce ne sarà uno soltanto! E questo lo dico soprattutto a chi non ha potuto goderselo dal vivo, perché troppo piccolo o non ancora nato, ma anche a chi magari da ragazzino tifava per un'altra squadra e poi è stato folgorato in seguito dalla febbre azzurra. E anche per questo motivo, probabilmente, non riesce a mettere nella giusta prospettiva i tre anni sarriani.
Detto tutto ciò, dunque, mi piacerebbe sapere per quale motivo un allenatore ultrasessantenne come Sarri, che per decenni ha mangiato il fango delle serie minori e che è evidentemente animato da un'ambizione smisurata (e legittima, se fai quel mestiere), avrebbe dovuto rifiutare l'offerta della società più ricca, potente (anche fuori dal campo), influente, organizzata del panorama calcistico italiano, peraltro col surplus di godimento derivante dal fatto di averle fatto abiurare la linea tecnico-concettuale degli ultimi otto anni di trionfi per sposare, invece, la sua personale idea di calcio agli antipodi rispetto a quella linea tecnico-concettuale. Se quell'allenatore professionista ha cavalcato il personaggio del masaniello guevarista che qualcuno a Napoli ha voluto costruirgli addosso (o se, a un certo punto, ha iniziato davvero a credere di essere così, ma ne dubito), la colpa non è certamente sua ma di chi non ha capito in tempo a che gioco (si) stesse giocando (è il calcio-business del terzo millennio, baby!).
Quindi, senza dilungarmi oltre, per quanto mi riguarda Maurizio Sarri vada pure ad allenare la Juventus, magari riporti a Torino anche il suo amato Gonzalo Higuaìn (Cristiano Ronaldo non vede l'ora!), entri nel Palazzo del Potere dalla porta principale, dopo aver ispirato ai bambini storielle su implausibili rivoluzioni da fare con soli diciotto uomini (maddai!!!). Sappia, però, che dovrà fronteggiare un ambiente che, almeno al momento, lo odia di un odio profondo (basta farsi un giro veloce tra i siti web e le pagine social di fede juventina) e che la sua nuova società gli chiederà di vincere subito la Champions League e di farlo dando spettacolo, il tutto in un contesto tecnico-tattico, almeno al momento, lontanissimo dalle sue idee, dopo otto anni consecutivi di Conte & Allegri e di vittorie ottenute quasi sempre col cuore, la grinta, la rabbia e la determinazione (mi fermo qui...), ma con un gioco quasi sempre inguardabile e a tratti persino imbarazzante.
Da Napoli, mi piace riprendere e fare mie proprio le parole odierne di Francesco Totti, adattandole però agli azzurri: "
I presidenti passano, gli allenatori passano, i giocatori passano. Le leggende non passano. E il Napoli viene prima di tutto".
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