martedì 31 marzo 2009

l'esordiente santon

Di Diego Del Pozzo

Davide Santon è un predestinato: dall'inizio dell'anno nuovo, questa frase è pronunciata continuamente dagli addetti ai lavori e dagli osservatori di cose calcistiche nostrane. Ma predestinato per cosa? Sicuramente per una grande carriera da calciatore professionista, come hanno ampiamente dimostrato questi primi mesi di impiego regolare sulla fascia sinistra della difesa interista, peraltro fuori ruolo dato che lui nasce come laterale difensivo destro.
Date le circostanze, in molti hanno scomodato il paragone con quello che è unanimemente considerato uno tra i più forti difensori di tutti i tempi, cioè Paolo Maldini. Anche lui, infatti, è destro naturale e nasce terzino destro, per poi consacrarsi come miglior terzino sinistro dell'intera storia del calcio moderno.
Il diciottenne Santon, prodotto del vivaio interista, ha tutto per poter emulare l'illustre dirimpettaio: potenza e atletismo superiori, ottime tecnica e velocità, intelligenza tattica e maturità straordinarie, grande duttilità, carattere d'acciaio ed estremamente serio. Insomma, una volta tanto mi sento di fare i complimenti a Josè Mourinho, che pur di non lasciare ulteriormente marcire in panchina il ragazzino - sfortunato in quanto la fascia destra difensiva dell'Inter è occupata da Maicon - ha preferito dirottarlo a sinistra al posto di Maxwell: ebbene, da quando è entrato in campo, Santon non ne è più uscito, giocando sempre molto bene e, soprattutto, con sicurezza e maturità davvero incredibili per un esordiente della sua età. In Champions League, addirittura, ha retto ottimamente il confronto diretto, sia all'andata che al ritorno, contro il Pallone d'Oro Cristiano Ronaldo, che alla fine dei vittoriosi centottanta minuti ha avuto parole di grande elogio per il giovane interista.
Stasera, Davide Santon - che io avrei fin da subito inserito nel gruppo della Nazionale maggiore, come fece nel 1978 Bearzot con Cabrini - ha esordito con la maglia dell'Italia Under 21, in un match amichevole contro l'Olanda. E anche in questo caso, ha subito convinto tutti, per la qualità della prestazione e per la personalità mostrata. Insomma, Lippi permettendo, sono pronto a scommettere su Santon in campo ai Mondiali del prossimo anno con la maglia della Nazionale maggiore, della quale - se il buon giorno si vede dal mattino - è destinato a essere titolare indiscusso per i prossimi dieci-quindici anni.

lunedì 30 marzo 2009

strepitoso maradona su messi...

Di Diego Del Pozzo

Questa è troppo bella e voglio assolutamente riportarla anche qui su Calciopassioni. Mi sto riferendo alla frase pronunciata da Diego Maradona al termine della vittoriosa partita di qualificazioni mondiali (4-0) della sua Argentina contro il Venezuela.
Al terzo minuto di recupero del secondo tempo, quindi a partita abbondantemente messa "in ghiaccio", Leo Messi supera con una serie di velocissimi dribbling ben cinque giocatori venezuelani, tirando poi a lato davvero di pochissimo. Ebbene, nel dopo-gara, trovandosi a commentare l'azione, Maradona se ne esce con la seguente, testuale, battuta: "Se avesse fatto gol tutta la gente sarebbe dovuta uscire, pagare un secondo biglietto d'ingresso e rientrare". Grandissimo!!!

Ps: Per inciso, da quando è guidata da Maradona come ct, l'Argentina ha vinto tre partite senza ancora incassare un solo gol. E anche contro il pur modestissimo Venezuela ha mostrato una solidità davvero invidiabile, abbinata alla straordinaria qualità e velocità dei suoi interpreti d'attacco. Tra questi spicca colui che è, oggi, il più forte giocatore del mondo, Leo Messi, non a caso "premiato" con la camiseta numero dieci direttamente da chi ne resterà per sempre il legittimo proprietario. Insomma, come fa notare Paolo Condò sulla Gazzetta dello Sport del giorno successivo alla partita, questa Argentina può davvero puntare seriamente a vincere il prossimo Mondiale.

pensiero della settimana: noia

Di Diego Del Pozzo

Sì, è vero, il calcio delle nazionali è affascinante e, inoltre, ha il pregio di rappresentare il termometro più fedele del livello calcistico di un Paese. Però, però... Però, che noia quasi due settimane senza campionato, anzi senza i campionati (e le coppe) di nessuna tra le nazioni-guida del calcio internazionale. Sono le conseguenze della razionalizzazione dei calendari da parte della Fifa, con date precise riservate, in tutto il mondo, unicamente alle squadre nazionali.
Meno male che da giovedì a domenica ci sono state le semifinali e le finali dei Regionals del torneo di basket Ncaa: uno spettacolo coinvolgente ed emozionante come pochi altri al mondo.

Ps: Ah, quasi dimenticavo... Alle Final Four di Detroit - in programma dal 4 al 6 aprile - si sono qualificate le due favorite Connecticut e North Carolina (quella pronosticata dal presidente Barack Obama...), assieme a due straordinarie Villanova e Michigan State, capaci di eliminare autentiche corazzate come Pittsburgh e Louisville.

domenica 29 marzo 2009

ma anche senza...

Di Diego Del Pozzo

La vittoria di ieri sera dell'Italia in Montenegro sarà ricordata dai telespettatori più attenti e smaliziati anche come la partita della rivincita del commissario tecnico Marcello Lippi sui tanti critici e osservatori, oltre che su buona parte dell'opinione pubblica, inneggianti a una convocazione di Antonio Cassano in Nazionale, a suggello del suo attuale, straordinario, momento di forma.
Bene, dopo i due gol che hanno siglato la vittoria a Podgorica, è apparso evidente come il ragionamento del nostro ct sia stato pressappoco il seguente: "La squadra ha retto bene il confronto su un campo ostico; in più, i due gol li hanno fatti Pirlo e Pazzini: il primo schierato quasi come trequartista, il secondo andato in rete nonostante la mancata convocazione del suo richiestissimo compagno di club...". Fin qui nulla di strano, poiché è anche ovvio che un commissario tecnico, peraltro forte del titolo di campione del mondo in carica, vada avanti con le proprie idee, soprattutto se poi, almeno secondo lui, le vede rafforzate dai riscontri del campo...
Il problema vero, dal mio punto di vista di telespettatore della partita di ieri, è subito apparso un altro: cioè la fastidiosissima corsa di quasi tutti i giornalisti accreditati al seguito della Nazionale - proprio quelli che un osservatore intelligente come Stefano Olivari definì "embedded" in occasione dell'amichevole londinese contro il Brasile - a sottolineare, nei loro interventi "a caldo" post-gara, come Pazzini avesse fatto gol "anche senza gli assist di Cassano", con i surreali eccessi dei come al solito imbattibili inviati Rai, pure stavolta più realisti del re nel far notare al commissario tecnico che "allora, questo Pazzini i gol li sa fare anche senza gli assist di Cassano...", condendo l'osservazione persino con una punta di complice ironia e l'immancabile strizzatina d'occhio.
Sia chiaro, l'attuale centravanti della Sampdoria resta uno tra i talenti d'attacco più significativi del nostro attuale panorama calcistico, anche da solo e/o con qualunque partner offensivo. Però, è anche vero che basta guardare superficialmente una partita dei doriani per volare con la fantasia e immaginare cosa potrebbero mai combinare i due, Cassano e Pazzini, schierati assieme anche in Nazionale. Chissà, magari servito dal barese anche con la maglia azzurra, ieri sera, l'attaccante di gol ne avrebbe realizzati due o tre e non soltanto uno...

venerdì 27 marzo 2009

cassa(no)...

Di Diego Del Pozzo

Marcello Lippi è il commissario tecnico che, nel 2006, ha preferito far diventare campione del mondo l'onesto Zaccardo pur di non convocare in Nazionale il suo "nemico giurato" Christian Panucci, in quel periodo nettamente il più forte laterale destro italiano nonché uno tra i migliori quattro-cinque difensori nostrani in assoluto.
Dunque, considerando questo precedente, fossi in Antonio Cassano inizierei seriamente a preoccuparmi, poiché si sta iniziando a concretizzare, per lui, l'ipotesi di un Mondiale 2010 da seguire in televisione come semplice spettatore. L'ennesima mancata convocazione del talento di Bari Vecchia, infatti, non è spiegabile in alcun modo dal punto di vista tecnico, ma piuttosto con una probabile antipatia nutrita nei suoi confronti dall'ineffabile "Grazie Marcello", che evidentemente continua a considerare Cassano una "testa calda" sfasciaspogliatoi, fingendo di ignorare l'autentica trasformazione che ha interessato il fantasista barese nell'ultimo anno e mezzo.
Tralasciando per un attimo l'aspetto tecnico, dato che appare evidente a chiunque capisca un minimo di calcio come Antonio Cassano sia oggi nettamente il più forte calciatore italiano in attività, Marcello Lippi dovrebbe riflettere un po' più a lungo sul fatto che, magari, arrivati a 26 anni si sia più maturi e consapevoli rispetto ai 20 o ai 18 anni e che, di conseguenza, si decida di commettere un minore numero di cazzate e di dedicarsi con maggior rispetto - anzitutto verso se stessi e il proprio talento - alla professione che si è scelto di praticare.
Cassano oggi è l'autentico leader della Sampdoria che sta risalendo a falcate sicure la classifica; ne è l'uomo-squadra e il capitano, il "leader emotivo" e ovviamente quello tecnico, ne rappresenta l'anima e il cuore. In quasi due campionati si è lasciato andare soltanto un paio di volte ad atteggiamenti in campo censurabili dal punto di vista comportamentale; atteggiamenti, comunque, superati per gravità e frequenza da quelli di altri calciatori per i quali le porte della Nazionale sono invece sempre aperte. Addirittura, Cassano ha preso, negli ultimi tempi, la divertente abitudine di andare vicino alla propria panchina per calmare il suo sanguigno allenatore, Walter Mazzarri, quando lo vede protestare troppo con gli arbitri: se non è maturità questa...
Dal punto di vista tecnico, a 26 anni compiuti, Antonio Cassano sa dominare le partite come pochi altri calciatori del suo tempo: gestisce i ritmi delle partite, serve assist al bacio (dieci in totale in questo campionato, sei per il solo Pazzini, arrivato in Nazionale - beffa delle beffe! - proprio grazie a lui), fa gol con buona frequenza (già otto volte: il nazionale argentino Ezequiel Lavezzi, una tra le star conclamate della Serie A, ha realizzato un gol in meno), soprattutto mostra una convinzione e una sicurezza inedite nei propri mezzi abbinando alla classe cristallina anche una concretezza che lo rende assolutamente letale per le squadre avversarie. Sarebbe davvero un "delitto", insomma, sprecare un simile talento e privarne una Nazionale che, invece, andrebbe rifondata proprio attorno a lui e a pochi altri.
Tra l'altro, l'anno prossimo Antonio Cassano, a 27 anni, sarebbe ancor di più nel pieno della maturità e, qualora glielo si lasciasse disputare, potrebbe davvero marchiare a fuoco il Mondiale di Sudafrica 2010 e imporsi come uno tra i protagonisti assoluti della rassegna.
Da parte mia, voglio continuare a sperare, dunque, che "Grazie Marcello" non trasformi, con la sua cocciutagine, un possibile "Mondiale di Cassano" in un non auspicabile Mondiale senza Cassano.

giovedì 26 marzo 2009

il ritorno di ronaldo


Bella intervista a Ronaldo, sulla Gazzetta dello Sport di ieri: l'ha realizzata Paolo Condò, che in questi giorni è in Sudamerica per una serie di articoli, come sempre molto interessanti e piacevoli da leggere. Ecco l'intervista. (d.d.p.)
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Ronie: "30 gol per Dunga. Ma basta con l'Europa"
Di Paolo Condò (La Gazzetta dello Sport - 25 marzo 2009)
SAN PAOLO (Brasile), 25 marzo 2009 - La security del Corinthians circonda Ronaldo come se fosse un capo di Stato. Fuori dallo stadio Pacaembu infuria la battaglia tra polizia e tifosi. Il clima è di altissima tensione e le guardie del corpo non sono per nulla benevole, ma qualche domanda al Fenomeno si riesce a fare.
Ronaldo, è soddisfatto di come sta procedendo il rientro?
“Sì. Dopo aver segnato due reti, contro il Santos non ce l’ho fatta, ma abbiamo vinto lo stesso. Credo che i tifosi si stessero facendo un’idea sbagliata: non posso segnare in ogni partita, ora lo sanno”.
Lei dice di essere all’80 per cento, ma per tornare il vero Ronaldo francamente le manca più del 20...
“Nel periodo di inattività ero ingrassato di 11 chili. Ne ho smaltiti 8, ma gli ultimi tre mi stanno facendo penare. Buttandoli giù, ritroverei l’esplosività che mi manca”.
Lei ha un anno di contratto con il Corinthians più un’opzione per il 2010. Quali traguardi si è posto?
“Bastano 30 gol? Ecco, se riuscissi a segnare 30 gol penso che il Corinthians vincerebbe qualcosa. La cosa più importante comunque sarà l’accesso alla coppa Libertadores, la Champions del Sudamerica”.
Per giocarla dovrebbe restare qui nel 2010. Se il recupero procedesse nel migliore dei modi, non pensa di tornare in Europa?
“No. Credo che quella fase della mia carriera e della mia vita si sia conclusa. É stata una grande avventura, ma la logica e il cuore dicono che è finita. Chiuderò la carriera in Brasile, la cosa più naturale è che accada nel Corinthians. Mi ci sto trovando davvero bene”.
Ma ha ricevuto qualche telefonata da club europei?
“Nulla di serio”.
Si dice che soltanto lei potesse trovare la forza per tornare un’altra volta dopo un infortunio grave.
“Lo so, ed è un bel complimento. Ma se avessi potuto scegliere avrei preferito una carriera meno accidentata, e pazienza se la fama di giocatore con le palle fosse toccata a un altro”.
Come spiega la scelta di tornare in Brasile, e di restarci.
“Qui il calcio è diverso. In Europa ci sono 20 giocatori in 30 metri di campo, qui in 50, si respira di più: in questo tipo di calcio posso recuperare la condizione con calma, in Europa avrei subito due avversari alle caviglie e la gente direbbe "non tornerà lui". Piano. Vediamo come va la stagione”.
Lo stesso concetto vale per il ritorno nella Seleçao?
“Naturalmente. Non avrebbe senso dire adesso "voglio la maglia numero 9", prima devo fare i 30 gol di cui si diceva e poi ne discuteremo con Dunga. Giocare il Mondiale è sempre stata la mia gioia massima”.
Qual è l’aspetto più piacevole di questo ennesimo ritorno?
“La sensazione di stare bene fisicamente. Le ultime stagioni erano state un po’ così sia al Real che al Milan, avevo sempre qualcosa, uno stiramento, una tendinite, insomma il corpo mandava segnali. Adesso, invece, non ho l’ombra di un dolorino”.
Ce n’è anche uno spiacevole?
“Sono state fatte troppe chiacchiere, come sempre: "Ronaldo non tornerà più", "quello con il Corinthians è solo marketing", e così via. Ho risposto sul campo, anche qui come sempre. Ciò che molti stentano a capire è che la mia felicità si trova sul campo. Dove io mi diverto”.
Anche ad allenarsi? Questa sarebbe nuova...
“Giocare è meglio di allenarsi, ovvio, e dopo anni vissuti al ritmo di una partita ogni 3 giorni confesso che una settimana come quella passata, con 7 giorni tra una gara e l’altra, è stata una fatica. In questi mesi, però, ho trovato nuovi stimoli”.
Fuori dal campo come va, invece?
“Bene. San Paolo è una megalopoli e in macchina mi ci perdo ogni giorno, ma il navigatore risolve il problema. Sono qui con la mia compagna, Bia, e Maria Sofia che ha 3 mesi. Vivo tranquillo, ogni tanto esco la sera, non capisco perché se ne parli così tanto, sembra quasi che il Brasile sia diventato un Paese di santi... La vita è una sola, perché passarla a polemizzare?”.

mercoledì 25 marzo 2009

ciao giovanni!


Giovanni "Flash" Parisi
(1967 - 2009)

Medaglia d'oro dei pesi piuma alle Olimpiadi di Seul nel 1988
Campione del mondo dei pesi leggeri WBO nel 1992
Campione del mondo dei pesi superleggeri WBO nel 1996

pensiero della settimana: dignità

Di Diego Del Pozzo

Ormai i siparietti tra i due allenatori delle squadre milanesi si susseguono con cadenza quasi quotidiana: Mourinho attacca e Ancelotti risponde, il portoghese rilancia e l'italiano ribatte. Per l'osservatore neutrale è, senz'altro, questo di tipo verbale il derby meneghino più avvincente della stagione, poiché tra le due squadre c'è fin troppa differenza in classifica per proporre un confronto diretto serio dal punto di vista tecnico. Lo schema seguito dai due è quello classico "poliziotto buono - poliziotto cattivo", con Ancelotti solitamente nel primo ruolo e Mourinho più a suo agio nel secondo.
Il più recente confronto verbale, quello sulla maggiore o minore dignità degli allenatori che si farebbero suggerire le formazioni dai loro presidenti, ha visto trionfare piuttosto nettamente il tecnico rossonero, grazie alla sferzante ironia contenuta nella sua risposta al collega nerazzurro: "Se con le sue frasi sulla mancanza di dignità - ha spiegato Ancelotti, dopo le gare della scorsa domenica - Mourinho si riferisce a me, voglio ricordargli che con Berlusconi allenatore il sottoscritto ha vinto due coppe dei campioni da giocatore e altre due da... vice-allenatore". Non c'è che dire: colpito e affondato!

lunedì 23 marzo 2009

napoli: un buon pareggio per ripartire

Di Diego Del Pozzo

Alla fine non è arrivata la vittoria che tutti aspettavano, ma comunque la squadra è uscita dal campo tra gli applausi convinti dei tifosi partenopei.
E sono stati applausi meritati, perché ieri sera il Napoli ha offerto contro il Milan una prova volitiva e generosa, dopo un primo tempo nel quale si era mostrato ancora troppo contratto e nervoso, ma che, in ogni caso, gli aveva visto realizzare un gol valido con Hamsik - rete annullata per un fuorigioco inesistente - e lo aveva visto tirare pericolosamente un altro paio di volte verso la porta rossonera difesa da Dida.
Nell'intervallo, Donadoni deve aver trovato le parole giuste per spronare i suoi uomini, perché nella seconda metà di gara il Napoli è sceso in campo con tutto un altro spirito e, soprattutto, con maggiore convinzione nei propri mezzi: così, al pressing asfissiante e ai ritmi elevati che c'erano stati già nella prima frazione, si sono aggiunti una maggiore qualità della manovra e più fluidità nei fraseggi veloci e nelle ripartenze, sfruttando in particolare l'ottima vena di un ritrovato Daniele Mannini, nettamente il migliore in campo dopo due mesi di assenza a causa dell'ingiusta e assurda squalifica che pare stia definitivamente per essere cancellata.
Probabilmente, se in questo secondo tempo il Napoli avesse potuto contare su un centravanti più efficace del pur generoso Zalayeta, la partita si sarebbe chiusa con un risultato differente: grida ancora vendetta, infatti, la clamorosa palla-gol sprecata dall'uruguayano, pescato solissimo a centro area da un'ottima imbeccata di Hamsik; così come lascia rammaricati anche la seconda chance sprecata dal "panterone", solo a tu per tu con Dida e poco reattivo nel superarlo.
Dal punto di vista tattico, Donadoni ha ripercorso solo apparentemente le orme del predecessore Reja - al quale lo stadio ha dedicato numerosi striscioni, doverosi, di affetto e riconoscenza - schierando la squadra con un 3-5-2 di partenza che, però, grazie in particolare alla scelta di Grava come esterno destro di centrocampo, si presentava più duttile e camaleontico del solito, pronto a trsformarsi in 4-4-2 con l'arretramento in difesa dello stesso Grava o in 4-3-3 col contemporaneo avanzamento di Mannini sulla fascia opposta all'altezza di Lavezzi e Zalayeta. Lo schieramento ha convinto proprio per la sua duttilità.
Adesso, approfittando della pausa di domenica prossima per gli impegni delle Nazionali, Roberto Donadoni dovrà lavorare intensamente col gruppo a disposizione, per rimotivarlo definitivamente e per affinarlo ulteriormente dal punto di vista tattico, dato che invece la condizione atletica è parsa ancora buona. Magari, sarebbe auspicabile, rispetto alla precedente gestione tecnica, un maggiore coinvolgimento di uomini che potrebbero rivelarsi preziosi in questo finale di stagione, grazie alla loro freschezza: e penso, in particolare, a Russotto e Bogliacino.

domenica 22 marzo 2009

napoli-milan 0-0: ma un gol era valido...

Di Diego Del Pozzo

Termina a reti inviolate l'atteso posticipo tra Napoli e Milan, con un ottimo secondo tempo degli azzurri che, probabilmente, avrebbero meritato qualcosa in più del pareggio.
Anche perché, in effetti, il Napoli un gol valido lo aveva segnato, con Marek Hamsik. D'altra parte, anche l'immagine riprodotta qui sotto parla chiaro: non c'era nessun fuorigioco dello slovacco sull'appoggio di testa di Zalayeta!
Comunque, i passi in avanti degli uomini di Donadoni sono sembrati evidenti e lasciano ben sperare per il prosieguo del campionato.
Ecco, qui di seguito, il tabellino della partita, con i miei voti:
NAPOLI-MILAN 0-0
NAPOLI (3-5-2): Navarro - 6; Santacroce - 6, Cannavaro - 6,5, Contini - 6,5; Grava - 6, Pazienza - 5,5, Blasi - 6,5, Hamsik - 5,5, Mannini - 7,5; Zalayeta - 5 (dal 46’ s.t. Bogliacino - s.v.), Lavezzi - 6,5 (in panchina: Bucci, Montervino, Datolo, Amodio, Russotto, Denis). Allenatore: Donadoni - 6,5.
MILAN (4-3-1-2): Dida - 6; Zambrotta - 5,5, Maldini - 6, Favalli - 6 (dal 27’ s.t. Senderos - 5,5), Jankulovski - 5,5; Beckham - 6,5, Pirlo - 6, Flamini - 6,5; Seedorf - 5 (dal 12’ s.t. Kakà - 5); Inzaghi - 5 (dal 18’ s.t. Ronaldinho - 5,5), Pato - 6 (in panchina: Kalac, Antonini, Darmian, Shevchenko). Allenatore: Ancelotti - 6.
ARBITRO: De Marco di Chiavari - 4,5.
NOTE: Spettatori 60.000 circa. Ammonito Blasi per gioco scorretto. Angoli 4-6. Recuperi 0’ p.t. e 3’ s.t.

il "cuore toro" del portiere di riserva


Stavolta l'ottimo Giorgio Porrà ha voluto riservare lo spazio della rubrica settimanale che tiene sul quotidiano Il Mattino, significativamente intitolata "La domenica dello sciagurato" (in omaggio al programma tv che conduceva una volta su Sky...), a un libro che mi era capitato di leggere qualche tempo fa e che, secondo me, era passato ingiustamente sotto silenzio.
Mi ha fatto davvero piacere, dunque, ritrovarlo così ben raccontato, "in punta di penna", anche da questo brillante giornalista. Il libro in questione è la bella biografia del "mitico" - e i tifosi granata saranno d'accordo con me - portiere di riserva del Torino, Alberto Maria Fontana (quest'anno addirittura terzo, dietro Sereni e Calderoni, ma sempre primo nei cuori dei supporters).
Ecco allora, qui di seguito, l'articolo che Porrà ha dedicato a questo libro e, più in generale, alle caratteristiche peculiari del cosiddetto "cuore toro". (d.d.p.)
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Fontana, quando "il portiere di riserva" diventa l'esempio migliore della razza Toro.
Di Giorgio Porrà (Il Mattino - 22 marzo 2009)
Razza Toro, razza speciale. Non finisce di sorprendere questa schiera di eletti. I tifosi granata sono fatti così, più la loro squadra rotola sul fondo più fanno quadrato, si tengono stretti, tornano in pellegrinaggio nei luoghi storici, straziati da una stagione lastricata di sconfitte.
Domenica scorsa, con i ragazzi di Novellino di scena a Bergamo, si erano ritrovati in centinaia su quello che resta del prato del Filadelfia, il tempio del Grande Torino, il glorioso stadio chiuso nel '94 e abbattuto tre anni dopo. Tutti insieme, attraverso la radio, avevano sofferto per l'ennesimo tracollo. Tutti insieme, riavvolte le bandiere, avevano liberato le lacrime sulle macerie della vecchia casa. È questa la diversità del Toro, non è un club, e neppure una fede, è qualcosa di più forte e misterioso assieme, è uno straordinario sentimento la cui profondità supera qualsiasi barriera generazionale, declassamento, collasso societario. Quelli del Toro hanno sviluppato anticorpi per sopravvivere a tutto. Anche al modesto spirito di corpo di chi, indossando questa maglia, fatica a percepire fino in fondo quale privilegio gli è toccato in sorte.
Di certo non è il caso di Alberto Maria Fontana, detto Jimmy, il portiere di riserva, ("Quello che guarda il calcio dalla panchina: la maglia, i calzoncini, la tuta, i guanti, tutto sembra più pesante di ciò che indossano i compagni. Sai che sarai l'ultimo ad entrare in campo, se ci entri"), torinese e torinista nato nel '74 proprio davanti al Filadelfia, idolo assoluto della Maratona nonostante un percorso apparentemente sotto traccia, con i glutei troppo spesso incollati al legno. Lui, nell'estate del 2005, quando il Torino Calcio era stato dichiarato "non idoneo all'iscrizione del campionato di serie A", con l'ombra minacciosa della definitiva cancellazione, fu l'unico calciatore a firmare il contratto in bianco, a rendere effettiva la dichiarazione di appartenenza troppe volte esibita. "Perdoni la domanda Fontana - fu la prima curiosità del presidente Cairo appena insediatosi - ma come fa ad essere così famoso tra i tifosi del Toro?".
La risposta è nelle pagine del libro "Il portiere di riserva", scritto dal giornalista Marco Mathieu, che ripercorre le tappe della carriera di questo "dodicesimo" molto speciale, capace di tener duro per lunghi anni nel calcio di periferia prima di riacciuffare il sogno accarezzato da ragazzino, quando la sua avventura decollò assieme ai vari Scifo, Martin Vasquez, Lentini, Annoni, Casagrande, Policano. Un libro che racconta l'ostinato inseguimento ad una vocazione, ad un paio di guanti granata, ma che soprattutto ha il merito di illuminare la sensibilità di un calciatore decisamente atipico. Che su certe derive dell'ambiente ha idee lucidissime e nulla fa per mascherarle. Sulla fiera del calciomercato, per esempio ("Ci sono giocatori che quasi piangono per avere un contratto, gente che non c'entra nulla con nessuno ma millanta conoscenze, chiede percentuali e prova a concludere fantomatici affari. Caporalato di lusso. Invece che sui camion che battono le strade per raccogliere la manodopera necessaria ai cantieri edili, qui si sta in albergo a trattare con le conoscenze giuste. Ma la logica è la stessa"). Sulle plusvalenze, altra esperienza vissuta in prima persona ("In pratica vieni supervalutato e servi come pedina di scambio. In questo modo le società possono mettere a bilancio attivi fittizi, che poi risaneranno l'anno successivo, poi quello dopo ancora. Siamo nel pieno della bolla speculativa del calcio, i dirigenti ragionano sempre sul presente"). Sul doping, sull'abuso di farmaci ("Il calciatore medio è ignorante e in genere non chiede nulla ai medici, si preoccupa solo di poter giocare. In qualsiasi categoria... La percezione del pericolo è assolutamente relativa").
È così che Alberto Maria Fontana, detto Jimmy, portiere tifoso, guarda il mondo dal suo oblò. Anche per questo è diventato una piccola icona granata. In carriera avrà anche giocato poco, sempre lì in panchina, ad osservare e riflettere. Ma resta lui il più bravo nel deviare l'ovvio oltre la traversa.
Marco Mathieu, Il portiere di riserva, Cairo Editore, 2008 - 176 pagine, 12 euro.

venerdì 20 marzo 2009

il segreto di inzaghi

Diego Del Pozzo

In molti si chiedono quale sia il segreto di Pippo Inzaghi, la misteriosa molecola che continua a spingerlo oltre i limiti anagrafici e che gli permette di gonfiare con straordinaria regolarità le reti avversarie alla veneranda età di 35 (quasi 36...) anni.
Ebbene, l'altro giorno ho scoperto questo segreto, leggendo una intervista a Inzaghi sulla Gazzetta dello Sport. A un certo punto, l'intervistatrice chiede a Superpippo "La cosa che le piace di meno del calcio?" e lui, ineffabile, non risponde banalità come "la violenza" o "le polemiche", ma se ne esce con una cosa inattesa e bellissima: "La pausa estiva. Ma tanto gioco in spiaggia". Ecco, dunque, il segreto di Inzaghi: la passione inesauribile per il gioco del calcio, che vorrebbe continuare a praticare per sempre... e forse lo farà.
Qui di seguito, riporto il bell'articolo di commento di Arrigo Sacchi, pubblicato sempre sullo stesso numero del quotidiano rosa milanese. Vuol essere il mio piccolo omaggio a questo grande attaccante, che proprio domenica scorsa ha raggiunto i 300 gol segnati da professionista. Speriamo soltanto che domenica sera, contro il Napoli, Pippo decida di astenersi...
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La passione è il primo talento
Di Arrigo Sacchi (La Gazzetta dello Sport - 17 marzo 2009)
Inzaghi il goleador. Pippo l'infinito. L'uomo che ad ogni gol impazzisce di gioia. Il giocatore che non invecchia mai. Il grande campione che segna sempre. Il professionista che vive per la sua professione. L'innamorato del calcio che non tradisce mai. Il calciatore che fa dell'ossessione un valore aggiunto, d'altronde Pavesi scriveva che l'ossessione è arte. Quindi l'artista mai stanco di giocare sognare e segnare. L'atleta che sa programmarsi per dare il meglio di sè. Pippo è orgoglioso, puntiglioso, un perfezionista. Studia avversari, portieri: non lascia mai nulla al caso, si allena con serietà e grande professionalità. Conduce una vita da atleta di alto livello. La sua è una sfida perenne, dove il suo compito è finalizzare. Forse è egoista, forse non partecipa troppo al gioco della squadra. Ma al momento opportuno si trova al posto giusto nel momento giusto. Il gol è il suo mestiere, la sua droga, il suo orgasmo e la sua vittoria. E' una lotta perenne, una sfida tra lui e il gol. Il calcio è la sua vita e da persona intelligente e di grande coscienza professionale, Pippo fa di tutto per cercare l'eccellenza. I suoi movimenti sono quasi tutti rivolti alla finalizzazione. Prevede, anticipa, intuisce prima degli altri. Possiede reattività e capacità di movimento e smarcamento straordinari: sembra fortunato, ma è solo bravo. Segna di piede, testa, stinco, ginocchio, pancia eccetera. L'importante è fare gol. Pippo è un rapace che in area si muove come un tarantolato. L'istinto unito a volontà, motivazione e passione formidabili, moltiplicano il suo talento. Non possiede un fisico possente ed esplosivo. Non è particolarmente veloce, ha qualità tecniche (dribbling, tiro, elevazione e passaggi) normali come le conoscenze del gioco collettivo. Pippo ama il calcio da sempre e da piccolo desiderava assolutamente diventare un grande giocatore. La straordinaria motivazione unita a orgoglio, serietà, lavoro e amore verso questo sport sono stati moltiplicatori delle sue qualità. Inoltre ha saputo ampliare le doti naturali che ha in suo possesso come attenzione, percezione, intuizione. Pippo è un fenomeno da studiare ed imitare in molte sue cose. Non si sa quando terminerà di giocare e segnare: la passione gli allungherà certamente la carriera. Si arrenderà molto tardi, più tardi che può. Il calcio è la sua vita. Tutti i ragazzi che si avvicinano a questo sport possono avere, grazie a Pippo, una speranza in più. Anche quelli che non possiedono doti particolari, possono ottenere grandi miglioramenti sempre che ne eguaglino impegno, passione e disciplina. Dovranno inoltre imitare SuperPippo che ancora a 36 anni si diverte, segna e sogna come quando era un ragazzo.

giovedì 19 marzo 2009

off topic: basket; it's "march madness"!!!

Di Diego Del Pozzo

La "Follia di marzo", la "March Madness", per gli appassionati di basket non è quella che descrive le bizze meteorologiche tipiche di questo mese dell'anno, bensì la definizione calzante per quello straordinario evento sportivo, realmente unico al mondo, che è il torneo Ncaa di basket. Vi prendono parte le migliori 64 squadre di College degli Stati Uniti, che si affrontano, in uno spietato tabellone a eliminazione diretta, fino al momento culminante della Final Four, in programma quest'anno a Detroit dal 4 al 6 aprile. Il torneo Ncaa è iniziato oggi e le prime partite del turno eliminatorio inaugurale sono già state disputate.
Per introdurre degnamente un evento unico come questo, sul quale anche il presidente Barack Obama s'è pronunciato (pronosticando North Carolina vincente), mi piace citare alcuni stralci da tre bellissimi articoli che Stefano Olivari ha pubblicato in questi giorni sul suo blog Indiscreto.
Il primo articolo (Dietro al tabellone) inquadra il torneo Ncaa e ne chiarisce il regolamento, mentre il secondo (Insana passione) e il terzo (Pittsburgh campione) passano in rassegna alcune tra le squadre più attese e introducono le partite principali del primo turno eliminatorio.
Un'ultima notazione, prima di lasciare la parola a Stefano Olivari: quest'anno gli appassionati di tutto il mondo possono seguire gratis l'intero torneo, utilizzando il servizio di streaming March Madness on Demand, realizzato dalla Cbs sul sito ufficiale della Ncaa. Per chi volesse seguire le partite in televisione, sul canale 213 di Sky, Espn America, è assicurata una copertura massiccia dell'intero torneo. Buon divertimento a tutti, dunque, con l'unica e sola "March Madness".
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Le 347 squadre della Division I del basket Ncaa - scrive Stefano Olivari - "[...] sono divise in 32 conference, in cui criteri geografici si mescolano a tradizione e considerazioni finanziarie: questo è stato senza dubbio l'anno della Big East (tre teste di serie su quattro nel torneo: La Louisville di Pitino, Pittsburgh e Connecticut), ma al top del prestigio sono ACC (da dove viene la quarta teoricissima partecipante alle Final Four di Detroit, cioè North Carolina), Big Ten, Big 12, Pac Ten, Southeastern. Per farla breve: 31 conference (tutte tranne la Great West) qualificano la vincitrice del torneo di conference (o della regular season, come nel caso, unico, della Ivy League) al torneo NCAA, mentre gli altri 34 posti per arrivare a 65 vengono assegnati da un commissione che lavora per mesi ma che formalmente si riunisce e delibera la domenica prima del torneo, la selection Sunday, basandosi su criteri oggettivi (scontri diretti fra squadre di conference diverse, record assoluto), altri più vaghi, ed uno che secondo noi sta a metà strada. Parliamo del famoso RPI, il Rating Percentage Index: una formula che sembra complicatissima ma che in realtà non lo è, che tiene conto della percentuale di vittorie, della percentuale di vittorie dell'avversario e della percentuale di vittorie degli avversari incontrati dall'avversario. Un buon modo di dare oggettività ai record, che comunque non debella del tutto quelli costruiti a tavolino in stile boxe. In genere le sei conference prima citate hanno altre tre o quattro 'chiamate' ciascuna oltre alla qualificata di diritto, ma non c'è una regola fissa. Alla fine la commissione arriva alle 65, creando inevitabilmente scontenti: il sistema è lontano dalla perfezione, ma in un territorio così vasto e con valori sportivi così diversi è un male necessario [...]".
(Nella foto qui sotto, l'esplosivo Blake Griffin di Oklahoma)
La presentazione di Olivari delle quattro zone nelle quali è diviso il tabellone del torneo Ncaa inizia dal Midwest. "[...] Dire che Louisville arriverà in carrozza alle Final Four è una banalità, anche un po' azzardata: superati facilmente gli Eagles nel primo turno, l'avversaria sarà probabilmente Ohio State (primo turno con Siena). Si giocherà a Dayton, Ohio, poco distante dalla sede di Ohio State ma nemmeno così lontana (per gli standard americani: dividendo le miglia per il limite di velocità vengono tre ore e rotti) da quella di Louisville: il fattore campo penderà più per OSU, ma per Samardo Samuels e compagni non sarà come giocare in trasferta a Salonicco. Senza ammorbarvi con nomi e cifre, questi secondo noi (visione parzialissima, in tivù e via web si vedono quasi solo le grandi) personaggi e squadre per cui vale la pena di perdere il sonno. a) Il nostro Daniel Hackett e la sua USC che a sopresa ha vinto il torneo della Pac 10: la squadra di Floyd può contare anche sul talento del probabile 'one and done' DeMar DeRozan e su quello di Taj Gibson; b) la Kansas di Bill Self, nostra favorita (anche se è numero 3 nel ranking) per incontrare i Cardinals in finale e farli anche soffrire: la pericolosità costante in attacco di Sherron Collins e la solidità di Cole Aldrich possono essere da Final Four; c) Jon Diebler, guardia di Ohio State e nostra insana passione: qualcosa in più del solito supertiratore bianco che tutti abbiamo sognato di essere, o forse il solito abbaglio da troppi Happy Days. Ragazzo dell'Ohio e fra le altre cose leader ogni epoca nei marcatori delle high school di uno stato dove l'high school l'ha frequentata anche LeBron James... d) Jeff Teague di Wake Forest, al di là delle fredde cifre per noi il miglior attaccante della NCAA. E ora il pronostico: dall'alto verso il basso Louisville-Ohio State, Utah-Wake Forest, Dayton(mini-upset su West Virginia)-Kansas, USC-Michigan State [...]".
L'analisi di Olivari prosegue con le altre tre zone del tabellone. "L'East Regional ha due fra le squadre di college più seguite in Italia, UCLA e Duke, ma anche molto altro. Favorita ovviamente Pittsburgh, che ha tre giocatori copertina: il completissimo costruttore di gioco Levance Fields, l'ala piccola Sam Young e il supercentro DeJuan Blair, per quello che abbiamo visto con meno punti deboli dell'altro intimidatore della Big East, il tanzaniano Hasheem Thabeet (Connecticut). Poco fisica la numero due Duke: Kyle Singler sembra un po' in calando, Jon Scheyer è in formissima come tiro e come tutto, Gerald Henderson (figlio del Gerald Henderson di due anelli con i Celtics anni Ottanta) è migliorato come personalità. Piace molto Villanova, ma senza creatività puntiamo su Pittsburgh. Nel South Regional potrebbe non vincere la numero uno, cioè la North Carolina di un Tyler Hansbrough al quale ormai in tanti hanno preso le misure e dell'elegante Wayne Ellington. Ty Lawson non sta bene, se al suo posto il gioco lo dovesse far nascere Bobby Frasor punteremmo fin da adesso soldi sulla Oklahoma del videogioco Blake Griffin, una specie di Charles Barkley (ma senza tiro dalla media) con agilità da Dwyane Wade (ma quindici centimetri più alto) e aggressività da... Griffin. Prossima prima scelta assoluta al draft, Griffin potrà essere tenuto fuori dalle Final Four solo da una NC al massimo o dall'eroica Syracuse che fra la commovente 2-3 di Boeheim e la personalità di Jonny Flynn potrebbe fare il colpo [...]. Il West è il Regional di Connecticut, che fra le numero uno del ranking è quella con il cammino più facile verso Detroit: se non si fosse fatto male Jerome Dyson sulla squadra di Calhoun avremmo messo la casa, ma con quello che hanno sotto canestro (oltre a Thabeet anche Jeff Adrien) e con la vena di A.J. Price non dovrebbero temere nemmeno la Memphis di Calipari e di Tyreke Evans. Concludendo, le nostre Final Four? Connecticut-Kansas e Oklahoma-Pittsburgh. Campione NCAA Pittsburgh. Rimanete collegati: non a noi che siamo dei parolai, ma a Espn America ed al sito CBS".

mercoledì 18 marzo 2009

caso mannini: giustizia è fatta; sanzione sospesa

Di Diego Del Pozzo

In un periodo difficile come quello attuale, nel pomeriggio di oggi è finalmente arrivata una bella notizia per il Napoli: il Tribunale Amministrativo dello Sport di Losanna ha, infatti, sospeso la squalifica di un anno inflitta ai calciatori Daniele Mannini e Davide Possanzini, che ebbero la sola colpa - ai tempi della comune militanza nelle fila del Brescia - di essersi presentati in ritardo a un controllo antidoping, al quale risultarono poi entrambi negativi. La sospensione arriva in seguito ai ricorsi presentati dopo questa assurda squalifica: adesso, nella prossima udienza prevista per venerdì 3 aprile, la sanzione potrebbe essere definitivamente revocata e trasformata in una multa.
I due calciatori, così, tornano immediatamente a disposizione delle rispettive squadre, che potranno schierarli fin dalla prossima partita. Mannini, dunque, potrà giocare col Napoli già nel posticipo di domenica sera contro il Milan.
Dopo l'ingiusta squalifica dei due giocatori si era creato un forte movimento di opinione a favore di una revoca del provvedimento. E un po' in tutta Italia erano nate tante iniziative a sostegno dei due sfortunati atleti. Tra queste, mi piace ricordare la campagna "Forza Daniele!!!", promossa dal portale di informazione sportiva Napolisoccer.net, che aprì anche un indirizzo e-mail al quale era possibile inviare messaggi di solidarietà e vicinanza a Mannini.
Anche Calciopassioni aderì immediatamente all'iniziativa e adesso, dunque, la gioia per questa bella notizia è per tutti noi, se possibile, ancora maggiore.
Ecco qui, dal sito ufficiale del Napoli, le prime dichiarazioni di un Mannini giustamente felicissimo: "Due mesi aspettando notte e giorno queste parole: 'Daniele ti hanno sospeso la pena'. Sono stati due mesi indescrivibili, trascorsi sperando in una notizia che non arrivava mai. Solo per continuare a fare quello che ho sempre desiderato fare. Ringrazio il presidente Aurelio De Laurentiis, il direttore generale Pierpaolo Marino, il mio procuratore Davide Lippi, la Figc, l'Aic e tutti coloro che mi hanno aiutato: il loro appoggio è stato fondamentale per tornare a giocare. Non ho mai mollato, nemmeno per un secondo, confortato dal ricordo di quel San Paolo stracolmo che trasmette emozioni uniche. Vedere i miei compagni giocare è stata la prova più dura. Avrei voluto dar loro una mano in un momento difficile. Adesso è l'ora di ricominciare a correre. Sono felice e confido che il nuovo processo possa concludersi nel migliore dei modi".
Questo, infine, è il commento a caldo di Pierpaolo Marino: "La Società si aspetta che questo sia il preludio ad una revoca definitiva, come ritengo sia giusto. Il giocatore è già stato danneggiato da un provvedimento estremamente punitivo e questa sospensione è stata adottata per non procurare ulteriori danni a Mannini. Adesso speriamo che la squalifica venga definitivamente tolta".

martedì 17 marzo 2009

off topic*: cinema; "gran torino" di clint eastwood

Di Diego Del Pozzo

L'altra sera sono andato a vedere "Gran Torino", il nuovo film di Clint Eastwood. Ebbene, che dire se non che si tratta certamente del capolavoro definitivo di questo sempre più straordinario autore cinematografico?
Secondo me, infatti, questo può essere considerato legittimamente come il film che chiude il cerchio del cinema eastwoodiano e che trasforma, una volta e per sempre, l'originario tema della vendetta - praticatissimo nei suoi western e nei thriller dei decenni Sessanta e Settanta - in una laicissima pietas, nell'intima volontà di riscattare se stessi con un atto finale e assoluto di amore verso il prossimo e di fede nei confronti del futuro e di coloro che dovranno-potranno costruirlo. Laicissima pietas che si rifà a una religiosità lontana dai dogmi e dai riti ufficiali e che, piuttosto, va intesa come capacità inesausta di guardare dentro se stessi, nel buio della propria anima, trasformando, infine, le proprie debolezze in punti di forza e i propri pregiudizi in comprensione e condivisione non "buoniste" ma intimamente sentite e alimentate dalle esperienze che hanno forgiato corpo e spirito lungo un'intera vita.
Il settantottenne Eastwood si avvicina, ormai, a questi temi con una delicatezza che ha saputo sviluppare nel corso di una carriera senza eguali, che a partire dagli anni Novanta lo ha visto letteralmente rinascere: nell'autunno della sua vicenda esistenziale, infatti, ha saputo colorare di tonalità autunnali tutto il suo cinema recente, da considerarsi come unico e coerente ripensamento (crepuscolare) del proprio corpus filmico e, al tempo stesso, del Paese (gli Stati Uniti d'America) nel quale esso si è sviluppato e al quale esso si è così a lungo dedicato.
La messa in scena di questi temi ricorrenti - si vedano, per esempio, "Un mondo perfetto", "Mystic River", "Million Dollar Baby" - avviene, come sempre, all'insegna di una classicità scarna ma regale, che lo ricollega idealmente alla grande scuola degli Hawks e dei Ford, per certi versi superandone addirittura gli esiti poetici, in particolar modo per ciò che concerne la costruzione di personaggi indimenticabili come quest'ultimo, l'operaio in pensione ed ex reduce della Corea Walt Kowalski, capace di aprirsi, quasi al termine della sua parabola esistenziale, all'alterità e alla comprensione della diversità, superando i pregiudizi di una vita intera e lasciandosi "contaminare" dall'indubbia ricchezza del confronto con un'espressione culturale diversissima dalla sua.
E' un personaggio, questo Walt Kowalski, che - come il film nel suo complesso, in rapporto alla filmografia dell'autore - rappresenta, a sua volta, la summa dell'intera carriera attoriale eastwoodiana, incarnandone in tal modo l'evoluzione tematica dai giustizieri spietati degli anni Sessanta e Settanta fino alle figure crepuscolari dell'ultimo quindicennio (da "Gli spietati" in poi): non a caso, Clint ha scelto proprio questo ruolo - quello di un uomo forse già morto all'inizio della pellicola, un autentico dead man walking - per congedarsi dal grande schermo almeno come attore. D'ora in poi, infatti, proseguirà unicamente - speriamo ancora per molto tempo - la carriera registica.
Sempre a proposito del Kowalski di "Gran Torino" - è il nome della "mitica" Ford che si vedeva anche nella serie tv di "Starsky & Hutch" e che qui il protagonista elegge a proprio feticcio - mi piace sottolineare, ancora, gli straordinari e raffinatissimi parallelismi esistenti tra questo personaggio e quello che Eastwood interpreta nell'altrettanto dolente e misticheggiante "Million Dollar Baby": in entrambi i casi, infatti, sono messi al centro della scena nient'altro che due amarissimi "padri manca(n)ti", capaci di atti d'amore "definitivi" verso coloro che, alla fine, scelgono come i loro veri figli; quei figli che, durante le rispettive esistenze, non hanno mai voluto/saputo (ri)conoscere e amare come, in realtà, avrebbero voluto/potuto fare.
In extremis, però, anche questi due uomini, così apparentemente duri perché incarogniti dalle miserie della vita, scopriranno in se stessi la capacità di amare in modo assoluto, in un caso offrendo quel riposo che le convenzioni sociali continuavano a negare e nell'altro caso donando il proprio corpo come laica eucaristia foriera di salvezza.
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* "Off Topic" è il nome di questa nuova rubrica, che sarà dedicata a tutto ciò che è "fuori argomento" ("off topic", appunto...) rispetto al calcio. In questa rubrica, dunque, affronterò tutte le altre mie passioni: dal cinema alla musica, dai fumetti agli altri sport...

lunedì 16 marzo 2009

pensiero della settimana: la svolta

Di Diego Del Pozzo

La svolta dovrà attendere ancora. Il cambio tecnico sulla panchina del Napoli non ha portato, finora, nessuna novità di rilievo, com'era lecito attendersi, d'altra parte, visto il poco tempo avuto da Roberto Donadoni per familiarizzare con i giocatori a sua disposizione.
Il Napoli ha giocato né più né meno come nelle più recenti esibizioni: una buona parte del match lasciata all'avversario e qualche sprazzo generoso da parte di alcuni uomini; Hamsik fantasmatico come al solito; Pazienza semplicemente inadatto alla Serie A; Navarro sempre in ritardo su ogni pallone; centravanti inesistenti (Denis o Zalayeta, in questo par son). L'unica differenza è arrivata dal risultato: un pareggio (contro l'ultima in classifica), dopo l'allucinante filotto di sconfitte esterne consecutive che sembrava non voler terminare più. Altra novità incoraggiante è stata, poi, la ripresa morale di Lavezzi dopo il gol del pareggio.
Adesso, però, anche se col Milan sarà complicatissima, deve arrivare la vera svolta, che giustifichi un cambio tecnico in corsa.

domenica 15 marzo 2009

addirittura un punto fuori casa...

Di Diego Del Pozzo

Era dall'anno scorso che il Napoli non faceva un punto fuori casa: il dato è sconcertante, poiché siamo a metà marzo, ma purtroppo descrive una situazione reale.
Ebbene, oggi, in occasione dell'esordio di Roberto Donadoni sulla panchina degli azzurri, è spuntato fuori un pareggio sulla "ruota di Reggio Calabria", addirittura con la formazione ultima in classifica (l'ironia, un po' amara, è voluta...).
Niente di particolarmente rilevante o entusiastante, com'è facile capire, ma almeno la squadra stavolta non ha perso e, pur se soltanto nel secondo tempo, ha mostrato persino un minimo di capacità di reazione, riuscendo pure a rimontare il gol di svantaggio che aveva nei confronti dei calabresi.
Ripartire dal secondo tempo di Reggio Calabria, almeno per quel che il Napoli ha dato in termini di voglia e di cuore (non certamente di gioco, ancora assente...), può essere, dunque, la cosa migliore da fare: attaccarsi, insomma, a quel poco di buono che c'è in questo periodo e provare a renderlo più forte e a radicarlo in seno alla squadra.
Certo, il prossimo appuntamento sembra fatto apposta per far tremare i polsi: al San Paolo sarà di scena il Milan reduce dal trionfo esterno di Siena (1-5); proprio quei rossoneri che anche Donadoni, in piena era sacchiana, ha contribuito a rendere grandi, in Italia e nel mondo.
Questo incrocio, però, potrebbe non essere malvagio, in un momento come l'attuale: magari, attaccandosi all'orgoglio nei confronti del proprio glorioso passato di calciatore, il neo-allenatore del Napoli potrebbe, infatti, riuscire a trovare le parole giuste per pungolare a dovere i suoi uomini.
Ovviamente, i tifosi - ancora disorientati dai recenti avvenimenti - si augurano che quella contro il Milan possa essere la partita della svolta e di una ripartenza verso un finale di torneo meno inglorioso dei primi due mesi e mezzo del 2009.

sabato 14 marzo 2009

"gli inglesi vincono perché sono normali"


Sul blog di Roberto Gotta, l'autore riporta una intervista a Paolo Di Canio pubblicata ieri mattina dal quotidiano Il Giornale. Di Canio, che in Inghilterra ci ha giocato e anche bene, evidenzia molto lucidamente alcune delle differenze sostanziali tra calcio italiano e inglese, soprattutto per quanto concerne la mentalità dei suoi stessi protagonisti e dell'intero ambiente circostante. Ripropongo anch'io questa interessante intervista, riprendendola dal blog di Gotta. Buona lettura. (d.d.p.)
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Il calcio inglese in poche ma essenziali parole
Di Roberto Gotta
Questa intervista di Paolo Di Canio al Giornale di ieri, venerdì, è a dir poco esemplare. Ha capito tutto, tutto, tutto. E qualcuno noterà che c'è uno dei miei tormentoni, l'accenno al fatto che da noi in Italia David Beckham è stato dipinto dai media come una specie di ex giocatore interessato solo alla moda, con affannosi tentativi poi dei medesimi media di correggere la mira quando ci si è accorti che sarebbe bastato studiare un po' lui ed i suoi trascorsi, invece di scrivere quali pantaloni indossi o cosa faccia sua moglie, per avere il quadro esatto. Anche su Mourinho leggete cose qui abituali...
«Vincono perché sono normali, senza stress e cerchietti sui capelli». Di Claudio De Carli (Il Giornale - 13 marzo 2009)
Scusi signor Di Canio, lei che li ha visti da vicino, come sono? «Normali. Vincono proprio per questo». Ma cos'è questa normalità? «È David Beckham, che chi non lo conosce chissà cosa pensa di lui, ragazzo invece normalissimo, grande professionista. Noi ci siamo fatti un'idea sbagliata dei giocatori inglesi perché leggiamo che si picchiano nei pub, vanno in prigione, si ubriacano. E non ci rendiamo conto che questo succede proprio perché loro sono come tutti gli altri e se sbagliano pagano, non ci sono privilegi. Loro sono persone normali. Non so se avete fatto caso: non ci sono giocatori inglesi col cerchietto che ferma i capelli. Cosa vuol dire? Fate voi, io l'ho solo notato».
Il segreto è meno ore dal coiffeur? «Loro pensano a correre, a menare e per loro ogni partita è importante: giochi un sedicesimo di Fa Cup e lo stadio è pieno come se fosse la finale. Per loro non esiste l’ultima spiaggia perché ogni partita la giocano alla stessa maniera. Per noi arriva la partita della vita, per loro è abitudine, è normalità. E magari la vincono».
Merito di chi? «Tutto un altro giro, poca pressione, niente radio e televisioni private, moviola inesistente e i risultati si vedono, il Liverpool quarta forza della Premier ha schiantato il Real e ha ridotto il calcio spagnolo al pari di quello italiano. Sapete cosa hanno fatto in Inghilterra? Non hanno avuto vergogna di ammettere che erano rimasti indietro e hanno cercato di imparare dagli altri. Sono arrivati degli allenatori stranieri che hanno portato disciplina, con i primi successi sono arrivati anche calciatori in grado di fare il salto di qualità e tutto il movimento è cresciuto».
Ci stavamo convincendo che il segreto del calcio inglese fosse quello di non avere inglesi in squadra, neanche allenatori e neppure proprietari... «Però poi c'è gente come Peter Kenyon che dirige il Chelsea come un orologio, londinese doc, chiedete a Josè Mourinho. Del resto quello è un altro calcio, quanti di voi conoscono il presidente del Manchester United campione del mondo? Sapete come si chiama? Quante interviste avete letto di questo signore? Ve lo dico io: nessuna. I nostri invece sono sempre sui giornali».
Dicono che ci mettono i soldi... «E allora parlano di tattica? Ma se non sono mai agli allenamenti, se non vivono la giornata con la squadra, come fanno a dire certe cose? E la stampa è complice perché spesso dà loro ragione. Gli allenatori poi li raccomando, finisce che mettono in campo giocatori impresentabili solo perché hanno paura della piazza. Ce ne sono pochi che non hanno paura, Capello ebbe il coraggio di mettere fuori Totti e la Roma vinse un campionato, lo tolse, si prese i fischi, entrò Montella e fece gol contro l'Atalanta».
Siamo rovinati? «No, c'è Mourinho, il più grande di tutti. Si espone e sa che paga in prima persona, lui può dare una svolta a questo nostro calcio. Chi ha giocato a pallone sa cosa vuol dire avere un allenatore che parla come lui, ti dà una forza mentale incredibile. Infatti c'è tutta l'Italia contenta, è uscito dall'Europa Mourinho e non l'Inter e questa è un'altra vittoria sua. In verità da noi si vede un calcio proprio brutto, quindi non lamentiamoci. Salvo due partite, il derby di Milano e Inter-Roma, per il resto ho visto tantissimi errori e tanta incompetenza».
I nostri dirigenti ogni tanto ci ricordano che siamo campioni del mondo... «Echissenefrega... quattro anni fa, adesso se la rigiochiamo le prendiamo sempre, da quasi tutti. Ammettiamo le cose, di quella squadra chi è rimasto? Sono passati quattro anni, nel calcio sono un'enormità».

italiane, tutto nero?


Ho letto un altro interessante commento alla "settimana nera" delle squadre italiane, distrutte da quelle inglesi negli ottavi di finale di Champions League. Lo ha scritto Luigi Garlando sulla Gazzetta dello Sport di ieri. Lo ripropongo qui di seguito. (d.d.p.)
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Italiane, tutto nero?
Di Luigi Garlando (La Gazzetta dello Sport - 13 marzo 2009)
Tutto nero? No, a patto che non ci nascondiamo dietro pali e traverse e la smettiamo di sacramentare contro l'infame lotteria dei rigori. La sfortuna c'entra un'unghia nella lezione che ci ha inflitto la Champions League. Chelsea, Manchester e Arsenal sono passati con pieno merito. L'Europa ci ha detto che i nostri parametri calcistici vanno adeguati. Stadi di proprietà e ragioni economiche non spiegano tutto. Cristiano Ronaldo, Pallone d'Oro, guadagna quasi 5 milioni meno di Ibrahimovic, il Godot dei gol-qualificazione. Il monte ingaggi dell'Inter è il doppio di quello del Manchester. Non perdiamo perché siamo più poveri, ma perché siamo più scarsi.
Parametro uno: il gioco. Il secondo gol del Manchester è nato a destra (Giggs) ed è stato rifinito a sinistra (Rooney): quasi un'azione alla mano. Il Chelsea ha nascosto la palla alla Juve con un torello di gruppo. Wenger allena da anni il palleggio corto (e colto) dell'Arsenal. Le nostre squadre invece balbettano un'identità di gioco, un patrimonio tattico condiviso. La Roma è l'orchestra migliore. Non a caso lo scorso anno è stata l'ultima a uscire e quest'anno la più vicina ai quarti. L'apporto di Mourinho, in questo senso, è stato nullo: ha solo gestito un'eredità. L'isolamento di Ibra è una prova di colpa. Non sempre si può pescarlo con lanci lunghi e sperare nella giocata. Trovata un'opposizione fisica che in Italia manca, la super-Inter è stata normalizzata. La forza di un gioco dà coraggio più di un allenatore che ripete: «Io sono speciale».
Parametro due: la tecnica. Era il nostro vanto. Gli inglesi ci hanno superato: miglior palleggio, appoggi più precisi. La tecnica non è pura esibizione, ti fa sentire forte e rimpicciolisce l'avversario. Era il tesoro del Milan, soprattutto a centrocampo, dove si creano i destini. Gli imbarazzi di Vieira, Stankovic, Muntari, gente di impeto più che di tocco, spiega molto. E' qui che devono crescere Inter e Juve, dove il Barcellona si permette Xavi e Iniesta, nonostante tre punte. Moratti sbuffa: si ritrova alla porta un allenatore che ha sbagliato acquisti e chiede altro. Al solito. Nulla di speciale.
Parametro tre: il ritmo. Sul piano dell'intensità non c' è stata partita: perché sembriamo sempre più stanchi degli inglesi che giocano ogni tre giorni? Perché l'imprendibile Giggs, a 35 anni, volava come un Primavera? Condizione atletica, tecnica e gioco si coltivano col lavoro. Perciò, dopo essere usciti a testa alta, abbassiamola e mettiamoci a sgobbare, sfruttando i martedì-mercoledì liberi per organizzare la rivincita, senza disperdere energie alla moviola.
Facciamoci forza con le poche pepite d'oro salvate dal saccheggio inglese. Motta e Santon hanno lottato con la personalità dei grandi, il piccolo Giovinco ha spaventato il Chelsea. Ci sono bravi giovani sui quali modellare un futuro diverso. Lo spirito con cui Roma e Juve hanno reagito alla sconfitta dell' andata e con cui l'Inter ha risposto al gol di Vidic va tenuto a memoria per impiegarlo dal primo minuto della prossima Champions: agire, non reagire. Stavolta non siamo usciti con risse da saloon e occhi pesti, tipo Valencia. Il nostro pubblico è stato corretto, caloroso e grato. Non è una pepita da poco. Ripartiamo da qui. Giù la testa e lavoriamo.
Solo così potremo passare dal «Tutto nero» al «Tutto vero!», come esclamavamo nel 2006, quando ci sentivamo i più bravi del mondo.

venerdì 13 marzo 2009

il subbuteo arriva in edicola!!!

Di Diego Del Pozzo

Che bella sorpresa! E' ciò che ho pensato stamattina quando, appena entrato nella mia edicola di fiducia, ho visto in bella mostra i cartoni verdi con la prima uscita di una nuova, imperdibile iniziativa editoriale, che farà scendere qualche lacrimone nostalgico a chi è stato bambino a cavallo tra anni Settanta e Ottanta.
La Fabbri, infatti, in collaborazione con i settimanali mondadoriani "Tv Sorrisi e Canzoni" e "Panorama", ha avviato una bellissima collana dedicata al... Subbuteo. Sì, proprio il calcio da tavolo col quale tanti di noi sono cresciuti e attraverso il quale hanno imparato ad amare ancora di più anche il calcio vero.
Quella della Fabbri, dal titolo "Subbuteo - La leggenda", è una collana che si preannuncia davvero imperdibile per i veri appassionati (e non soltanto): quaranta uscite settimanali al prezzo di 9.99 euro cadauna, col primo numero venduto all'eccezionale cifra di 4.99. In ciascuna uscita c'è, ovviamente, una squadra, perfettamente riprodotta e assolutamente fedele alle originali che si vendevano una volta, sia per colorazione che per materiali, accompagnata da un fascicoletto e, a partire dalla prossima settimana, dagli altri accessori necessari per giocare: regolamento, porte, bandierine, palloni, con la possibilità di raccogliere trenta punti - uno in ciascuna delle prime trenta uscite - che danno la possibilità di ricevere gratuitamente un bellissimo campo da gioco professionale (quello, per intenderci, gommato e srotolabile: wow!), accessorio che potrà essere anche acquistato in edicola a 24.99 euro (prezzo incredibile, se si tiene conto che nei negozi lo stesso panno da gioco costa tra i 55 e i 70 euro, a seconda dell'onestà del gestore).
Un'altra intelligente caratteristica dell'iniziativa, a giustificare anche il sottotitolo "La leggenda", è quella di essere dedicata, almeno nelle sue prime uscite, alle squadre nazionali che hanno fatto la storia del calcio mondiale: dal Brasile 1970 del primo numero all'Italia 2006 della settimana prossima, da Germania e Olanda 1974 all'Uruguay 1950, dalle due nazionali italiane bicampioni mondiali nel 1934 e 1938 a quella trionfatrice a Spagna 1982 e a quella campione europea nel 1968, fino all'Argentina 1986 di Maradona e - chicca per veri intenditori - all'Unione Sovietica 1966. Ciascuna squadra sarà sempre accompagnata da un fascicoletto che ne narra le gesta reali e ne presenta schemi e formazione, oltre che arricchita da - udite, udite! - due serie di numeri adesivi originali (una bianca e una nera) da poter attaccare sulle schiene dei giocatori in miniatura.
Pur non essendo ancora stato annunciato il seguito, poi, è plausibile che nella seconda parte delle quaranta uscite ci sarà spazio, dopo le nazionali, anche per le squadre di club "leggendarie".
La mia speranza è che una iniziativa tanto intelligente e così ben curata possa incontrare anche il favore di nuove generazioni di subbuteisti, conquistandoli così alla causa del gioco di simulazione sportiva più bello e appassionante di tutti i tempi.
In un periodo storico oscuro come quello che stiamo vivendo, questa sì che può essere definita un'autentica operazione di "divulgazione culturale"!

capello: "inglesi meglio di noi..."


Domani, la trasmissione sportiva "Dribbling" (Raidue, ore 13.30) trasmetterà un'intervista esclusiva all'attuale commissario tecnico della nazionale inglese, l'italiano Fabio Capello. Si parlerà, ovviamente, del disastro italiano in Champions League, nel confronto diretto con i club britannici. Ecco, qui di seguito, alcune anticipazioni tratte dal sito della Gazzetta dello Sport. (d.d.p.)
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Capello: "Inglesi vincenti grazie a fisico e testa"
Dopo la pesante eliminazione di Inter, Juventus e Roma in Champions League, il c.t. dell'Inghilterrra, Fabio Capello, commenta così il flop delle squadre italiane in esclusiva ai microfoni di RaiSport. "Direi che c'è una grande differenza di mentalità, di abitudine a un gioco più fisico e agonistico. Le nostre squadre sotto questo punto di vista sono più carenti rispetto alle inglesi - afferma Capello - e quando il Milan battè il Manchester fu soprattutto perché aveva giocatori di qualità e forza. Un aspetto che dobbiamo migliorare se vogliamo tornare a grandi livelli in campo europeo".
TATTICISMI - Capello attacca anche il modo di affrontare queste sfide a livello tattico: "Noi giochiamo con 9 difensori e un attaccante lasciato li a cercare di buttarla dentro. E poi c'è un altro problema. Nel campionato italiano - ha aggiunto l'ex tecnico della Juventus - ci sono tantissime interruzioni e molto spesso vengono favoriti i furbetti che si buttano per terra e non permettono al gioco di essere scorrevole. Gli arbitri, in questo senso, dovrebbero lasciare giocare di più e questa nostra abitudine a giocare un calcio 'bloccato' in continuazione da giocatori e arbitri è un altro limite rispetto al calcio britannico che ha un ritmo molto più fluido e rapido".
CRITICHE - Sulle critiche dei quotidiani inglesi che parlano di un calcio italiano alla sbando, dove gli stadi sono pessimi e poco sicuri, Capello ha le idee molto chiare: "Gli stadi si sa, sono molto obsoleti e poco confortevoli. Si sperava nella candidatura agli Europei per cercare di rinnovarli, nella speranza di non commettere gli errori in occasione dei Mondiali in Italia. Le possibilità per crescere ci sono - ha precisato il ct - ma bisogna veramente avere voglia di farlo. Si diceva che striscioni e petardi non sarebbero mai più dovuti entrare negli stadi e invece...". L'intervista a Fabio Capello, realizzata da Carlo Paris, verrà trasmessa interamente nel corso di "Dribbling" in onda domani alle 13.30 su Raidue.

giovedì 12 marzo 2009

england vs. italy: l'analisi di stefano olivari


Ovviamente gli esiti nefasti - per le italiane - della serata di Champions League hanno tenuto botta, oggi, anche su Internet, sui blog e un po' su tutti i siti specializzati. Ecco l'intelligente pezzo di Stefano Olivari, pubblicato stamattina sul suo blog Indiscreto. (d.d.p.)
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Aspettando il prossimo colpo
Di Stefano Olivari
Tutto merito degli stadi di proprietà, del mitico merchandising, dei fenomeni che l'Italia non si può più permettere? Delle tre squadre inglesi che hanno buttato fuori i club italiani dalla Champions solo il Chelsea risponde in parte all'idea superficiale che viene propagandata dai nostri dirigenti e ripresa acriticamente dai loro stenografi: tanti soldi, tanti campioni presi all'apice del loro valore di mercato, alla fine più o meno si arriva spesso in fondo alle competizioni. Una specie di morattismo estremo, con una dimensione però mondiale.
Dimenticando che la quasi totalità dei giocatori degli altri tre club di Premier League approdati ai quarti sono arrivati da 'normali': giocatori di livello internazionale ma con il curriculum, quando sono stati presi, di Grygera, di Cambiasso, di Menez. Evra, Arbeloa, Sagna, Bosingwa, Vidic, Skrtel, Eduardo, Alex, arrivati rispettivamente da Monaco, Porto, Auxerre, Depor, Spartak Mosca, Zenit San Pietroburgo, Dinamo Zagabria, Santos (via PSV). Nessuno di questi contattato in mezzo alla strada, mentre aspettava l'autobus: tutti giocatori di livello medio o medio-alto, quando sono stati presi, ma alla portata all'epoca anche del Siena o del Lecce. E non apriamo nemmeno il discorso su chi è cresciuto in casa, causa nascita, o è arrivato da lontano ma da minorenne: Clichy, Bendtner, Scholes, Giggs, Gerrard, Carragher, eccetera. Non è un caso la citazione solo di giocatori scesi in campo negli ultimi due giorni...
L'eccezione è come abbiamo detto il Chelsea, che però da qualche anno ha cambiato politica: fra poco l'esplosione dei vari Taiwo, Hutchinson, Sawyer, Woods (solo per citare quelli noti agli scout italiani) e dei ragazzi in prestito (il più famoso è Ben Sahar) farà vedere anche il club di Stamford Bridge in un'altra prospettiva. Poi ci sono i supersoldi spesi per Rooney, Cristiano Ronaldo (relativamente: 18 milioni di euro del 2003, cioé mezzo Quaresma o due anni del contratto di Flamini), Fernando Torres o per giocatori normali alla Carrick, ma quello che bisogna ricordare è che la superiorità dei top club inglesi (in caso di traversa-gol di Ibrahimovic e di rigore segnato da Vucinic ovviamente gli editoriali sarebbero stati invertiti: "Una lezione ai ricchi", "La vittoria della scuola italiana", "I campioni del mondo siamo noi" e cose del genere) risulta più evidente ragionando sul lungo periodo. Dove investimenti enormi, mirati in parte sul presente ed in parte sul futuro della prima squadra, si scontrano con altri investimenti enormi però quasi tutti basati sul presente: questo al di là delle note eccezioni (Santon, Balotelli, Giovinco, Marchisio) e del dibattito sulle singole scelte, dove valutazioni tecniche si mescolano a convenienza personale quando non direttamente a furti.
Non è escluso che nei prossimi anni un'italiana vinca la Champions, con qualche episodio che giri bene, e che il livello medio delle prime squadre si avvicini grazie allo sceicco (anche italiano) di turno, ma la differenza di prospettiva rimarrà. Crescita graduale più investimento per il fenomeno contro colpi di mercato: possono vincere anche i colpi di mercato, è successo tante volte, ma quando si perde (cioè quasi sempre, essendo il vincitore uno) rimane poco o niente.
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Sempre a proposito dell'eliminazione italiana che ha fatto discutere maggiormente, cioè quella dell'Inter di Mourinho, ho trovato illuminante, poi, un paragrafetto contenuto all'interno di un altro articolo dello stesso Olivari, che l'ha pubblicato nel corso della giornata odierna ancora sul suo Indiscreto. Eccolo. Direi che c'è di che riflettere, per i fans del vate portoghese. (d.d.p.)
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"[...] Prima Champions League di Roberto Mancini da allenatore dell'Inter: quarti di finale, eliminato dai finalisti (vicecampioni, secondo il poeta) del Milan. Seconda Champions da allenatore dell'Inter: quarti di finale, eliminato dal Villarreal. Avrebbe potuto fare meglio, ma anche peggio.
In ogni caso nelle sue quattro stagioni l'Inter ha sempre giocato come una squadra, al di là dei risultati che dipendono anche dalla fortuna, con gente che accompagnava l'azione invece di dare o pretendere il pallone sui piedi e vaffanculare l'autore di ogni errore.
Con dedica alla corrente di pensiero becera che dice che nel calcio contano solo i trofei, quando non direttamente la 'mentalità internazionale'. [...]".

"zero tituli"

Di Diego Del Pozzo

"Zero tituli", disse il profeta. Ebbene, un 3-0 nettissimo ha marchiato a fuoco il triplice confronto tra il calcio italiano e quello inglese negli ottavi di finale di Champions League: 3-0, beninteso, a favore delle squadre d'Oltremanica, tutte qualificate ai quarti (assieme a Barcellona, Villareal, Bayern Monaco e Porto).
A Manchester United (meritatamente vittorioso contro l'ambiziosa Inter di Josè Mourinho), Arsenal (che passa ai rigori contro una Roma generosissima e sfortunatissima) e Chelsea (vincente contro la Juventus) si deve aggiungere, infatti, anche il poderoso Liverpool di Rafa Benitez, che ha letteralmente distrutto il Real Madrid imponendosi sia al Bernabeu (0-1) che ad Anfield (addirittura 4-0!!!).
Il calcio inglese di vertice, dunque, si conferma anche quest'anno padrone d'Europa, respingendo in particolare l'assalto che avrebbero voluto portargli le rappresentanti italiane, ringalluzzite dalla pubblicità che è arrivata sul nostro campionato dopo l'avvento del portoghese Mourinho alla guida dell'Inter, certamente la più attrezzata tra le nostre squadre per provare ad arrivare fino in fondo.
E, d'altra parte, l'unico motivo per il quale il presidente Moratti aveva deciso di sostituire, bruscamente, il tecnico che gli aveva portato gli ultimi tre scudetti (cioè Roberto Mancini) con questo affascinante e arrogante lusitano era proprio il tentativo di dare l'assalto al trofeo che rischiava di diventare, per il figlio del presidente della "Grande Inter" degli anni Sessanta, un'autentica ossessione.
Ebbene, la conseguenza automatica di questa scelta morattiana era la seguente: dato che in Italia avremmo vinto comunque, il tecnico portoghese doveva guadagnare il suo faraonico stipendio vincendo partite come quella di ieri sera, facendo fare, cioè, alla sua squadra il salto di qualità che le avrebbe permesso di entrare definitivamente nel ristretto novero dei club europei di vertice.
A uscire con le ossa rotte da questo turno di Champions League, dunque, è proprio e innanzitutto Josè Mourinho, che ha replicato esattamente lo stesso risultato delle ultime Inter manciniane - fuori agli ottavi - facendo addirittura peggio della prima versione guidata dal tecnico jesino: un fallimento su tutta la linea, che nemmeno la buona e coraggiosa partita disputata all'Old Trafford può ridimensionare. Grida ancora vendetta, infatti, la partita d'andata a San Siro, che lo United avrebbe potuto archiviare facilmente dopo una mezz'oretta; e, soprattutto, lascia enormi perplessità il cammino dei nerazzurri nel girone di qualificazione, il più facile del lotto (Werder Brema, Panathinaikos e addirittura Anorthosis Famagosta), chiuso con un allucinante secondo posto conquistato soltanto grazie alla scempiaggine del Werder: è proprio lì, infatti, che secondo me nasce il fallimento nerazzurro, nonostante le parole di Mourinho, che ancora adesso ribadisce come non avrebbe fatto nessuna differenza se la sua squadra fosse stata sorteggiata contro un altro avversario. Invece, la differenza ci sarebbe stata. Eccome, se ci sarebbe stata. L'Inter di ieri sera, infatti, esce a testa alta dalla Champions eliminata da una squadra - una delle poche - più forte di lei. Credo proprio che l'incrocio con un'altra avversaria - fosse stato anche il Chelsea di Hiddink - avrebbe fatto tutta la differenza di questo mondo.
Adesso Mourinho con la sua squadra si rituffa nel giardino domestico, riprendendo la sua guerra privata contro tutto e tutti. Già ieri sera, dopo la sconfitta, aveva sottolineato che "l'Italia intera sarà contenta della nostra sconfitta". In realtà, più che badare a ciò che pensa "l'Italia intera", il tecnico portoghese farebbe bene a concentrarsi su una verità inconfutabile: anche quest'anno, per l'ennesima volta, una Internazionale super-accessoriata resterà con "zero tituli" in campo internazionale.
La speranza è che la "lezione inglese" possa servire a Mourinho almeno per abbassare un po' i toni qui in Italia, per rendere l'atmosfera del nostro campionato nuovamente più respirabile.

l'inghilterra "sfotte" mourinho


Ecco una selezione dei titoli dei principali quotidiani inglesi, dopo la vittoria del Manchester United contro l'Inter di Mourinho. (d.d.p.)
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L'Inghilterra sfotte Mourinho: "Non sei più Special One"
Di Simona Marchetti (Gazzetta.it - 12 marzo 2009)
Nessuna corsa trionfante sulla riga di porta, nessuna esultanza scomposta. Quella è stata roba di cinque anni fa. Oggi la realtà è che Josè Mourinho non è più "special any more", come gli ha cantato per tutta la partita l'Old Trafford, mentre lo United batteva 2 a 0 l'Inter, portando a termine "la partita perfetta" che sanciva il passaggio ai quarti di Champions League. E proprio quel coro si è fatto titolo sul "Daily Mirror", diventando "You're not special any Mour" nell'inserto sportivo, con tanto di editoriale nel quale si sottolinea come il portoghese sia "all style but no substance" (in pratica, tutto fumo e niente arrosto), mentre la prima pagina si apre con la doppia fotina di Cristiano Ronaldo e Mourinho e la scritta "Who’s special now?".
Domanda che trova risposta sul "Sun" che celebra "Special Ron" che manda "ko Jose", con gigantografia del portoghese in ginocchio sotto la curva per festeggiare il suo gol, anche se il migliore in campo è stato Ryan Giggs, 9 in pagella e la conferma di essere un pezzo sì vintage ma garantito. E "all'usato sicuro" gallese rende omaggio anche il "Times", considerandolo una spanna sopra a tutti e parlando, al tempo stesso, di "end of an aura", quella, manco a dirlo, di Josè Mourinho, mentre per il "Guardian" Giggs e Scholes vincono "la battaglia della nostalgia" contro "il fantasma di Vieira", lasciando il tecnico dell'Inter "full of regret" per quello che poteva essere e non è stato.
Insomma, "No way, Jose", come titola a tutta pagina il "Daily Mail", che ironizza sulla polemica del pallone (Mourinho non voleva che si giocasse con quello rosso, ma con quello solito della Champions) che segue quella sull'arbitraggio dell'andata, salvo poi riportare le parole di Ferguson che ha parlato di "United leggermente fortunato" visti i due legni colpiti dall'Inter. Un Ferguson che sul "Daily Express" si prende la sua rivincita ("Fergie's revenge") grazie a un "perfect start" che manda a casa l'Inter. Non a caso, il solo momento in cui Mourinho è davvero riuscito a "toccare" il Manchester è stato quando il tecnico ha abbracciato il collega Ferguson a fine partita, come velenosamente sottolinea il "Daily Telegraph" nell'attacco del pezzo.
Un concetto ripreso anche da "The Independent", che rende omaggio ai campioni dello United, capaci di avere la meglio sul tecnico dell'Inter, e dal "Daily Star", che esalta la prova dei Reds, superiori anche alla jettatura Mourinho (Reds slay Jose Jinx!) per merito di uno "Special Ron" che, dispensando "tocchi di classe", stende il suo connazionale, mentre dagli spalti si leva quell'ironico ma al tempo liberatorio "bye bye Mourinho" che saluta la sconfitta di quello che, fino a ieri sera, era l'allenatore più temuto all'Old Trafford.

ancora beccantini: le parole amare di mou


Le parole amare del tecnico portoghese in un altro articolo di Beccantini. (d.d.p.)
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Sindrome di Mourinho: "Ora tutta l'Italia sarà contenta"
Di Roberto Beccantini (La Stampa - 12 marzo 2009)
La notte speciale di Josè Mourinho finisce quando l’Old Trafford gli rovescia addosso l’ultimo dei cori, «you are no Special anymore». Gli oltre settantamila Diavoli rossi se lo sono tolti di torno una volta per tutte, ora i fantasmi possono tornare nei castelli. Lui, il portoghese, non l’ha presa bene, prima che cominciasse la partita ha messo il naso sul prato e dato un cinque a chi stava dalle parti del tunnel. Ora, però, è tutto finito. La sua notte e anche il viaggio dell’Inter in Europa. Come Mancini l’anno scorso. Peggio delle prime Inter del suo predecessore, fuori ai quarti. Si vede e si sente che gli rode: «Ora che l’Inter è uscita tutta l’Italia sarà contenta. Ma nessuno deve toccare la mia squadra, prima di farlo devono ammazzare me. Non siamo ancora pronti per vincere la Champions, ma per lo scudetto sì. Ed è quello che faremo».
Comincia in attacco l’arringa del portoghese. Che poi si scioglie: «Giocare all’Old Trafford non è facile, non è semplice avere occasioni e noi le abbiamo avute. Serve fortuna purtroppo e noi invece non ne abbiamo proprio avuta, perché con l’1-1 per Ibra o Stankovic nel primo tempo sarebbe stata dura per loro». La pugnalata di Vidic. Tutto è girato sul quel colpo di testa. Quella è la pistola fumante della partita. Niente di sorprendente, però. Mourinho sapeva che da quella testa sarebbe potuto grandinare. «Avevamo visto 50 dvd del Manchester, studiato tutte le situazioni di palla inattiva. E in molte di queste era proprio Vidic a fare gol». Il perché allora lo United abbia ugualmene segnato lo spiega proprio Mourinho. E poco a che fare con la sbadataggine di Vieira che il serbo non l’ha proprio visto: «C’è una sola persona -spiega Mourinho - che poteva marcare Vidic ed era Ibrahimovic, ma in quel momento era su Ronaldo. Perché c’è una sola persona capace di fermare Cristiano sui colpi di testa e quella è sempre Ibra».
Un rompicapo che ha fatto girare la testa all’Inter. Mourinho si liscia la faccia, ora sa che i bar sport diventeranno tribunali. L’Inter di Old Trafford è la migliore di questa corsa europea e venire eliminati è il veleno, assicura Mourinho, da trangugiare per diventare grandi. Snocciola il rosario delle squadre che prima di alzare la coppa o di arrivare a sfiorarla in finale hanno perso per strada il biglietto. Ci mette il Barça e il Chelsea, vorrebbe aggiungere l’Inter. «Il Manchester ha vinto perché ha giocatori abituati alla Champions. Si è dimostrato più forte di noi per velocità di base, struttura fisica e, appunto, perfezione sui calci piazzati. In attacco e in difesa». Ma, e qui sta il sereno che Mourinho vede all’orizzonte, l’Inter, la sua Inter, può soltanto crescere: «L’anno prossimo Balotelli e Santon avranno un anno in più e sapranno come gestire certe situazioni. Altri giocatori avranno accumulato altra esperienza. Per questo dico che ci serve tempo. La Champions si vince o spendendo una barca di milioni o crescendo in questo modo». L’impressione è che Moratti abbia scelto finora la terza via: spendere e crescere. Dar retta in toto a Mourinho, cosa che il presidente farà, sarebbe invertire la rotta. Per questo lo Special One mette subito le cose in chiaro. «Che domande mi farò da domani? Una sicuramente al presidente: quando ci possiamo vedere per parlare e decidere insieme che cosa manca a questa squadra. A lui farò le mie riflessioni, con lui tirerò le mie conclusioni».
Se ne va invece abbacchiato Ibrahimovic: «Ci tenevo tanto a vincere la Coppa, era il mio primo obiettivo». A lui, ieri sera, pareva cupo pure anche l’orizzonte.

beccantini sull'eliminazione dell'inter


Il match di ieri sera, nell'articolo di Roberto Beccantini pubblicato sul quotidiano La Stampa in edicola oggi. (d.d.p.)
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Mourinho, fortuna che era speciale
Di Roberto Beccantini (La Stampa - 12 marzo 2009)
Nulla da dire, se non che il 2-0 avrebbe rispecchiato meglio la superiorità che il Manchester United manifestò a San Siro. Qui, al teatro dei sogni, e degli incubi, l'Inter non si è fatta accompagnare alla porta dalla maestra, ma ci è andata con le sue gambe e il suo orgoglio, dopo aver incassato, al 4' del primo tempo e al 4' del secondo, due gol di testa, non proprio uguali, non proprio lontani. La traversa di Ibrahimovic e il palo di Adriano certificano come e quanto abbia provato a rovesciare la notte.
Eliminata negli ottavi, come la stagione scorsa. Dal Liverpool al Manchester United, da Mancini a Mourinho. Passa la squadra più tecnica, più votata al gioco, costruita con l'abilità certosina e raffinata degli orafi. Per l'Inter, punto e a capo: tiranna in patria, damigella all'estero. E a certi costi, poi. Quando si dice il destino. A San Siro, il Manchester United pennellò calcio sublime per mezz'ora senza portare a casa nemmeno lo straccio di un golletto. A Old Trafford, gli bastano quattro minuti e un calcio d'angolo, il secondo. Parabola di Giggs e stacco del rientrante Vidic: nel traffico, lo perde proprio Vieira, non nuovo a questo genere di «smarrimenti» (ricordate la finale mondiale di Berlino? Ebbene sì, Materazzi era «suo»).
Mourinho ha scelto Balotelli, largo a sinistra: ma più che un 4-4-2 è un 4-5-1 d'attesa, anche se il gol-lampo consiglierebbe una gestione meno frenata. Pure i rossi, a essere sinceri, non sembrano disinvolti come all'andata: due settimane fa restava un appello, questo; oggi, non più, e la tensione si tocca, si palpa. Ferguson ha allestito un 4-3-2-1 ad assetto variabile, con Rooney e Berbatov ad alternarsi in cima all'albero. Ibrahimovic reclama munizioni, piano piano l'Inter guadagna metri: un po' perché Giggs e Scholes si affacciano di rado alle finestre e un po' perché Maicon e Stankovic cominciano a ingranare. E' il 28', quando Ibra incorna sulla traversa una punizione di Maicon. Julio Cesar tiene l'Inter in partita al 37', su O'Shea, smarcato da Rooney, a sua volta imbeccato da un superbo Giggs. Stufi di porgere l'altra guancia, i campioni replicano per le rime: Ibra-Stankovic, alto; Balotelli-Ibra, a fil di palo. Cristiano Ronaldo e Giggs si scambiano destra e sinistra, Rooney si fa un mazzo tanto, Santon non abbassa mai gli occhi. Al Meazza dominò una squadra sola, il Manchester, qui c'è molto più equilibrio.
Alla ripresa, Mourinho rimescola le carte. Muntari al posto di Vieira, deludente, poi Stankovic rifinitore, e Balotelli punta-punta, alla destra del «padre», Ibrahimovic, atteso al varco da «bronzi» della cilindrata di Ferdinand e Vidic. Il minuto fatale è sempre il 4': Rooney, enorme, fa l'ala e scodella in area; Cristiano Ronaldo, letale, fa il centravanti e schiaccia di testa, con Berbatov in fuorigioco e zero moviole a masturbarsi e domandarsi se fosse attivo o no. Appartiene, il raddoppio, all'eclettismo della scuola Ferguson, brevettata da tempo e nel tempo. Samuel e Cordoba ci restano di sasso. Le mani in tasca di Mourinho sono tutto un programma. O'Shea ed Evra presidiano i valichi esterni, là dove Maicon e Santon non mollano l'osso. Adriano avvicenda uno Stankovic avaro di lampi e di tuoni e, stimolato da Cambiasso, coglie subito un palo che avrebbe potuto aprire almeno una fessura nel muro rosso di Manchester. Lo United affida a Rooney, Berbatov e ancora Rooney il compito di tenere alto l'onore del casato. A proposito: dove sarebbe l'Inter, senza i guanti e gli zompi di Julio Cesar? Da quattro stagioni, la squadra campione usciva regolarmente negli ottavi. Il Manchester United si rivolta alla dittatura dei numeri. La staffetta Scholes-Anderson aiuta a prendere fiato, mentre l'uscita di Balotelli, uno dei più reattivi, e l'ingresso di Figo insegnano che anche Mourinho, per crederci, ha bisogno di qualcosa di molto forte, di quasi irreale. Certo, è stata la sua miglior Inter extra campionato. Cambiasso e capitan Zanetti la scortano verso una dignitosa resa.
C'era una volta Mancini. Arrivò Mourinho. Pissi-pissi dei cortigiani: vedrete che roba, soprattutto in Europa. Abbiamo visto.

mercoledì 11 marzo 2009

grazie edy, benvenuto roberto!

Di Diego Del Pozzo

Nel giro di poche ore cambia tutto nella stagione del Napoli: via Reja, il tecnico che in cinque anni aveva portato la squadra dall'inferno della Serie C al paradiso della Coppa Uefa; dentro Roberto Donadoni, discusso ex commissario tecnico della nazionale italiana, persona serissima ma che già durante il suo incarico di ct ha pagato la scarsa esperienza e, forse, una incapacità (congenita?) nel sopportare le tensioni.
A Edy Reja il Napoli e i suoi tifosi devono molto, moltissimo. Per cinque lunghi anni, infatti, è riuscito a fare buon viso di fronte alle continue pressioni di una piazza "difficile" come quella partenopea, restituendo una dignità alla sua squadra e riportandola là dove le compete, cioè tra le grandi del calcio italiano. In queste ore culminate con l'esonero, Reja ha pagato anche colpe non sue: per esempio, quelle del direttore Pier Paolo Marino, autore di una campagna acquisti deficitaria e di scelte assolutamente discutibili (non ultima, quella di essersi fatto imporre il ritiro dagli ultras, dopo la sconfitta casalinga col Genoa). Certo, il tecnico friulano paga anche per qualche suo errore: una scarsa capacità di leggere le partite in corso d'opera o l'accantonamento prematuro e ostinato di calciatori come Dalla Bona, che in un momento come quello attuale - col centrocampo letteralmente a pezzi - avrebbero potuto essere utili alla causa.
Da parte mia, comunque, pur non essendo mai stato un convinto estimatore di Reja (che nel tempo avevo, però, imparato ad apprezzare e ammirare, come persona e come professionista), mi sento di ringraziare di cuore questo uomo generoso e combattivo che s'è lasciato conquistare da Napoli e dalla sua gente e l'ha ripagata col duro lavoro quotidiano e con una serietà che nessuno potrà mai mettere in discussione. Grazie Edy, farai parte per sempre della storia del Napoli!
Come tutto l'ultimo periodo, anche la giornata di ieri è stata gestita malissimo dalla società, che ha umiliato ancora una volta il mister goriziano, facendogli dirigere l'allenamento pomeridiano e facendogli rassicurare la squadra, mentre a Roma proseguivano serrate le trattative tra De Laurentiis e Donadoni. In serata, con la squadra ancora più confusa di prima, è arrivata la notizia dell'esonero, che mette la parola "fine" a un periodo glorioso e indimenticabile, si spera per aprirne uno ancora migliore.
Ovviamente, al nuovo allenatore Roberto Donadoni - la cui presentazione è in programma tra pochi minuti a Castelvolturno - va il mio più sincero "benvenuto" e un convinto "in bocca al lupo". In un contesto come quello di Napoli e del Napoli ne avrà senz'altro bisogno...