domenica 17 maggio 2009

a napoli pubblico vergognoso

Di Diego Del Pozzo

Il comportamento del pubblico di casa durante la partita odierna tra Napoli e Torino è stato semplicemente vergognoso, in particolare per il consueto accanimento nei confronti di Paolo Cannavaro, napoletano "doc" e capitano della squadra.
La "grave" colpa del difensore centrale è stata, agli occhi degli imbecilli che l'hanno fischiato per tutta l'ultima mezz'ora di gioco, quella di essersi fatto superare da Rolando Bianchi in occasione del gol del pareggio granata: non una papera, intendiamoci, ma una normale azione di gioco, con buon movimento offensivo dell'attaccante a sbilanciare il difensore azzurro; insomma, un confronto tra due atleti, come ne possono capitare tanti nel corso di un match. Ovviamente, Cannavaro si è molto innervosito per l'atteggiamento scorretto del pubblico e, nei minuti conclusivi, s'è lasciato andare a qualche errore di troppo e pure a un paio di interventi scomposti, rimediando l'ammonizione e rischiando addirittura di essere mandato via dall'arbitro prima del fischio finale.
Se il pubblico napoletano, invece di sostenere la squadra, vuole per forza fischiare qualcuno, dovrebbe innanzitutto lasciare in pace chi dedica tutto se stesso alla causa, con impegno e serietà; e, se proprio deve, potrebbe pensare di concentrare i propri sforzi su quei giocatori che, per mesi, hanno privilegiato la vita notturna all'impegno agonistico, oppure su quegli altri - come Marek Hamsik, irritante anche oggi - che hanno smesso di giocare da più di tre mesi, concentrando la propria attenzione unicamente sul modo più indolore per lasciare quanto prima squadra e città.
E come dare torto, d'altra parte, a Hamsik o a chiunque altro voglia lasciare il Napoli prima della scadenza naturale del proprio contratto? Nel corso di questa stagione, infatti, diversi giocatori partenopei hanno subìto rapine dolorose e dai contorni assolutamente poco chiari (lo stesso Hamsik, a fine dicembre, s'è visto puntare una pistola in bocca in pieno centro cittadino...); inoltre, non va dimenticata la gravissima irruzione dei tifosi - anche se, a voler essere più precisi, non li si dovrebbe chiamare così - nel centro sportivo di Castelvolturno per imporre ai calciatori i loro diktat minacciosi.
Pensando a tutte queste cose, poi, come si può altresì dare torto ai giocatori che - come per esempio Floccari o, in anni passati, lo stesso Rolando Bianchi - decidono di rifiutare le avances del Napoli e scelgono di andare a giocare altrove? Per quale motivo, infatti, un professionista dovrebbe venire a esibirsi in una realtà sociale ormai completamente sfaldata come quella del capoluogo campano, alle dipendenze di una società che ha chiaramente mostrato di non saper gestire al meglio i rapporti con la propria turbolenta tifoseria e in un ambiente che, alla prima difficoltà, si rivolta contro i propri beniamini?
In conclusione, la partita di oggi ha rafforzato in me una convinzione, che d'altra parte mi ha sempre accompagnato in questi mesi: la travolgente crisi che, dall'inizio del 2009, ha compromesso la stagione del Napoli si spiega anche, o forse addirittura soprattutto, col contesto ambientale ostile nel quale la squadra ha dovuto giocare per molto tempo, poco o per nulla tutelata da una società che, in quel frangente, ha mostrato per intero la sua inadeguatezza al livello della Serie A. Ricordiamo quei mesi, per far sì che non debbano ripetersi mai più: una squadra giovane e inesperta letteralmente terrorizzata nelle partite al San Paolo (bastino, come esempi, gli autentici "linciaggi" dei difensori in Napoli-Bologna, Napoli-Lazio e Napoli-Genoa), il presidente De Laurentiis per quasi un mese negli Stati Uniti per lavoro, il solo Marino lasciato in città a maneggiare la dinamite, il silenzio assordante di entrambi i dirigenti (solitamente molto loquaci), Edy Reja identificato come unico capro espiatorio della situazione, la già ricordata irruzione dei tifosi nel centro sportivo con relative minacce ai giocatori, la mancanza di una figura carismatica (Bruscolotti come team manager) da proporre come filtro con l'ambiente e la tifoseria, la disorganizzazione trovata da Donadoni al suo arrivo.
Insomma, altro che Champions League o Coppa Uefa (dal prossimo anno Europa League): per puntare in alto bisogna ancora crescere tanto, investendo innanzitutto sul potenziamento di una struttura societaria che continua a fare acqua da tutte le parti e che, finora, ha saputo gestire egregiamente Serie C1 e Serie B ma va rafforzata senza indugi per potersi confrontare sullo stesso terreno con le vere grandi del calcio nostrano.

4 commenti:

  1. non c'è speranza per quesata città

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  2. Le ragioni sono tante, ma ormai il tessuto sociale di questa città e di buona parte della regione è completamente "sfrangiato". A tutti i livelli domina l'intolleranza, la prepotenza, la piccola e/o grande violenza quotidiana. E la crisi economica, con conseguente aumento delle sacche di povertà e disperazione, non ha fatto altro che ingigantire il problema. Perché mai, dunque, lo stadio dovrebbe essere diverso dalla città nella quale si trova?

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  3. Sul blog "Indiscreto" di Stefano Olivari si sta sviluppando un interessante dibattito a partire da questo mio pezzo. Qui di seguito, la mia risposta a un frequentatore del forum, che commentava negativamente alcuni comportamenti tipici dei napoletani: "Jeff, purtroppo dicendo queste cose non sei affatto razzista, ma soltanto un attento osservatore della realtà. E te lo dice uno che a Napoli ci vive e ci lavora (per scelta propria, tra l'altro), combattendo tutti i santi giorni contro piccoli e grandi soprusi, piccole e grandi illegalità, piccole e grandi violenze e prepotenze. Napoli mi sembra sempre di più una città abbrutita e morta dentro; una città nella quale può trovarsi bene unicamente il turista, che coglie certe cose come folkloristiche, anche perché sa che, dopo una settimana, andrà via. Ovviamente, il calcio non può essere un'eccezione in un simile contesto sociale..."

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  4. Come sempre accade, poi, andando avanti il dibattito s'è riempito di banalità e cose che meritavano di essere confutate o precisate. Così, ho scritto di getto, poco fa, questo lungo commento, che riporto anche in questa sede: "Scusate, ma credo di non aver mai sentito tante sciocchezze e banalità su una città e sulla sua gente. Ma che c'entra l'assenza o la presenza di microcriminalità e il lasciare o meno la macchina aperta, o il vigile amico che ti fa togliere la multa? Ma qui mica si sta parlando del paesello calabrese nella Locride (con tutto il rispetto...), bensì della terza città d'Italia per numero di abitanti (circa un milione), oltre che dell'area metropolitana più complessa e densamente abitata d'Italia (tre milioni e mezzo di abitanti) assieme a quella di Milano. Ma soprattutto di un luogo che, volenti o nolenti, gli stranieri continuano a identificare con l'Italia intera: Pompei è il sito archeologico più visitato al mondo; Ischia è ancora oggi la meta italiana più amata dai tedeschi; non parlo nemmeno di Sorrento o della Costiera amalfitana; pizza e caffè sono simboli enogastronomici dell'Italia - non solo di Napoli - nel mondo. Questi che possono sembrarvi solo luoghi comuni sono elementi concreti e reali, che dovrebbero farvi capire l'importanza di questa città, soprattutto dal punto di vista simbolico, nel più ampio contesto italiano. Detto ciò, Napoli ha, né più né meno, gli stessi problemi comuni a tutte le grandi città italiane (e non solo), ovvero periferie abbandonate a se stesse e lasciate in mano alla criminalità più o meno organizzata, conflitti sociali derivanti da forte presenza di immigrazione, sovraffollamento e caos, inquinamento ambientale e acustico, disagio giovanile e diffusione delle droghe. Poi, è ovvio che vi siano delle specificità, anche se - tanto per rifarmi a un esempio famoso - va tenuto presente che anche la famigerata "emergenza rifiuti" non ha mai (o quasi mai) riguardato le zone centrali della città o quartieri "in" come Chiaia, Posillipo e il Vomero (dove si vive quasi come a Monaco di Baviera, provare per credere...), ma sempre le periferie di cui sopra e, soprattutto, i grossi e congestionati comuni dell'hinterland (purtroppo, per un malcostume giornalistico tutto italiano, Napoli vuol dire anche Casoria, Giugliano, Afragola e così via: così, quando in tv si dà conto di un fatto di cronaca nera o di inquinamento ambientale accaduto in questi comuni, si fa presto a dire "... a Napoli". In realtà, l'elemento decisivo
    che davvero segna la differenza tra Napoli e le altre grandi città italiane e straniere è la presenza capillare della camorra sul territorio; presenza che influisce negativamente sull'economia di questi luoghi, impoverendoli ancora di più; e influisce sulla mentalità della gente, trasformandola in peggio e rendendola automaticamente più aggressiva e prepotente ("mentalità camorristica").
    Nel mio pezzo e nei commenti successivi, sottolineavo con amarezza il peggioramento del tessuto sociale cittadino dovuto, secondo me, proprio a questa terribile presenza, che anche a causa del disimpegno ultradecennale dello Stato e delle Istituzioni è riuscita a segnare nel profondo gli animi e la mentalità della gente. Così, per esempio, può capitare che - tornando allo specifico calcistico - i tifosi del Napoli decidano di "farla pagare" ai giocatori minacciandoli e - perché no? - arrivando anche a rapinarli in pieno centro cittadino (Hamsik, Russotto) o nelle loro ville (Zalayeta). Sicuramente, tra questi "tifosi" si annidano elementi collusi con la criminalità organizzata, ma la vera cosa grave è che, purtroppo, questi metodi iniziano a essere accettati e perseguiti anche da chi al di fuori dello stadio conduce una vita pienamente nella legalità. Appunto, il cancro prima o poi divora tutto...".

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