giovedì 26 febbraio 2009

il bel calcio inglese di una volta


In giorni di confronto tra Italia e Inghilterra sui campi extralusso della Champions League mi piace riproporre, qui di seguito, un bellissimo articolo pubblicato nel numero di ottobre 2008 della notevole fanzine sul calcio britannico "UK Football, please", purtroppo oggi presente soltanto in forma telematica e non più anche cartacea. L'articolo in questione è stato ripubblicato proprio oggi sul sito della ormai webzine. (d.d.p.)
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Stand by me - Ricordo di un'estate e di un calcio (inglese) che fu
di Diego Mariottini (da UKFP n° 24 - ottobre 2008)
Correva l’anno… vabbè lasciamo stare l’anno, diciamo circa due decenni fa. Una Londra diversa, un calcio diverso, tifosi che non ci sono più, nel bene come nel male. Confesso di essere un tifoso dell’Arsenal e il motivo è presto spiegato: zia Lina e suo marito Miro abitano ad Highbury e sono ancora tifosi accaniti, anche se sedentari, vista l’età. Dunque si può dire che in quel borough centrale di Londra io da sempre sono di casa.
Non era ancora l’Arsenal di Thierry Henry o quello di Dennis Bergkamp, ma i “Gunners” di Alan Smith erano pur sempre, negli anni ’80, una squadra in grado di rendere la vita difficile a chiunque. Come si direbbe a Roma, vincere a Highbury “non è stata mai una passeggiata per nessuno”. Ciò che in generale affascina del tifo inglese (e naturalmente non mi riferisco solamente al “mio” Arsenal) è anche ciò che spesso è presentato a tinte fosche e senza sfumature, sul piano mediatico. Impressiona la compattezza delle tifoserie e la capacità di dare supporto alla squadra cantando per 90 minuti a squarciagola (potenza della pinta di birra). Anche gli scontri tra opposte fazioni non erano mai gli stessi rispetto a quanto avveniva, sempre in quegli anni, in Italia.
Ricordo perfettamente la prima partita dell’Arsenal che vidi all’Highbury Stadium: l’avversaria era il (allora) più blasonato Liverpool. Lo stadio aveva un parco antistante l’impianto di gioco, il punto d'arrivo di chi, in pieno agosto, vuole approfittare dei rari momenti di sole per prendere la cosiddetta “abbronzatura sostenibile”. Nella seconda metà degli anni ’80, gli atti di teppismo legati alle partite casalinghe dell’Arsenal avvenivano sempre lì e la polizia, i bobbies, ne erano perfettamente consapevoli. Vedere due tifoserie inglesi scontrarsi è come assistere alla cronaca in diretta di una battaglia campale, posso assicurarlo. Uno spettacolo di sicuro non edificante sul piano etico, ma tuttavia un qualcosa che somiglia a una strategia militare organizzata: agguati, irruzioni in massa, cariche individuali, ma sempre a mani nude, secondo un codice cavalleresco che non è mai venuto meno neppure nei momenti più cupi del calcio inglese. Fin qui tutto normale, se di normalità vogliamo parlare. Poi, di regola, le due tifoserie organizzate entrano allo stadio in un apparente buon ordine, seguite dai tifosi comuni, i cosiddetti “cani sciolti” come me.
Ricordo Arsenal-Liverpool come una partita bellissima, l’atmosfera, quella tipica del calcio inglese, con il rumore dei cori molto più affascinante e robusto del boato afono che si sente allo Stadio Olimpico (specialmente in quello ricostruito per Italia ’90). Lo “YEEEEEESSSS”, urlato dai supporters della squadra che ha appena segnato è un’esplosione di gioia contagiosa per chi nota tutti i dettagli di “una partita nella partita”. Purtroppo il Liverpool fa il colpaccio corsaro e con un perentorio 2-1 in terra di Highbury porta a casa i primi tre punti di un campionato alla sua giornata inaugurale. “Adesso che l’Arsenal ha perso in casa, le due tifoserie si ammazzano veramente – penso io – meglio andare a casa prima possibile”. Cerco la via d’uscita per raggiungere zia Lina, che abita a pochi isolati dall’Highbury Stadium. Macché, non è possibile: la polizia ha deciso di far defluire prima il tifo organizzato e poi tutti gli altri. “Questi devono essere pazzi – dico un po’ preoccupato a uno spettatore italiano, anch’egli interessato alle gesta dei Gunners – ma non sarebbe più logico far sfollare prima i tifosi tranquilli e poi gestire con calma quelli più esagitati?”. Se si fosse trattato di tifosi italiani avrei avuto ragione: non avevo fatto i conti con un diverso modo di concepire il tifo. Insomma, al momento indicato dagli addetti ai lavori, esco dalla curva con aria un po’ circospetta e passo attraverso il verde di Highbury Park, evitando volutamente vicoli pericolosi e strade strette. È a quel punto che capisco tutto, malgrado all’inizio non riesca a credere ai miei occhi. I tifosi delle due squadre, dopo essersele date di santa ragione prima della partita, si godono insieme il sole pallido di una Londra caldissima ma nuvolosa e all together si recano al pub a bersi una birra. La battaglia è finita e le due opposte fazioni hanno smesso di combattersi, come due pugili dopo la fine dell’ultimo round.
Naturalmente non va sempre così, ma in Inghilterra va anche così. In Italia, invece, la cultura della scazzottata (esecrabile quanto si vuole, ma almeno leale nei suoi fondamenti teorici) non c’è ed è per questo che fanno la loro triste comparsa ganci, catene e soprattutto coltelli. Nella Premier League, ma anche nelle categorie inferiori, un fallo laterale o un calcio d’angolo possono essere battuti tranquillamente, senza il timore di essere colpiti da monetine e altri oggetti contundenti. Da noi si scavano trincee e fossati degni di una guerra di posizione.
Oggi anche il calcio inglese è cambiato: Scotland Yard ha messo a punto una strategia che ha messo in ginocchio gli hooligans violenti e le loro connessioni con la politica eversiva (in Italia siamo ancora lontanissimi da raggiungere obiettivi anche vagamente simili). Si va allo stadio come se si andasse a teatro. Gli steward ti accompagnano al tuo posto e i genitori portano i figli alla partita senza particolari timori. Tutto perfetto, ma è tutto stravolto. Non c’è più quell’atmosfera, quella passione, quel fermare il tempo delle tue sensazioni con una birra bevuta insieme all’acerrimo nemico, dopo. Anzi, non c’è più il nemico. E se il nemico non c’è, non esiste più neanche l’amico. È l’anima di ognuno di noi a selezionare ciò che è familiare da ciò che è alieno.
Essere di una squadra piuttosto che di un’altra non è forse una scelta dell’anima? Ecco, è proprio questo il punto: in un calcio senz’anima come quello moderno, potresti essere di una squadra come di un’altra, indifferentemente. L’Emirates Stadium, che nel frattempo ha sostituito il vecchio Highbury, è una bomboniera. Ma una bomboniera non racchiude di per sé il senso di un matrimonio e, senza sentimenti, una bomboniera è soltanto un contenitore di confetti.

2 commenti:

  1. l'ho appena letto! bellissimo!

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  2. e grazie per avermi fatto scoprire questo sito sul calcio inglese

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