sabato 31 ottobre 2009

un grande napoli espugna il campo della juve

Di Diego Del Pozzo

Quando il Napoli vinse per l'ultima volta sul campo della Juventus io avevo diciassette anni e frequentavo ancora il liceo. Era il 1988. Il mondo era molto diverso: Berlino era divisa dal Muro e sullo skyline di Manhattan dominavano le Twin Towers.
Gli azzurri ebbero la meglio addirittura per 5-3, con tripletta di Careca. Da allora - mentre io mi affacciavo alla vita adulta, all'università e poi al mondo del lavoro - il Napoli iniziò a inanellare soltanto delusioni calcistiche in serie nei confronti della "Vecchia Signora", tra rabbia, impotenza e qualche occasione persa. Tutto ciò fino a poco più di mezz'ora fa.
Ebbene sì, il nuovo Napoli guidato da Walter Mazzarri ha appena espugnato l'Olimpico di Torino per 3-2, rimontando addirittura da un apparentemente disperato 0-2. Ancora una volta, proprio come nelle ultime tre gare, gli Uomini - sì, stavolta ci vuole proprio la maiuscola - in maglietta azzurra hanno avuto la meglio credendo unicamente nella forza del gioco, senza scomporsi per nulla nemmeno dopo il doppio svantaggio, peraltro frutto di due errori difensivi clamorosi che avrebbero potuto spezzare le gambe e il morale a una squadra che, fino a quel momento, se la stava giocando "alla grande".
Un gruppo meno saldo e meno sicuro delle sue potenzialità avrebbe ceduto di schianto. Il Napoli, invece, non ha fatto una piega: ha abbassato la testa e continuato semplicemente a giocare. Mazzarri, da parte sua, ha rovesciato tatticamente la partita grazie all'azzeccatissimo ingresso di Datolo (stavolta decisivo, al pari di un immenso Hamsik - nella foto sopra, esultante dopo il suo secondo gol - e di un Lavezzi generoso come sempre: qui sotto, assieme a Datolo), facendo un sol boccone del sopravvalutato neo-allenatore juventino Ciro Ferrara.
Al fischio finale, quindi, i giocatori del Napoli hanno potuto esultare per una vittoria strameritata e voluta davvero con tutte le forze. E si tratta della quarta rimonta in quattro partite disputate con Mazzarri in panchina. Non un caso, non un indizio, più di una prova.
Bene: direi che il campionato del Napoli, adesso, può finalmente cominciare...

venerdì 30 ottobre 2009

buon compleanno, diego!

Di Diego Del Pozzo

Pochi anni fa nessuno avrebbe scommesso un solo centesimo sul fatto di poterlo trovare ancora vivo all'età di quarantanove anni. E invece, dopo tante "morti" e "resurrezioni", Diego Armando Maradona è arrivato quasi al mezzo secolo di vita, più carico e in forma che mai.
Sì, perché Maradona compie oggi quarantanove anni, da festeggiare con un po' di tranquillità in più, avendo conquistato, senza bisogno di ricorrere agli spareggi, la qualificazione mondiale come commissario tecnico della "sua" Argentina (nella foto qui sopra, il tuffo di gioia nel pantano del Monumental di Buenos Aires, dopo che Martin Palermo ha siglato il decisivo gol del 2-1 contro il Perù).
E allora, senza aggiungere nient'altro, mi sento di gridare soltanto: tanti auguri Pibe de Oro!!! E mantieniti sempre giovane dentro e fedele a te stesso... a dispetto di coloro che non hanno niente di meglio da fare che tenere sempre il fucile puntato su di te.

giovedì 29 ottobre 2009

due grandinate di gol

Di Diego Del Pozzo

Nel turno infrasettimanale della Serie A, Juventus e Inter hanno lanciato i rispettivi segnali di forza impressionante al resto della compagnia, grazie a due autentiche grandinate di gol con le quali hanno letteralmente annichilito le fin qui ottime Sampdoria e Palermo.
Ma, mentre i bianconeri hanno disputato, ieri sera, novanta minuti quasi perfetti, distruggendo per 5-1 quella che era la squadra seconda in classifica, i nerazzurri hanno tenuto fede, come al solito, alla loro fama di "pazzerelloni", chiudendo il primo tempo sul 4-0, grazie a una prestazione mostruosa (qui sopra, nella foto, i pazzeschi Balotelli ed Eto'o del match di stasera), ma poi facendosi rimontare fino al 4-3 nella ripresa, quasi intimiditi da un Palermo decisamente più voglioso rispetto alla prima metà di gara (ci ha pensato, quindi, il rientrante "Principe" Milito a ristabilire le distanze in maniera definitiva).
Comunque, il dato di fatto che emerge dopo la decima giornata è questo: inizia, finalmente, a delinearsi in modo chiaro quello che dovrebbe essere il duello per la vittoria finale in campionato (distrazioni di Champions permettendo...). Anche se, dopo nemmeno un terzo del cammino complessivo, l'Inter ha già quattro punti di vantaggio sui rivali diretti e il rischio di un'altra corsa in solitaria si fa sempre più concreto.

mercoledì 28 ottobre 2009

ormai il napoli non molla più

Di Diego Del Pozzo

Fino a qualche settimana fa, il Napoli sembrava addirittura una squadra di "morti". Nel senso che naufragava alla prima difficoltà, senza forza o volontà di reagire, lasciandosi travolgere passivamente dagli eventi. Il tutto, col suo allenatore Roberto Donadoni sprofondato in panchina, lui per primo in preda allo scoramento.
Ebbene, quello ammirato ieri sera - in un San Paolo gremito e ribollente di entusiasmo - è un gruppo completamente differente: un gruppo di uomini che, nelle prime tre gare con Walter Mazzarri sulla panchina partenopea, ha saputo rimontare il Bologna al novantunesimo minuto (2-1), battere la Fiorentina in trasferta a quattro minuti dalla fine (0-1) e rimontare da 0-2 - con i due gol subìti dopo soli cinque minuti! - a 2-2 contro il Milan con due bellissime reti siglate addirittura al novantesimo (Cigarini, con magnifico sinistro al volo da fuori area: qui sopra, nella foto) e al novantatreesimo (Denis, con colpo di testa in girata su bel cross di Maggio: nella foto sotto). E la cosa più incredibile, perfetta per comprendere appieno la sconvolgente trasformazione di questa squadra in sole tre settimane, è venire a sapere che ieri sera Mazzarri s'è persino arrabbiato con i propri giocatori, perché - dopo il "miracoloso" 2-2 - hanno perso troppo tempo a esultare, mentre c'era ancora qualche minuto a disposizione per provare... a segnare il terzo gol e vincere la partita!
Questa sì che si chiama mentalità vincente! D'altra parte, il Napoli si era già trovato un'altra volta, quest'anno, sotto di due gol dopo appena cinque minuti: a San Siro con l'Inter. E quella volta, la squadra non aveva mostrato alcuna capacità di reazione, a cominciare dal tecnico Donadoni, che peraltro aveva aspettato fino a pochi minuti dalla fine per inserire un attaccante in più. Ieri sera, invece, Walter Mazzarri - sempre in piedi a bordo campo, urlante e in maniche di camicia - ha avuto il lucido coraggio di assecondare la spinta della sua squadra e dei sessantamila sugli spalti, facendo entrare, uno dopo l'altro, prima Cigarini per Pazienza (un regista per un mediano) e poi il più offensivo Datolo per Campagnaro e il risolutivo Denis per un Quagliarella ancora troppo timido e probabilmente fuori condizione.
Con questo non voglio dire che la deludente partenza del Napoli in campionato sia stata unicamente colpa di Donadoni, perché anche l'allontanamento del direttore generale Marino ha contribuito non poco a rasserenare gli animi e cementare il gruppo, ma è indubbio che il cambio in panchina abbia letteralmente trasformato la squadra azzurra, restituendole un'anima e fornendole quella grinta, quella incapacità di mollare e quella voglia inesauribile di vincere che il suo nuovo allenatore possiede davvero in quantità industriali.

martedì 27 ottobre 2009

dove potrà arrivare l'arsenal 2009-2010?

Di Diego Del Pozzo

L'inizio dell'attuale stagione calcistica d'Oltremanica è stato decisamente incoraggiante per i tifosi dell'Arsenal, nonostante le perplessità estive suscitate da una campagna acquisti-cessioni giudicata insufficiente dalla maggior parte degli osservatori. La squadra di Arsène Wenger, invece, è partita letteralmente col turbo, sia in campionato che in Champions League, inanellando una serie di prestazioni estremamente convincenti, caratterizzate da tanti gol segnati, frutto del gioco più divertente del Continente assieme a quello del Barcellona.
Wenger ha ovviato alla cessione di Adebayor spostando nella posizione di centravanti - però, assolutamente atipico - il sempre più letale Robin Van Persie (qui sopra, nella foto), autentico protagonista di questo inizio stagione assieme al neo-acquisto Vermaelen, che sta abbinando alle naturali doti difensive proprie del ruolo una inusitata efficacia in zona gol (in pratica, segna quasi ogni volta che si spinge in attacco).
Il manager alsaziano sta schierando la sua squadra secondo un efficace e spettacolare 4-2-3-1, molto simile a quello della migliore Roma spallettiana; un 4-2-3-1, peraltro, che si trasforma costantemente in 4-3-3 purissimo: davanti al portiere italiano Mannone - altra scoperta di questo inizio stagione - giostrano, infatti, i due laterali Sagna e Clichy, con Gallas e Vermaelen al centro; in mediana, l'efficacissimo e roccioso Song copre le spalle all'altrettanto fisico, ma più dinamico e propositivo, Diaby; davanti a loro, in una linea di trequartisti che non dà punti di riferimento, si scambiano ruoli e posizioni tre autentici campioni come il capitano Fabregas (sopra, nella foto), il recuperato (finalmente!!!) Rosicky e il "killer" russo Arshavin, sempre pronti a cercare lo scambio stretto tra loro e col finto centravanti Van Persie. Se a questi giocolieri d'attacco si aggiungono "panchinari" del calibro di Walcott, del rientrante Nasri, di Eduardo e Bendtner, si fa presto a capire quali possano essere le reali potenzialità dell'Arsenal 2009-2010.
Per ora, comunque, in attesa di qualche trofeo che i tifosi sperano vivamente di poter vedere in primavera, all'Emirates Stadium ci si gode il calcio forse più eccitante del momento.

lunedì 26 ottobre 2009

napoli: una grande vittoria, dopo troppo tempo

Di Diego Del Pozzo

Ben trecentosessantaquattro giorni dopo, il Napoli ritrova la vittoria in trasferta. E lo fa nel migliore dei modi, al termine di un ottimo match disputato in casa di una Fiorentina che, all'Artemio Franchi, non aveva ancora mai perso né subìto gol in questo campionato.
Ebbene, gli uomini di Walter Mazzarri (qui sotto, la loro gioia al fischio finale) il gol lo hanno segnato, meritatamente, al culmine di una partita che li ha visti concludere pericolosamente in porta addirittura altre sei volte (compreso un rigore sbagliato), incocciando in un incredibile Frey, che ha fatto da autentico "muro" e impedito agli azzurri di rimpinguare ulteriormente il bottino.
La cosa più sorprendente della partita del Napoli è stata la voglia di cercare la vittoria fino all'ultimo minuto, non demoralizzandosi nemmeno dopo il calcio di rigore fallito da un ancora deludente Quagliarella. Sugli scudi, tra i partenopei, ci sono stati un attivissimo Marek Hamsik (davvero a suo agio nel nuovo ruolo di trequartista), un Gargano più ordinato del solito, il consueto irrefrenabile trottolino Lavezzi e, naturalmente, il match winner Christian Maggio, autore di un intenso duello di fascia col peruviano Vargas oltre che del bellissimo gol vincente (qui sotto, nella foto: è il secondo in due partite, per un totale di sei punti portati alla propria squadra). Grande merito, ovviamente, va però al nuovo allenatore del Napoli, il grintoso e sempre tatticamente acuto Walter Mazzarri, che pare aver colto immediatamente il modo migliore per entrare nei cuori e nelle menti dei calciatori napoletani: è apparso razionale ed efficace, in particolare, il 3-4-2-1 proposto in partenza, pronto a trasformarsi alternativamente in 4-2-3-1 o in 3-4-3 a seconda delle varie fasi della partita.
Mercoledì sera, quindi, toccherà al rigenerato Milan reduce dal successo esterno di Verona: e il San Paolo sarà gremito, proponendo un'atmosfera tipica delle grandi sfide serali. La cosa lascia ben sperare, visti i precedenti del Napoli in questo tipo di gare. E, per fortuna, nonostante l'espulsione (ingiusta) di Firenze, Walter Mazzarri sarà regolarmente seduto in panchina, per trasmettere la sua proverbiale grinta e voglia di vincere ai propri giocatori.

giovedì 22 ottobre 2009

pensiero della settimana: chi non salta...

Di Diego Del Pozzo

Ieri sera, il Milan ha rilanciato "alla grandissima" la sua vocazione internazionale, espugnando il Santiago Bernabeu al termine di un match divertentissimo. Tutto il contrario dell'Inter mourinhiana, che la sera prima si era fatta fermare a San Siro sul 2-2 dalla Dinamo Kiev, tenendosi lontana da una vittoria europea per l'ottava partita consecutiva.
Come stupirsi, dunque, per i cori che i milanisti in trasferta spagnola hanno cantato a fine gara? Eccoli: "Chi non salta nerazzurro è, è... Chi non salta nerazzurro è, è...". Come dar loro torto?

mercoledì 21 ottobre 2009

mondiali: come renderne più equa la formula?

Di Diego Del Pozzo

Il sorteggio per gli spareggi europei in vista di Sudafrica 2010 mi offre l'occasione per alcune considerazioni sulla validità di una formula che, al termine di questi doppi confronti (andata il 14 novembre, ritorno il 18), potrebbe impedire la qualificazione ai Mondiali a squadre forti e di tradizione come Francia, Russia o Portogallo, mentre Corea del Nord, Honduras e una tra Bahrein e Nuova Zelanda allieteranno (?) gli spettatori di tutto il mondo sui campi di gioco sudafricani.
Innanzitutto, apro una breve parentesi per ricordare gli accoppiamenti degli spareggi europei (qui sotto, i giocatori irlandesi abbracciati prima di un match): Irlanda-Francia, Portogallo-Bosnia Erzegovina, Grecia-Ucraina e Russia-Slovenia.
Chiusa la parentesi, quindi, mi rifaccio a una intelligente ma decisamente utopistica proposta lanciata dall'ottimo blogger Vojvoda sul suo sito personale: un Mondiale di calcio a 48 squadre, con durata di un mese e mezzo e rose ampliate a 28-30 calciatori. Ecco ciò che scrive Vojvoda (a proposito, ma perché questo intelligente blogger non firma col proprio nome?): "Io sono un fautore del mondiale allargato a 48. Oramai si dovrebbe andare in quella direzione poiché sono troppe le squadre di valore e di compagini cosiddette materasso ce ne è sempre meno. [...] D'altra parte, l'Europeo 2016 sarà a 24 squadre e il Mondiale deve andare verso le 48: 12 gironi da 4 con 2 promozioni dirette e le 8 migliori terze così da formare la griglia dei sedicesimi di finale. Certo: più partite, più squadre, quindi di conseguenza rose più larghe (magari 28-30 elementi a dispetto dei 23 attuali) e mondiale dilatato nel tempo (magari un mese e mezzo). Però, se si vuole la soluzione si trova: basta ridurre le compagini dei campionati nazionali e, a fronte delle 20 squadre di molti di questi, scendere a 16 potrebbe essere il primo passo".
La proposta di Vojvoda è sicuramente suggestiva e, tra l'altro, avrebbe pure il pregio di avvicinare ulteriormente il Mondiale di calcio all'ecumenismo tipico delle Olimpiadi, con un maggior numero di Paesi partecipanti alla fase finale che non andrebbe a discapito della qualità delle qualificate. Il problema, però, è che il calcio mondiale attuale va in una direzione completamente opposta, con le competizioni per club che schiacciano sempre di più quelle per squadre nazionali, ormai tollerate o poco più. Da questo punto di vista, dunque, ho definito utopistica la proposta di Vojvoda: già le tante partite di qualificazione e il mese del Mondiale sono visti come un fastidioso intoppo da chi gestisce (male, purtroppo!) le sorti del football; figuriamoci come sarebbe presa una Coppa del Mondo lunga quasi due mesi!
Certo che, così com'è attualmente, la fase di qualificazione ai Mondiali lascia troppo spazio al peso politico delle varie Confederazioni più che all'effettivo valore tecnico di alcuni movimenti: e da questo punto di vista, è emblematico l'ampio e immotivato spazio dato al Centro-nordamerica del potentissimo vicepresidente FIFA Jack Warner (qui sotto, nella foto Reuters) o all'Asia, a discapito di movimenti ben più vivi e rappresentativi come quello africano o, naturalmente, quello europeo.
A questo punto, dunque, avanzo anch'io una proposta per una possibile riforma della Coppa del Mondo: lasciarne intatta la fase finale, ma valorizzare ulteriormente le qualificazioni, dividendole in due turni successivi separati, "spalmati" come oggi lungo i due anni precedenti alla fase finale, naturalmente con alcune modifiche nei criteri geografici a favore di scuole calcistiche più forti (si potrebbero semplicemente seguire le indicazioni del "famigerato" ranking FIFA). Il secondo turno di queste qualificazioni verrebbe trasformato in una sorta di turno eliminatorio della fase finale (servirebbe pure un po' di marketing, poiché ne andrebbe cambiato anche il nome, per "nobilitarlo" maggiormente, un po' come ha fatto in Italia la Serie C, quando ha deciso di diventare Lega Pro). Le qualificate dopo questo turno, quindi, accederebbero alla "vera" fase finale del Mondiale, da disputarsi nel Paese ospitante la manifestazione. In questo modo, resterebbe intatta la sostanza (giorni dedicati alle nazionali durante la stagione dei club, durata della competizione finale, ecc.) ma si cambierebbe qualcosa nella forma, dando la percezione a molte più squadre, infatti, di partecipare a un turno eliminatorio di un Mondiale (seppur decentrato un po' in giro per il mondo) e non più a una semplice fase di qualificazione. E la FIFA potrebbe anche stipulare contratti con i network televisivi in modo maggiormente vantaggioso per le varie Federazioni nazionali coinvolte nelle partite di questo turno.
Certo, in realtà non cambierebbe nulla, tranne che la forma. Però, come si sa, molto spesso è proprio la forma a fare il contenuto. Soprattutto in una società come la nostra, retta innanzitutto sull'immagine e sulla comunicazione.

lunedì 19 ottobre 2009

napoli: per ora si è rivista l'anima...

Di Diego Del Pozzo

In attesa del gioco, che ancora latita, il Napoli ritrova la vittoria mostrando almeno quell'anima che sembrava aver smarrito e che il nuovo tecnico, Walter Mazzarri, aveva dichiarato di voler ritrovare al più presto. Si tratta già di qualcosa da sottolineare positivamente, viste le scialbe prestazioni recenti.
Assieme all'anima, poi, la squadra azzurra ieri pomeriggio ha evidenziato anche una bella grinta e la voglia di non mollare mai (non a caso, è riuscita a rimontare un buon Bologna e a batterlo nel tempo di recupero): due elementi, questi, che un allenatore come Mazzarri considera giustamente essenziali per poter fare bene già nell'immediato futuro.
Insomma, per ora può anche andare bene così. D'altra parte, come si dice? Chi si accontenta gode...

domenica 18 ottobre 2009

serie a: chi vuole danneggiare la sampdoria?

Di Diego Del Pozzo

Oggi pomeriggio, al termine delle partite di Serie A, mi ha molto colpito un'affermazione di Mario Sconcerti, fatta nel corso del contenitore domenicale condotto da Ilaria D'Amico su Sky Sport 1. A un certo punto, commentando i torti arbitrali subìti dalla Sampdoria a Roma nel pareggio con la Lazio, il popolare giornalista ha fatto notare come, da quando i blucerchiati hanno iniziato a minacciare seriamente gli equilibri di vertice del torneo, si siano iniziati a verificare numerosi episodi a loro sfavore, col duplice risultato di far andare l'Inter in "quasi fuga" da sola e di frenare la Samp ben oltre i propri demeriti, peraltro quasi inesistenti finora. Sconcerti - che ha aggiunto: "Senza errori arbitrali, la Sampdoria sarebbe davanti all'Inter" - ha evidenziato questa cosa col tono di chi sa bene cosa vi sia sotto, suscitando volutamente possibili sospetti riguardanti una influenza, esplicita o implicita, dei nuovi padroni interisti post-calciopoli sul mondo arbitrale.
Nel corso del pomeriggio, poi, la vicenda ha avuto un seguito inatteso, col presidente della Sampdoria, Riccardo Garrone, finora mai pervenuto nei commenti post-partita, andato anche lui giù durissimo: "Forse - ha sbottato - diamo fastidio a qualcuno. Ci mancano quattro punti ed è il quarto episodio contro che ci capita. Oggi c'erano due rigori netti per noi: è un crescendo di episodi negativi". A rincarare la dose sono arrivate, quindi, pure le parole dell'amministratore delegato blucerchiato, Beppe Marotta: "C'erano due rigori per la Samp. Nello spogliatoio, tutti i miei giocatori hanno protestato con me, chiedendomi perché la società non faccia sentire la sua voce. Noi non pensiamo di poter contendere lo scudetto all'Inter, non ne abbiamo i mezzi finanziari nè calcistici: ma chiediamo pari opportunità".
A questo punto, un rappresentante del mondo arbitrale dovrebbe prendere la parola e fare chiarezza, perché il campionato è appena a metà ottobre e, nel corso dei mesi, i veleni potrebbero superare il livello di guardia. Anche perché, prima o poi, su questa vicenda potrebbe dire la sua pure l'ineffabile vate portoghese...

osvaldo soriano e la febbre dell'oro-calcio

Di Giorgio Porrà

Osvaldo Soriano, lassù, starà gongolando. Del resto, in vita, il grande scrittore sudamericano non aveva mai fatto mistero della sua totale devozione per il Pibe. "Maradona - scolpì più volte - esiste per la gloria di Dio". E qualche scintilla divina l'ex napoletano deve possederla per forza, se persino nell'improbabile (per lui) ruolo di selezionatore dell'Argentina è riuscito nell'impresa di qualificarsi in extremis per i Mondiali sudafricani.
Certo, magari "l'Argentina gioca da schifo", parola di Luis Menotti, che pure di Maradona si considera una sorta di fratello maggiore. Ma non è questo il punto, chissenefrega della qualità; il pianeta, quello che ha vissuto aggrappato alla sua fantasia, ha solo voglia di continuare a sbalordirsi davanti ad un'avventura umana, sportiva che non conosce capolinea. "Maradona non è di questa terra" rifletteva Soriano (qui nella foto), che da vero ultrà al suo fuoriclasse ha sempre perdonato tutto, mattane comprese, "perché le cose si dividono in umane e sovrumane, Diego, Borges, Cervantes, hanno qualcosa di indefinibile che li pone al di là...". Val la pena ricordare che Soriano non era un semplice curvaiolo, conosceva e praticava il football, il suo idolo giovanile era Josè Sanfilippo, lo stoccatore del San Lorenzo de Almagro, il club del cuore. Lui stesso scoprì la vocazione di attaccante nella Cipolletti: poco tecnico, molto "fisico", con la dinamite nei piedi. Fu la rottura di un ginocchio a mettere fine al suo sogno, quello di guadagnarsi qualche attimo di paradiso ogni volta che entrava in area e si ritrovava tra "due disperati che si credevano macellai e assassini".
Da centravanti azzoppato si riciclò in cronista sportivo, all'Opinion di Buenos Aires, interpretando il mestiere in modo molto personale, con una certa pigrizia di fondo, con uno stile che il tempo renderà inimitabile: "Non amo lavorare troppo, né correre per i corridoi di uno stadio, né forse capisco di sport quanto l'incarico richiederebbe. Ma so inventare storie bellissime". Ora alcune di queste storie affollano il percorso del libro La febbre dell'oro (Einaudi), otto reportage in forma di racconto che ci restituiscono il Soriano migliore, capace di muoversi con la stessa efficacia tra sport, peronismo, capitalismo selvaggio.
E forse è proprio il "pezzo" d'ispirazione calcistica a rivelarsi il più riuscito, "perché le storie di pallone sono così: risate e pianti, pene ed esaltazioni". Il (non) protagonista è Osvaldo Piazza, giocatore del Sant'Etienne, attorno al quale Soriano ricamò un'intervista immaginaria pubblicata da El Cronista Comercial, giornale con il quale collaborò per un breve periodo. "Fu un reportage magnifico, nascosti in un piccolo ufficio di calle Alsina, descrivemmo minuziosamente il giardino della casa in cui viveva Piazza, lo studio dove abitava...". Nessuna confidenza del calciatore, ma una pignola, a tratti umoristica investigazione attorno al suo mondo. Il direttore esultò, i lettori pure, per l'emergente Soriano l'ennesima conferma di quanto potesse risultare entusiasmante reinventare la realtà. Che poi è esattamente quello che continua a fare il suo eroe Maradona, sempre prodigiosamente capace di risistemare le tessere del suo disperato puzzle esistenziale.

mondiali under 20: la prima volta dell'africa

Di Valerio Clari

IL CAIRO (Egitto) - Potere africano: forse dovremo farci l'abitudine. Il Ghana vince in Egitto il primo Mondiale Under 20 di una squadra africana, dopo quattro finali perse dalle squadre del continente, e forse manda un messaggio: "Questo è solo l'anticipo, ci vediamo in Sudafrica".
Lo fa contro sua maestà il Brasile, arrivato qui con tutti i favori e con uomini da milioni di dollari. I verdeoro la buttano via, anche ai rigori, quando Maicon, che spara alle stelle, poteva rinviare l'avvento del potere africano a data da destinarsi. Il Ghana vince non con la forza della corsa e dei muscoli, ma con una gara attenta difensivamente, logica tatticamente, sapendo reagire all'europea all'uomo in meno. E poi trionfa dal dischetto con i suoi simboli: l'europeo Ayew, figlio di Abedì Pelé ma tornato alle origini, l'affamato Adiyiah, con il talvolta preoccupante, ma ieri eroe dei rigori, Agyei. Si aspettava una gara aperta, a chi ne segnava di più, invece finisce senza gol, ma tanti duelli in mezzo. Poco spettacolo, ma storia in vista.
Il Brasile della finale pende terribilmente a sinistra, perché su quella fascia Diogo, terzino sovrappeso, scorrazza come non ti aspetti. Sfonda ripetutamente, arriva al cross, ma Kardec non è l'arma letale vista fin qui, e il colpo di testa, sua specialità, non è mai quello giusto. Quando entra Maicon pare l'uomo giusto, si dimostrerà una sciagura, con un'occasione divorata nei supplementari e il rigore decisivo mancato. Il Brasile aveva imparato ad avere pazienza, stavolta ne ha avuta troppa, tradito anche da una partita normale delle stelle Giuliano e Teixeira. Il Ghana della finale non pende, resta ben equilibrato e compatto, ma gioca pur sempre con un uomo in meno dal 37' del primo tempo. L'espulsione di Addo, per un tackle da dietro su Teixeira, ma con cui forse tocca la palla, costringe gli africani a un po' meno spavalderia, e poi nel corso della gara a togliere Osei, peraltro spento, lasciando il capocannoniere Adiyiah solo in mezzo ai centraloni brasiliani. Risultato: quando scendono i terzini non trovano per chi crossare, e gli unici pericoli arrivano da tiri da fuori, come le punizioni bomba di Badu, o dalle accelerazioni di Ayew, che si conferma giocatore interessante. In compenso la squadra potente in attacco, ma che aveva mostrato limiti in fase difensiva, stavolta è quasi perfetta. Sarà l'arma in più, inattesa, del potere africano.
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GHANA - BRASILE 4-3 (0-0 dopo 120')
GHANA (4-3-1-2): Agyei 7,5; Inkoom 5,5, D. Addo 5, Mensah 7, Addy 6; Quansah 6 (dal 1' s.t.s. Agyemang s.v.), Agyemang-Badu 6,5, Ayew 6,5; Rabiu 6 (dal 10' p.t.s. Addae 6); Osei 5 (dal 19' s.t. Kassenu 6), Adiyiah 6,5.
PANCHINA: Dabuo, J. Addo, Benson, Boampong, Opare, Awako, Salifu.
ALL.: Tetteh 6,5.
BRASILE (4-2-3-1): Rafael 6,5; Douglas 6 (dal 40' p.t. Wellington 5,5), Dalton 6,5, Toloi 6,5, Diogo 7,5; Renan 5,5 (dal 30' s.t. Maicon 4,5), Souza 6,5; Paulo Henrique 6,5 (dal 18' s.t. Douglas Costa 6,5), Giuliano 6, Alex Teixeira 6,5; Kardec 5,5.
PANCHINA: Ribeiro, Saulo, Fabricio, Bertucci, Maylson, Boquita, Ciro.
ALL. Rogerio Lourenço 6.
ARBITRO: De Bleeckere (Bel) 6,5.
ESPULSI: Addo al 37' p.t. per gioco scorretto. AMMONITI: Teixeira c.n.r, Douglas e Souza per gioco falloso.
NOTE: spettatori 67.840. Tiri in porta: 2-8. Tiri fuori: 5-16. Angoli: 6-7. In fuorigioco: 3-3. Recuperi: 2' p.t., 3' s.t., 1' p.t.s.
RIGORI: Kardec (B) gol; Ayew (G) gol; Giuliano (B) gol; Inkoom (G) gol; Douglas Costa (B) gol; Mensah (G) parato; Souza (B) parato; Addae (G) parato; Maicon (B) alto; Adiyiah (G) gol; Teixeira (B) parato; Agyemang-Badu (G) gol.
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Dominic Adiyiah, del Fredrikstad, squadra norvegese, come Messi e Aguero. Il centravanti tascabile fa il pieno: vittoria finale, Pallone d'oro di miglior giocatore e Scarpa d'oro dei cannonieri (8 gol). Aria di novità in Egitto, e un trionfo sotto gli occhi del presidente Fifa Blatter, che lo lancia alla ribalta e lo porterà presto lontano dai fiordi, verso i campionati più nobili dell'Europa. Nella classifica dei migliori mette in riga due brasiliani: Alex Teixeira (2°) e Giuliano (3°). In quella dei cannonieri precede il barese Koman (Ungheria, 5) e Aaron (Spagna, 4). Premiato come miglior portiere Alvarado, della Costa Rica.
Prima dell'atto finale si piazza sul podio l'Ungheria, vincitrice della finalina per il terzo posto con la Costa Rica. I Ticos sognano il bronzo all'81' , quando Urena si libera di due giocatori e infila. Nemeth però recupera un rigore a 1' dalla fine, che il barese Koman trasforma. Niente supplementari e subito rigori, con lo show di Peter Gulacsi, del Liverpool, che ne para tre e ne vede un altro stamparsi sulla traversa. Ungheria due volte ai rigori (prima coi cechi), sei parate decisive.
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Albo d' oro del Mondiale Under 20, giunto alla 17ª edizione:
1977 - URSS; 1979 - Argentina; 1981 - Germania Ovest; 1983 - Brasile; 1985 - Brasile; 1987 - Jugoslavia; 1989 - Portogallo; 1991 - Portogallo; 1993 - Brasile; 1995 - Argentina; 1997 - Argentina; 1999 - Spagna; 2001 - Argentina; 2003 - Brasile; 2005 - Argentina; 2007 - Argentina; 2009 - Ghana.

giovedì 15 ottobre 2009

qualificazioni mondiali: il punto a ottobre 2009

Di Diego Del Pozzo

Le partite di qualificazione per il Mondiale sudafricano del prossimo anno sono state quasi tutte giocate: mancano, infatti, soltanto alcuni spareggi (Europa, America, Asia-Oceania) e il turno conclusivo dei gironi africani, per decidere le ultime nove squadre qualificate. Può essere, dunque, il momento giusto per fare alcune considerazioni:
1) L'allucinante Argentina di Diego Armando Maradona è riuscita a qualificarsi direttamente, espugnando lo stadio Centenario di Montevideo: i problemi giganteschi emersi in questi mesi, tuttavia, restano intatti, a partire dalla schizofrenia che continua a guidare le scelte del commissario tecnico, per giungere alle ormai regolari sparizioni di Leo Messi (qui sopra, assieme al suo amatodiato ct) quando gioca per l'Albiceleste;
2) Spagna e Inghilterra hanno mostrato una solidità e una regolarità che, francamente, dovrebbero iniziare a far preoccupare le possibili avversarie: d'altra parte, le Furie Rosse sono campioni d'Europa in carica e possono contare sulla migliore generazione di centrocampisti iberici di sempre, mentre gli inglesi sono la "new sensation" più eccitante del panorama calcistico europeo potendo schierare i consueti grandi giocatori finalmente guidati come si deve da un tecnico che sa (e vuole) soltanto vincere;
3) L'Italia lippiana non ha detto nulla di nuovo rispetto a ciò che si sarebbe potuto prevedere: cinica, solida, vecchia e poco atletica, molto esperta, quasi del tutto priva di fantasia. Riuscirà a fare il bis, riproponendo la "miracolosa" ricetta che portò al trionfo del 2006? Io ho forti dubbi;
4) I giocatori della Costa d'Avorio - con Didier Drogba (qui sopra) in prima fila - hanno festeggiato la qualificazione, gridando al mondo che al torneo sudafricano non vogliono soltanto partecipare, ma vincere. Vedremo... Il talento certamente non manca;
5) Il Brasile allenato da Carlos Dunga resta la grande favorita in vista di Sudafrica 2010;
6) Possibili sorprese? Il Cile di Marcelo Bielsa, la già citata Costa d'Avorio, magari la giovane Svizzera del "vecchio" Ottmar Hitzfeld;
7) Della Germania adesso non si parla, come al solito. Ma al Mondiale, come al solito, tutti dovranno fare i conti anche con lei;
8) Possibili delusioni? Argentina (se non cambia qualcosa...), Francia (sempre che riesca a qualificarsi...), Italia;
9) Giovani stelle? Marek Hamsik e Theo Walcott (qui sopra, nella foto);
10) Sono molto curioso, infine, di vedere quale sarà l'Olanda che vedremo in Sudafrica, poiché sulla carta gli Orange sono fortissimi.

qualificazioni mondiali: chi ce l'ha fatta

Di Diego Del Pozzo

Finora, dopo il turno di qualificazione di ieri sera, sono già sicure di partecipare ai Mondiali sudafricani del prossimo anno ventitre squadre nazionali. Ne mancano altre nove.
Ecco, qui di seguito, l'elenco completo delle qualificate, diviso per aree geografiche:
Europa: Spagna, Inghilterra, Olanda, Germania, Danimarca, Serbia, Italia, Slovacchia, Svizzera;
Africa: Sudafrica, Ghana e Costa d'Avorio;
Sudamerica: Brasile, Cile, Paraguay, Argentina;
Nord e Centroamerica: Messico, Stati Uniti, Honduras;
Asia: Australia, Giappone, Corea del Sud e Corea del Nord.
Per quanto riguarda le qualificazioni europee, ieri sera è stato definito anche il quadro delle squadre che disputeranno i play-off, il 14 e 18 novembre: Russia, Francia, Portogallo, Grecia (teste di serie), Ucraina, Slovenia, Bosnia, Irlanda (non teste di serie). Uruguay e Costa Rica disputeranno, nelle stesse date, il doppio spareggio sud-centroamericano per stabilire chi si qualificherà per il Sudafrica. La stessa cosa faranno anche Nuova Zelanda e Bahrein, che però hanno già giocato il match di andata, terminato 0-0 in Bahrein. La zona africana, infine, disputerà proprio il 14 novembre la giornata conclusiva delle sue qualificazioni.

mondiali under 20: domani kardec contro adiyiah

Di Valerio Clari
(La Gazzetta dello Sport - 14 ottobre 2009)

IL CAIRO (Egitto) - Quei due non potrebbero essere più diversi. Alan Kardec è il prototipo del centravanti, è timido, non ha mai lasciato il suo paese. Dominic Adiyiah è una prima punta piccola e letale, balla dopo i gol, a 19 anni ha fatto un doppio salto mortale climatico lasciando il Ghana per la Norvegia. Venerdì guideranno gli attacchi di Brasile e Nigeria alla ricerca del titolo Mondiale Under 20: sarebbe il quinto per i verdeoro, il primo, storico, per gli africani.
Alan Kardec (qui a destra nella foto, di spalle) è, per gli stessi giornalisti brasiliani, una sorpresa a questi livelli: non che sia un signor nessuno, visto che da tre anni gioca professionista, promosso dal settore giovanile del Vasco, e visto che l'Internacional lo ha riportato in prima divisione, prendendolo in prestito dalla squadra di Rio, retrocessa. Però, al recente sudamericano faceva la riserva di Walter, attaccante "ciccione", sempre dell'Internacional. Kardec era considerato un po' leggerino, e poco incisivo: nel giro di sei mesi ha messo su chili di muscoli, e convinto tutti a suon di gol. Ora sa fare il centravanti boa, e può mostrare le sue migliori qualità: "Sono un giocatore fisico, ho un buon colpo di testa, sono un finalizzatore, un numero nove", spiega per presentarsi al pubblico italiano. Per capacità di vedere la porta, coordinazione e anche per qualche pausa ricorda un po' Trezeguet, ma lui ha un altro modello: "Ho sempre ammirato Romario, soprattutto quello dei tempi di Barcellona". In semifinale ha fatto un gol da posizione impossibile: "Ho visto la palla che stava per uscire, ho visto una luce, mi son detto: 'Devi tirare adesso'. E' il mio mestiere, stare lì e aspettare le opportunità". Sa aspettare anche per approdare in Europa: "Certo, giocare la Champions League è il sogno di ogni giocatore, ma voglio prendere le cose con calma. Quando sarà il momento succederà. Squadre preferite? Mi piace il Chelsea, e in generale ho una passione per il calcio inglese".
Dominic Adiyiah (qui a destra, nella foto) interpreta il ruolo di prima punta in modo molto differente e molto moderna: svaria, detta il passaggio, combina nello stretto: per trovare un paragone si può avvicinarlo a David Villa, del Valencia. Cresciuto nella scuola calcio che il Feyenoord ha impiantato in Ghana, dalla scorsa estate è al Fredrikstad, in Norvegia, "dove è stata un po' dura ambientarsi, e trovare posto. Sono il più giovane fra gli attaccanti". Meno difficoltà con il Ghana under 20: 14 gol in 14 partite, 8 in queste sei del Mondiale, di cui è capocannoniere, praticamente senza rivali. "E' la mia grande occasione - spiega - perché so che qui posso mettermi in mostra per progredire nella mia carriera. Voglio andare a giocare in un grande campionato, come quello inglese, francese o spagnolo, e voglio diventare fra i migliori al mondo". L'ambizione e il senso di responsabilità non gli mancano: "Dobbiamo vincere questo torneo per il calcio africano, che ha bisogno di un trionfo. E io, dopo aver visto in tivù tanti grandi giocatori, fra cui il mio preferito, che è Ronaldo, ora voglio essere uno di loro". Timidezza brasiliana o balli ghanesi? Venerdì il verdetto.

mercoledì 14 ottobre 2009

pensiero della settimana: lo stufato s'è incazzato

Di Diego Del Pozzo

Prima di Irlanda-Italia s'era detto "stufato". Dopo Italia-Cipro di stasera è diventato addirittura "incazzato come una bestia". Insomma, Marcello Lippi ha già iniziato a lavorare per creare il "clima mondiale". E mancano ancora otto mesi...

mondiali under 20: brasile e ghana in finale

Di Valerio Clari
(La Gazzetta dello Sport - 14 ottobre 2009)

IL CAIRO (Egitto) - Sarà Brasile vero contro Brasile d'Africa. Verdeoro campioni del Sudamerica contro il Ghana, vittorioso nel suo continente, in finale del Mondiale Under 20. Eliminate rispettivamente Costa Rica e Ungheria, l'appuntamento è per venerdì, al Cairo, ore 20.
Il gol che sblocca il risultato per il Brasile arriva dopo oltre un'ora di possesso palla, non troppo produttivo, per dire la verità. Un tiro da fuori di Souza e un numero di Giuliano fermato in modo sospetto in area sono tutto il prodotto verdeoro del primo tempo. Al 21' però Bertucci da sinistra piazza un bel cross, Paulo Henrique e Smith sfiorano solo, Kardec da posizione molto difficile, sul secondo palo, si coordina in corsa e spara una bomba in porta (nella foto sopra, l'esultanza del giocatore dopo il gol). Quando hai giocatori così, la vita ti sorride, e puoi aspettare senza innervosirti troppo di aprire la scatola centroamericana. Tanto più che il Brasile ha anche un buon equilibrio, con l'interessante Toloi al centro della difesa e due uomini d'ordine davanti a lui, Souza e Maylson (poi sostituito dal non impeccabile Renan). Da metà campo in su il talento non manca: oggi meglio Paulo Henrique, del Santos, di Alex Teixeira, in crisi negli spazi ristretti. Giuliano è un talento fatto e finito, con la palla fra i piedi regala numeri e salta l'uomo, ma l'ingresso fondamentale è quello di Bertucci, dinamismo a sinistra.
La Costa Rica ne aveva prese cinque al debutto, e ha chiaramente imparato la lezione: 4-4-1-1, col solo Martinez oltre la linea della palla. Il risultato nel primo tempo è un imbarazzante trenta per cento di possesso palla, ma anche un predominio nelle occasioni create, con paratone del brasiliano Rafael su Guzman (punizione al 16') e Urena (contropiede al 44'). I Ticos sono ben registrati dietro, attorno alla coppia formata dal capitano Mena e dal "rasta" Smith. Urena poi è una scheggia nelle ripartenze, anche palla al piede, mentre Martinez fa bene la boa. Più dura quando si tratta di recuperare: si fa paura solo con una punizione di Guzman.
Fra Ghana e Ungheria finisce 3-2. Ma non è stata una battaglia come Italia-Ungheria. Gli africani dominano ampiamente il primo tempo, in cui la punta Adiyiah chiude i discorsi per la Scarpa d'oro del cannoniere. La sua doppietta (primo gol al 10' con tocco sulla conclusione di Ayew, fiondatosi su un retropassaggio corto di Presinger; secondo al 30' di testa su cross sul secondo palo di Inkoom) lo catapulta a quota 8 reti, doppiando una folta schiera di secondi (qui nella foto, la sua esultanza). Nella ripresa la squadra di Tetteh, si rilassa un po', subisce il ritorno degli ungheresi, che segnano con Futacs, al 28', su assist di Andras Simon. Il gol non è una sveglia sufficiente, gli africani rischiano il 2-2 di Goszotony e poi di Szabo di testa. Reagisce Quansah, che fa 3-1 in contropiede, si addormenta Addy, che concede il 3-2 a Balajti.
Scusate alcune superficialità dietro con la consapevolezza di essere in controllo della partita, questo Ghana è una potenza: quando attacca, lo fa in 8, coi terzini Inkoom e Addy che sfruttano le fasce lasciate libere dai centrocampisti, che tendono ad accentrarsi per combinare nello stretto. Ayew è leader, il doriano Rabiu ci mette del suo, Agyemang-Badu è l’uomo dell'equilibrio. Poi ci sono quei due là davanti: Adiyiah è imprendibile nello stretto, e colpisce anche di testa, Osei con un tiro da fuori ha fatto tremare la traversa, con altre iniziative i pochi tifosi ungheresi. L'Ungheria è già andata oltre le proprie aspettative, se si considera come i ragazzi prima del torneo avevano pronosticato per lo più un'uscita ai quarti. Si aspettava Nemeth, uscito invece al 45' con qualche problema fisico, è spuntato Andras Simon, altro ragazzo del Liverpool in prestito, al Cordoba: assist e giocate. Bene anche il colosso Futacs, Gosztonyi, spostato a destra sulla fascia di Koman, e nelle ripresa il bresciano Varga: è stato fra i più pericolosi, con un paio di conclusioni a fil di palo.

lunedì 12 ottobre 2009

un bel racconto del "miracolo di san palermo"

Di Marco Ciriello

Piove a Buenos Aires, nuvole e Sudafrica. È una notte di temporali, scommesse, storie improbabili. Da stare chiusi in casa. Allo stadio Monumental, invece, sotto la pioggia, due uomini saltano, si tuffano nell'erba: splash, scivolano sull'acqua che allaga il campo, urlano di gioia, poi si abbracciano. È appena finita la prima delle due partite che forse porteranno l'Argentina ai mondiali. E vale la pena di uscire a guardare la danza degli increduli.
Il primo, quello che vedete replicare un delfino, bagnato e felice, è Diego Armando Maradona. L'altro, quello con la faccia triste da Califano d'Argentina che urla e corre, vestito dallo stupore, fradicio di felicità, è Martin Palermo. Suo il gol al 93' che permette di sperare ancora. Uno capace di sbagliare tre rigori in una partita, poi di segnare di testa da 38 metri. Un dispari. Maradona e Palermo, stelle distanti, sono una di quelle coppie costrette a ballare un tango insieme, in mancanza d'altri. Due vecchi ballerini ai quali nessuno può togliere quello che hanno ballato. Questo offre la pista, e loro vanno. Fuori posto, fuori periodo. Due replicanti (ricordate Blade Runner?). Uomini a termine, con la consapevolezza della propria scadenza, che camminano sul filo da sempre, bordeggiano il vuoto e la sconfitta, l'improbabile e lo stupore.
Sono quasi pronti a rinunciare, ad andare, ma poi no. Cercano, ancora un altro po' di tempo per continuare a giocare. Mendicanti di pallone, occasioni, adrenalina. Ma, a dar loro la caccia c'è - sempre - la normalità. E dietro una partita brutta. Con un Perù ostico e difficile da superare. Sul campo il fantasma di Leo Messi(a), in panchina Martin Palermo fuori posto più di Obama a Copenhagen. Poi, entra, sostituendo Perez, e scrive il suo nome, vince il suo Nobel: "È stato il miracolo di San Palermo" ha detto Maradona, quando ormai la partita era diventata una corrida, tutti pronti per fargli il funerale, avevano cominciato i telecronisti. Si era aperta la caccia. Sembrava la replica di quello che accadde in questo stadio, trenta e fischia anni fa: quando César Luis Menotti si trovò in una situazione simile e il santo del giorno si chiamava Mario Kempes. Lo stesso che oggi, però, dimenticando forse quella partita con la Polonia, appare un critico implacabile di Maradona e delle sue scelte.
Ma il punto, stasera, non è il gioco che l'Argentina non ha, né le scelte di Maradona (tra queste, quella di convocare l'old boy Palermo lasciando a casa giocatori tre volte più forti), e nemmeno se questa squadra andrà ai mondiali, ma l'ostinazione di due uomini - scaduti, abbandonati dal proprio Paese - che su un campo fangoso, inseguono il destino e una nuova possibilità, e lo fanno col cuore, senza ragione, a capofitto, come i giocatori di rugby quando cercano la palla nella mischia, tra colpi e spinte. Maradona, più di Palermo (che sta vivendo una nuova giovinezza a 36 anni), è uno specialista delle resurrezioni, eppure, stavolta, è apparso sorpreso, mancavano meno di sessanta secondi alla fine della partita, prima che martinpalermo, il veijo, il loco, spedisse la palla in porta. Uno che non è stato al balcone ad aspettare la propria primavera ma, sbagliato o no, lo trovi a giocarsela, per strada, anche se ormai è un uomo d'autunno, un uomo di ieri, che, però, conserva i numeri di sempre, e la mette dentro.
Non importa se la vittoria è un furto che arriva fuori tempo, quello che importa è che ci sia un altro campo sul quale replicare. Continuando a sperare. Tutto questo tradisce il Maradona calciatore, ma non il vecchio per il bambino. L'emozione di una notte simile, il poter urlare "non è ancora finita" valgono più del bel gioco, e degli schemi, e se poi a regalartele è un marcantonio, un chinaglione, che tutti danno per finito, e anche lui sta già pensando al dopo, e magari deve rassegnarsi a una nuova vita di comparsate per telefilm (Palermo aveva già cominciato nel Patito Feo) o peggio reality, allora la vittoria è doppia. E poco importa se è solo la bugia di una notte. Chi, non ha mai mentito, aspettando un altro giorno per essere sincero?

sabato 10 ottobre 2009

croke park, lo stadio che odiava il calcio

Di Fabrizio Bocca

DUBLINO - Benvenuti al Croke Park di Dublino, 125 anni di storia, sport, sangue ma soprattutto mai calcio. Benvenuti al Croke Park, lo stadio che il calcio non lo ha mai amato. Anzi, non lo ha mai voluto e probabilmente lo ha odiato. Non tanto perché non piacesse, quanto perché proveniva da una cultura con cui si era in guerra. Tanti, tantissimi anni fa. Anche nello sport si fa fatica a dimenticare. Fino a ieri.
Al Croke Park fino a pochi anni fa gli sport di discendenza inglese - rugby e calcio appunto, ma anche cricket, corse dei cavalli e dei cani, e non sono disclipline dettate a caso, attenzione - erano assolutamente banditi. Il bellissimo prato del Croke Park doveva essere calpestato, per legge, esclusivamente da giocatori di "calcio gaelico", hurling (una specie di hockey prato) e tutte le discipline previste dalla Gaelic Athletic Association. L'unica vera depositaria della cultura irlandese in fatto di sport. La nazionale di calcio dell'Irlanda, e quindi anche quella di Trapattoni, vi accede solamente da un paio d'anni, lo stesso la nazionale di rugby del "Sei Nazioni". L'impianto più bello d'Irlanda, il quarto stadio europeo per capienza fino a qualche tempo fa non aveva nulla a che fare col soccer. Ecco perché in occasione di Irlanda-Italia si entra, stranamente ma maestosamente, in un impianto di gioco grandissimo - questi sport richiedono grandi spazi - e grandi tribune coperte praticamente solo su tre lati. Un'architettura studiata in maniera particolare perché il pubblico non rimanesse troppo lontano dal maestoso campo in erba.
Il calcio gaelico, un mix tra rugby, pallamano e calcio (porte ad H con tanto di rete nella parte sottostante e con un portiere, pallone non ovale ma tondo, si può palleggiare tipo pallacanestro e far gol lanciando la palla con le mani) è molto popolare in Irlanda. Forse è un po' buffo a vederlo le prime volte, se guardato con la nostra mentalità, ma assolutamente divertente. Vi è un vero e proprio campionato tra le città irlandesi e gli spettatori sono migliaia. Non solo, campi di "gaelic football" sono sparsi un po' dappertutto nei meravigliosi parchi della verdissima Irlanda, i giovani ci giocano regolarmente anche a scuola. Così come la cultura gaelica ha una sua storia e una sua lingua, così anche lo sport ha una sua radicale tradizione che ha fatto fatica ad integrarsi con quella degli antichi dominatori inglesi. Il calcio gaelico quindi è sempre stato opposto agli sport di origine inglese. Una vera guerra. Tanto che i tesserati della Gaa rischiavano addirittura la radiazione se sorpresi a tradire giocando a rugby o a calcio. Nello statuto della Gaa, proprietaria del Croke Park, c'era una "Rule 42", una regola estremamente rigida, che vietava l'uso di quell'impianto agli sport inglesi. Le cose adesso sono cambiate, va bene, ma non molto tempo fa.
Per affrontare i costi di ristrutturazione dell'impianto dagli anni '90 in poi (una quindicina di anni si è impiegato per una ristrutturazione molto complessa in 4 fasi) si è dovuto modificare quella norma così da poter affittare lo stadio ad altre federazioni. Tra polemiche enormi comunque, erano tanti quelli che volevano che il muro non cadesse. In ogni caso ora la federcalcio irlandese - alle prese a sua volta con la ristrutturazione dello stadio di calcio di Lansdowne Road - ha un complesso contratto con la Gaa e paga circa un 1.250.000 euro a evento. In passato lo stadio si apriva malvolentieri in genere ad eventi estranei agli sport gaelici. Si fecero però eccezioni clamorose per un match di Mohammad Ali negli anni '70 e anche per un favoloso concerto degli U2 (la prima volta nel 1985, l'ultimo nel luglio di quest'anno).
Le prime fondamenta dell'impianto dedicato ai Gaelic Games risalgono addirittura al 1884, 125 anni fa appunto. A piena capacità il Croke Park - adesso uno stadio a tre livelli con tanto di ristoranti e bar al primo e un bellissimo museo - ha superato i novantamila spettatori. Attualmente ha una capienza da oltre ottantamila. Con 11 euro di accesso al museo si può fare un salto particolare dentro la storia dell'Irlanda. Croke Park e calcio gaelico, si diceva, sono un tutt'uno con la storia irlandese dell'ultimo secolo.
Il 21 novembre 1920, durante la guerra civile, una divisione di ausiliari dell'esercito inglese, fece irruzione con i blindati nello stadio durante la partita Dublin-Tipperary uccidendo 13 spettatori e il capitano del Tipperary, Hogan. E infatti c'è tutt'ora una tribuna Hogan dedicata alla sua memoria. La strage fu una rappresaglia per l'azione che aveva portato alla morte di 14 agenti della British Intelligence, rivendicata dal leader rivoluzionario dell'IRA Michael Collins. La storia è raccontata anche nell'omonimo film degli anni '90 interpretato dall'attore nord-irlandese Liam Neeson. La strage divenne nota come "Bloody Sunday 1", seguita poi, 50 anni dopo, dalla "Bloody Sunday 2" di Derry nell'Irlanda del Nord nel 1972 (anche lì 14 morti) e cantata poi dagli U2. Fu proprio la strage del 1920 ad allontanare ancora di più il Croke Park da tutto ciò che ricordasse l'Inghilterra. Una storia di calcio e di sangue, ormai finalmente chiusa.

venerdì 9 ottobre 2009

pensiero della settimana: stufato

Di Diego Del Pozzo

Dopo aver dichiarato di essersi "stufato" per le continue domande su Cassano, l'ineffabile commissario tecnico italiano Marcello Lippi dovrà dimostrare, stasera a Dublino, di non essere "bollito", più che "stufato". E, sempre a proposito di "stufato", stia attento a quello che potrebbe propinargli il caro, vecchio Trap, intramontabile maestro delle ricette tradizionali.

giovedì 8 ottobre 2009

mondiali under 20: perché senza i migliori?

Di Diego Del Pozzo

Domani sera la Nazionale italiana Under 20 di Francesco Rocca si giocherà l'accesso alla semifinale del Mondiale di categoria affrontando l'Ungheria. A prescindere da ciò che potrà accadere non posso fare a meno di riflettere su una cosa.
La nostra squadra, infatti, è composta da ragazzi impegnati in categorie minori, rappresentative giovanili o, addirittura, non impegnati per niente, in quanto disoccupati. Cosa sarebbe potuto accadere, dunque, se avessimo potuto schierare al Mondiale Under 20 una squadra titolare come questa che elenco qui di seguito? Eccola: Fiorillo; Santon, Albertazzi, Ariaudo, Bellusci; Poli, Bolzoni, Raggio Garibaldi; Balotelli (nella foto qui sotto), Okaka (Marilungo), Paloschi.
Perché, dunque, la Federazione italiana non ha imposto ai club, com'era doveroso, di liberare i loro calciatori per questa Nazionale, che avrebbe dovuto affrontare quella che, di fatto, è la seconda competizione per importanza, tra quelle organizzate dalla Fifa? Non sarebbe stato bello poter competere ad armi pari con Brasile e Germania, magari con concrete possibilità di vincerlo, questo Mondiale che a ogni sua edizione "lancia" i campioni del futuro?

mercoledì 7 ottobre 2009

adriano decide il fla-flu 2009


martedì 6 ottobre 2009

a napoli arriva (in ritardo) walter mazzarri

Di Diego Del Pozzo

E così, dopo tanta confusione, domani mattina alle ore 9.45 inizierà ufficialmente l'avventura di Walter Mazzarri alla guida del Napoli, la cui panchina ebbe già modo di assaggiare come vice di Renzo Ulivieri una decina di anni fa. Mazzarri sostituisce Roberto Donadoni, persona degnissima ma tecnico rivelatosi inadeguato a una piazza come quella partenopea (pur pagando, comunque, anche colpe non sue...).
L'ex tecnico di Reggina e Sampdoria (qui sopra, nella foto) arriva al Napoli, comunque, con qualche mese di ritardo, poiché proprio lui (o Delio Rossi) avrebbe sostituito Edy Reja già alla fine dello scorso torneo, se un frettoloso Aurelio De Laurentiis non avesse deciso di avvicendare l'allenatore friulano con Donadoni - al quale fece firmare un contratto biennale - prima della fine della stagione.
Assodato che la rosa partenopea presenta alcuni "buchi" che non potranno essere colmati fino al calciomercato di gennaio, da Walter Mazzarri ci si aspetta innanzitutto, nell'immediato, una "scossa energetica" derivante dal suo carattere, senz'altro più espansivo e "vulcanico" rispetto a quello un po' grigio - seppur serissimo - del fresco ex Donadoni. Ovviamente, però, l'allenatore viareggino - senz'altro tra i tecnici più interessanti in attività in Italia - dovrà portare al Napoli, già nel medio periodo, soprattutto quelle che sono sempre state le sue caratteristiche distintive: grande raffinatezza nell'impostazione tecnico-tattica della squadra, lavoro sul campo d'allenamento con attenzione ai dettagli al limite della pignoleria, straordinaria capacità di lettura delle partite anche in corso, conseguente duttilità e adattabilità all'ambiente e agli avversari, grinta ed enorme abilità nel motivare i giocatori e nel renderli partecipi di un unico progetto.
Le squadre di Mazzarri non mollano mai e sanno praticare un calcio anche gradevole, oltre che redditizio: vedremo se anche a Napoli l'ambizioso mister viareggino riuscirà a proseguire nella sua scalata verso i vertici della professione...

martin palermo: che capocciata!!!


Guardate un po' che ha combinato Martin Palermo nel 3-2 tra Boca e Velez!!!

fine pausa dovuta a spaesamento

Di Diego Del Pozzo

Per la prima volta da quando ho aperto Calciopassioni, senza considerare la pausa agostana per le vacanze estive, ho tenuto il sito "fermo" per quasi una settimana. Giovedì scorso, infatti, mi sono interrogato - con un punto interrogativo bello grande, anche graficamente - sull'incerto futuro del Napoli, dopo le ennesime esternazioni presidenziali. Stavolta, però, tali esternazioni sono state seguite da un autentico terremoto che, in questi giorni, ha ridefinito completamente le coordinate stesse di un progetto tecnico che si pensava, invece, fosse già ben definito. Ebbene, in questa settimana - oltre a portare avanti le vicende della mia esistenza quotidiana, che qui però interessano poco - mi sono molto interrogato sul "punto interrogativo bello grande" che avevo inserito sul sito. Oggi, direi che posso chiudere questa riflessione, poiché si inizia a capire meglio dove andrà a parare il Napoli di Aurelio De Laurentiis nell'immediato futuro.
Così, da tifoso disorientato di fronte all'incompetenza di chi dovrebbe gestire la tua squadra del cuore, posso tornare nei panni di osservatore equilibrato (spero) delle cose calcistiche. Facendomi guidare, come sempre, dalla grande passione per questo bellissimo gioco...

giovedì 1 ottobre 2009

il nuovo napoli