lunedì 30 maggio 2011

barcellona stellare: un ciclo che può durare a lungo

Di Stefano Cantalupi
(Gazzetta.it - 29 maggio 2011)

"Dobbiamo giocare meglio di quanto abbiamo fatto due anni fa a Roma o stavolta perderemo", aveva detto Pep Guardiola alla vigilia della finale di Champions League a Wembley. Bene, l'hanno fatto. E adesso questi chi li ferma? Il Barcellona ha strapazzato un pur dignitoso Manchester United molto più di quanto non fosse accaduto all'Olimpico: ancora due gol di scarto, da 2-0 a 3-1, ma con ben altra dimostrazione di forza (nella foto, le due squadre schierate prima del fischio d'inizio). Quello romano era un Barça che aveva ribaltato un inizio difficile con un gol di Eto'o e il conseguente super-possesso palla, quello di ieri è una versione addirittura più evoluta, un Barça 2.0 capace di premere a tal punto da poter fronteggiare ogni situazione di punteggio. Tanto da far dire a Ferguson, uno che due o tre partite in carriera le ha viste, "questo è l'avversario più forte che abbia mai affrontato". Ora la domanda è: chi li ferma questi marziani? Chi li trattiene dal raggiungere subito il Liverpool a quota cinque Champions League/Coppe dei Campioni nell'albo d'oro? E dall'andare a caccia di Milan (sette) e Real Madrid (nove)?
Proviamo a immaginare i fattori negativi che potrebbero incidere sul rendimento di questa squadra nei prossimi anni. Punto primo: un possibile addio di Guardiola, il direttore di questa orchestra miracolosa, che non ha fatto mistero di non credere ai lunghissimi cicli di un tecnico sulla stessa panchina (con buona pace di sir Alex). Secondo: Xavi, il fulcro del gioco catalano, è ormai "over 30" e non è detto che l'eventuale ritorno in patria di Fabregas, in futuro, lo sostituisca al meglio. Terzo: varie ed eventuali, come mega-cessioni sul mercato (ma un club così importante può fare a meno di privarsi dei suoi gioielli) o implosione dello spogliatoio, situazione al momento impronosticabile. Per il resto, è dura immaginare quali ostacoli possa incontrare questo Barcellona nel cammino verso l'etichetta di "miglior squadra di sempre".
In tre anni di gestione Guardiola, il Barça ha perso la miseria di 13 volte in 180 partite: le uniche sconfitte "sanguinose" di questa esigua lista sono quelle col Rubin Kazan e soprattutto con l'Inter nella scorsa Champions League, le due in Copa del Rey (Siviglia nell'edizione 2009-10, Real Madrid l'anno seguente) e quella con l'Arsenal in questa Champions, poi ribaltata nel ritorno degli ottavi. Le altre riguardano partite di campionato disputate a torneo appena iniziato o già deciso. E ancora nessuno ha davvero capito come si batte una simile macchina da guerra, senza ricorrere a barricate o almeno al sistematico tentativo di distruggere il gioco blaugrana. Mourinho c'è riuscito con l'Inter in una di quelle stagioni in cui il destino sembra portarti per mano verso il trionfo, ma la verità è che se appena qualcuno prova a metter fuori il naso dal bunker e a giocarsela a viso aperto… finisce come il Manchester United a Wembley. O come il Real Madrid della manita al Camp Nou.
Siccome questo Barcellona nasce da una filosofia, prima ancora che da un progetto, obbligare l'avversario a concentrarsi solo sulla fase difensiva e a sperare in colpi estemporanei è già una prima vittoria culé. E un altro successo è vedere i maggiori rivali impreparati a un confronto di questo livello: se si scoprono è un disastro, se si chiudono è umiliante ed è quasi peggio. Non basta nemmeno aprire l'ombrello e attendere che passi la tempesta, perché il Barça è mediamente un gruppo giovane e continua a immettere talento fresco in prima squadra, ragazzi destinati a diventare i campioni di domani: di Messi, Xavi e Iniesta ne nascono pochi, ma il valore tecnico dei prodotti della cantera della Masia lascia pensare che questo ciclo blaugrana non si esaurirà tanto in fretta, come è capitato ad altre squadre mitiche del passato. La presenza di un progetto a lungo termine lo farà durare a lungo, obbligando in pratica chi insegue a fare altrettanto, a migliorare il proprio calcio, a fare programmi a lunga scadenza, ad alzare il livello per rimettersi al passo. Ognuno col suo stile, ovviamente. Aver costretto gli avversari a crescere per tornare competitivi è forse la cosa più importante che il Barcellona di Guardiola lascerà in eredità alla storia di questo sport. Perché implica un salto in avanti generale, con benefici per tutti. Ma siamo lontani: il presente è una distanza siderale. E per fortuna è anche Abidal che alza la coppa a Wembley: un inno alla vita infinitamente più importante di ogni teorema calcistico di ieri, oggi e domani.

champions: il barcellona di guardiola entra nella storia

Di Stefano Cantalupi
(Gazzetta.it - 28 maggio 2011)

Vince il Barcellona perché continua a essere la squadra più forte che esista. Vince il Barcellona perché manda in gol tutto il suo tridente e costruisce almeno un'altra decina di palle-gol. Vince il Barcellona perché contro questa squadra, se te la giochi a viso aperto, torni negli spogliatoi con dignità, ma immancabilmente sconfitto. A Wembley, i marziani di Guardiola fanno loro anche la rivincita della finale del 2009: il Manchester United cede 3-1 e resta fermo a quota tre Champions League/Coppe dei Campioni vinte, mentre i catalani salgono a quattro, agganciando Ajax e Bayern nell'albo d'oro. Di questo passo, Real Madrid, Milan e Liverpool (i club più titolati) se li ritroveranno col fiato sul collo molto presto.
Contrariamente alle previsioni della vigilia, nel Barça che si dispone in campo al fischio d'inizio c'è un'assenza pesante: quella di capitan Puyol (la fascia va a Xavi), che siede in panchina e lascia il posto da terzino sinistro ad Abidal, con Mascherano confermato centrale accanto a Piqué. In attacco, il tridente vede Messi partire centrale e Villa a destra, mentre Pedro è naturalmente sul lato opposto. Grande curiosità c'era sull'altro fronte, quello dei campioni d'Inghilterra: centrocampo infoltito per lo United o coppia di punte Rooney-Hernandez? Ferguson dà subito un segnale chiaro: niente barricate, ad aiutare i centrali di centrocampo Carrick e Giggs ci pensa un Rooney "tuttofare", che parte in posizione leggermente più arretrata rispetto a Chicharito.
L'avvio di gara sembra dare ragione a sir Alex, perché Valdes deve intervenire due volte in uscita fuori dall'area per fermare le volate dei due attaccanti dei Red Devils. Ma esattamente come a Roma 2009, il Barça lentamente entra nel match e prende il sopravvento. Se due anni fa fu il gol di Eto'o a mutare radicalmente il volto della gara, stavolta il cambio d'inerzia avviene in maniera più graduale, a colpi di triangoli stretti che "prendono in mezzo" l'avversario diretto e lanciano gli incursori blaugrana verso Vidic e Ferdinand. Percussioni centrali con allargamento a destra che fruttano due tiri per Villa, obbligano i centrali a un paio di scivolate miracolose e poi, alla lunga, portano al gol di Pedro. Minuto 27: Xavi allarga con l'esterno, la copertura di Vidic è tardiva e Van der Sar non può nulla sulla stoccata dell'1-0. "Adesso nascondono il pallone e gli inglesi non lo vedono più", si comincia a sospettare sulle tribune di Wembley. Invece no. Lo United vacilla, ma regge e pareggia alla prima chance degna di questo nome: Rooney va via sulla destra, duetta prima con Carrick e poi con Giggs, in fuorigioco per pochi centimetri, si presenta davanti a Valdes e lo fulmina con un gran destro. E' l'1-1 che rinfranca il pubblico in maglia rossa, in netta maggioranza, e soprattutto restituisce agli amanti del calcio la possibilità di gustare un secondo tempo più equilibrato. Almeno in teoria.
La ripresa, dopo una fiammata di Rooney, vede però il Barça ripartire in pressione. E se su Alves Van der Sar riesce a chiudere lo specchio, il portiere olandese (all'ultima partita in carriera) non è altrettanto pronto a bloccare il sinistro di Messi, liberato da un appoggio di Iniesta. Nove minuti sul cronometro, 2-1 Barcellona. E il Pallone d'oro fa un altro balzo (non certo da Pulce) nella storia. Stavolta i Blaugrana non accusano il minimo calo di tensione, anzi, continuano a spingere. Van der Sar quasi capitola ancora su una deviazione in area di Messi dopo aver parato un altro tentativo dell'argentino, poi dice di no alle bordate di Xavi e Iniesta. Ma proprio mentre Ferguson si gioca la carta offensiva di Nani al posto di Fabio, arriva il 3-1 del Barça. Nani è difettoso in disimpegno, Ferdinand non esce in tempo dall'area e Villa inventa un destro a giro da favola, che di fatto chiude i conti. Rooney è ammirevole, ci prova e ci riprova fino alla fine, tutto lo United mette in campo l'orgoglio che fa di questa squadra una leggenda del calcio europeo. Ma non basta. Al fischio finale, i giocatori del Barça si abbracciano per la conquista di una Champions League strameritata. E parte la festa catalana: prima con sfottò dalle tribune all'ex detentore Mourinho, poi con la coppa alzata al cielo da Abidal (nella foto in alto) su concessione di capitan Puyol, a due mesi e dieci giorni dall'intervento chirurgico per il tumore al fegato, e infine più in là, per le strade, nella notte di Londra.

venerdì 27 maggio 2011

lunedì 23 maggio 2011

giovedì 19 maggio 2011

il porto di villas boas trionfa anche in europa league

Pronostico rispettato: va al Porto l'edizione numero due dell'Europa League, che consacra anche a livello continentale la squadra di André Villas Boas, il tecnico più desiderato d'Europa. All'ex assistente di Mourinho riesce la doppietta che il suo "maestro" ottenne nel 2003, quando conquistò il titolo nazionale e l'allora Coppa Uefa. Poi rimase a Oporto e l'anno seguente centrò il colpo grosso, ovvero la Champions League. E' questa la strada che il "discepolo" potrebbe voler ripercorrere, ma in attesa che Villas Boas decida sul proprio futuro bisogna registrare il successo di questa squadra travolgente, capace di realizzare ben 130 gol in 52 partite giocate prima di ieri sera.
Ma quello visto in finale di Europa League non è stato un Porto brillante, più a causa dell'atteggiamento dello Sporting Braga che per colpe proprie. La formazione biancorossa allenata da quel Domingos che da calciatore fu una stella - ironia della sorte - proprio del Porto ha pensato, infatti, soprattutto a non far giocare gli avversari, tentando di ripetere quanto le era già riuscito nelle semifinali contro il Benfica. Così i Dragoni sono rimasti invischiati in questa sorta di ragnatela, con il Braga impegnato soprattutto a contenere e a chiudere tutti gli spazi, operando continui raddoppi di mercatura per bloccare i rifornimenti ai temuti Falcao (qui, nella foto, il suo gol decisivo) e Hulk, micidiale coppia d'attacco del Porto. La squadra di Villas Boas non è stata, quindi, lucida come sempre, perché gli avversari le hanno impedito di giocare e quello dell'Aviva Stadium di Dublino non è stato certo calcio-spettacolo.
Nei primi 45 minuti il Porto, con la difesa molto alta come sempre, è spesso andato a sbattere contro un muro e soltanto nel finale, a un minuto dall'intervallo, è riuscito a passare contro la squadra la cui porta era difesa dall'ex romanista Artur e alla quale nella classifica del campionato portoghese ha inflitto ben 38 punti di distacco. La rete che ha deciso il match è arrivata grazie a un errore di Rodriguez, il quale ha permesso a Guarin di andarsene in ripartenza e di pennellare un bel cross dalla destra sul quale, scattando sul filo del fuorigioco, Falcao ha colpito di testa segnando il suo diciassettesimo gol in Europa League, per regalare un altro trofeo ai Dragoni, che domenica avranno la possibilità di conquistare anche la coppa nazionale.
E' stato quindi, ancora una volta, l'attaccante colombiano che ricorda Pippo Inzaghi e porta il nome dell'ex Divino della Roma a fare da mattatore in questa finale di Europa League che il Porto ha vinto meritatamente. Nella ripresa il Braga ha inserito forze fresche, con Kakà, Mossorò (che ha subito sprecato l'unica palla gol degli uomini di Domingos) e poi anche l'ex ravennate Meyong, attaccante del Camerun finito spesso in fuorigioco. Ma la situazione non è cambiata, anche perché lo stesso Braga ha continuato quasi soltanto a contenere e a fare collezione di cartellini gialli. Per il Porto c'è stata un'unica palla-gol, con un colpo di testa da posizione favorevole di Alvaro Pereira, poi la formazione di Villas Boas ha cercato soprattutto il possesso palla fino al novantesimo. E, alla fine, si è goduta il momento del trionfo, con la Coppa consegnata da Michel Platini al portiere brasiliano e capitano Helton.
Fonte: Ansa.

mercoledì 18 maggio 2011

il tifoso javier marias si è stancato del real mourinho

Di Diego Del Pozzo

Durissimo attacco a José Mourinho, da parte del noto scrittore madrileno e madridista Javier Marias. L'autore di Domani nella battaglia pensa a me, infatti, ha pubblicato un commento infuocato (dal titolo Uno sciamano da sagra) sulle colonne del Pais Semanal, dove, partendo dai ricordi dei tempi andati, s'è lanciato in una durissima critica ai metodi, allo stile e alla personalità del discusso tecnico portoghese, reo di aver rovinato l'immagine del Madrid e di averne contaminato i nobili valori avvelenando tutto ciò che lo circonda.
"Florentino Perez - ha scritto Marias - sarà una lince nei suoi affari, però sta dimostrando di essere un uomo poco intelligente per essersi consegnato a uno sciamano da sagra come Mourinho, una persona ancora meno intelligente di lui. Un individuo che non sa di calcio e che tratta il Madrid senza attenzione, che non ha remore nel tradire la sua centenaria tradizione né nello sporcarlo con una macchia che sarà difficile cancellare. Il suo Madrid è una squadra con buoni giocatori ai quali chiede di giocare in maniera brutta e cattiva; con attaccanti eccellenti ai quali, nelle partite chiave, non permette di attaccare; con giocatori d'onore - la maggioranza - che obbliga a comportarsi in maniera brutale e disonesta; giocatori che, grazie al suo noto e infinito risentimento e al suo potere quasi assoluto, schiaccia sotto un regime di terrore".
E Marias è arrivato persino a prospettare, un po' provocatoriamente, una drastica soluzione finale per evitare di compromettere la propria passione calcistica: "Mourinho - ha concluso, infatti, lo scrittore - è arrivato a rovinarmi persino le vittorie. Non penso che ci riesca, però è certo che se lui continua qui dovrò provare a diventare tifoso di un'altra squadra, provvisoriamente. E sono indeciso tra l'Athletic Bilbao, la Real Sociedad o l'inimmaginabile: l'Atletico Madrid".

martedì 17 maggio 2011

un bell'articolo sul "dribbling post mortem" di garrincha

Di Piero Mei
(Il Messaggero - 16 maggio 2011)

"Quando lo vidi mi sembrava uno scherzo, con quelle gambe storte, l'andatura da zoppo e il fisico di uno che può fare tante cose nella vita meno una: giocare al calcio. Come gli passano la palla gli vado incontro cercando di portarlo verso il fallo laterale per prendergliela con il sinistro, come facevo sempre. Lui invece mi fa una finta, mi sbilancia e se ne va. Nemmeno il tempo di girarmi per riprenderlo e ha già crossato. La seconda volta mi fa passare la palla in mezzo alle gambe e io lo fermo con un braccio e gli dico: senti ragazzino, certe cose con me non farle più. La terza volta mi fa un pallonetto e sento ridere i pochi spettatori che assistono all'allenamento. Mi incazzo e quando mi si ripresenta di fronte cerco di sgambettarlo, ma non riesco a prenderlo. Alla fine vado dai dirigenti del Botafogo e dico: tesseratelo subito, questo è un fenomeno...". Così parlò Nilton Santos, uno dei più grandi terzini di tutti i tempi, quando in un provino gli misero di fronte Garrincha diciannovenne, che beveva da 15 anni e fumava da 10, aveva una gamba più corta dell’altra di 6 centimetri, un ginocchio piegato all'interno e l'altro all'esterno e lo sguardo strabico. Da piccolissimo andava a caccia di una specie di passerotti e, siccome non correva ma saltellava come quelli, la sorella Rosa lo ribattezzò Garrincha, appunto quell'uccellino. Il nomignolo gli sarebbe rimasto per sempre.
Garrincha dribblò tutto nella sua vita: ogni avversario, anche una squadra tutta di fila, e ogni regola. Fu due volte campione del mondo con il Brasile a cavallo del 1960, lui che era diventato professionista al prezzo di 27 dollari. Faceva impazzire i tifosi e le donne: ha avuto 14 figli da varie compagne. Quando tornò campione del mondo da Svezia '58 pagò al bar che frequentava tutti i debiti dei suoi tantissimi compagni di bevute. Alla fine dribblò anche se stesso, morendo a 49 anni, vivendo gli ultimi tempi da barbone. Sulla sua tomba è scritto: fu la gioia del popolo.
Ma anche da morto non vuole arrendersi: come non bastava nessun difensore a metterlo giù, che anzi erano quelli a finire spesso con il sedere per terra, non sono bastati 250 chili di esplosivo a far cadere la tribuna che gli è stata dedicata nello stadio di Brasilia che stanno ricostruendo per i mondiali del 2014. S'è sentito un gran botto, ma, irridente come il campione che le ha dato il nome, la tribuna è rimasta su. Garrincha è sempre grande.

venerdì 13 maggio 2011

napoli: speriamo che non rovinino tutto!

C'è una strana aria attorno al Napoli. Speriamo che non abbiano deciso di rovinare tutto... (d.d.p.)

mercoledì 11 maggio 2011

alessandro siani commenta le scelte politiche di de laurentiis

Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 11 maggio 2011)

Alessandro Siani non ha molta voglia di commentare la dichiarazione di voto di Aurelio De Laurentiis a favore di Gianni Lettieri, “perché si tratta di scelte personali, sulle quali non mi sembra giusto dire nulla”. In realtà, l’attore del film campione d’incassi Benvenuti al Sud sembra molto più preoccupato per le attuali difficoltà del De Laurentiis presidente di calcio, incarnate da un Napoli che, nelle ultime settimane, sta rischiando di compromettere, seppure parzialmente, l’ottimo campionato disputato finora.
Per Siani, però, Aurelio De Laurentiis non è, ovviamente, soltanto il presidente della sua squadra del cuore, ma anche un importante produttore cinematografico col quale ha avuto modo di lavorare nel 2006 e nel 2007, quando il patròn della Filmauro lo scelse per far parte del cast dei due cinepanettoni Natale a New York e Natale in crociera.
Dunque, Siani, che effetto le fa l’appoggio pubblico che De Laurentiis ha dato a Lettieri?
“Come dicevo, non mi va di commentarlo, perché si tratta di una scelta privata. E poi, fino a domenica preferisco tenermi lontano dalla politica…”.
E dopo domenica?
“Dopo pure. Anche se per me domenica è un giorno importante pure per un altro motivo”.
Si riferisce al match di Serie A tra Napoli e Inter?
“Certo. Anche perché i recenti sviluppi della stagione del Napoli mi stanno facendo un po’ preoccupare”.
Immagino che si riferisca alla “guerra fredda” in atto tra il presidente De Laurentiis e l’allenatore Walter Mazzarri?
“Sì, è una situazione piuttosto spiacevole. Addirittura, ho letto che domenica scorsa, dopo la partita col Lecce si sono scambiati un semplice “ciao”, molto freddo e formale, durante il viaggio di ritorno in aereo. E questo non mi sembra per niente bello, dopo due anni di lavoro assieme”.
Ma come pensa che si possa evolvere, nei prossimi giorni, il loro rapporto?
“Spero che se arrivano a una separazione – conclude scherzando – possa almeno essere consensuale…”.

domenica 8 maggio 2011

mercoledì 4 maggio 2011

bentornato abidal...

domenica 1 maggio 2011