mercoledì 27 novembre 2013

champions league: malafede catodica dopo borussia-napoli 3-1

Di Diego Del Pozzo

Ieri sera, seguendo in televisione su Sky Sport la triste serata di Champions League di Borussia Dortmund - Napoli 3-1, ho imparato le seguenti cose:
Marco Reus segna il rigore del 1-0
1) Che una squadra forte all'inizio di un nuovo progetto tecnico (Napoli) e un'altra fortissima che gioca assieme da molti anni, con lo stesso allenatore e lo stesso modulo (Borussia Dortmund) sono la stessa cosa;
2) Che Rafa Benitez non sa dare la mentalità internazionale alla propria squadra;
3) Che un rigore ridicolo capace di permettere a una squadra fortissima di impostare il match nel modo desiderato non significa nulla;
4) Che avere due terzini veri per il 4-2-3-1 e avere Armero a sinistra è la stessa cosa;
5) Che il girone di Champions League del Napoli di due anni fa (Bayern Monaco, un Manchester City privo di esperienza internazionale e un Villarreal derelitto e poi retrocesso a fine stagione in Spagna) era più difficile di quello di quest'anno (il miglior Arsenal degli ultimi cinque anni, i vicecampioni d'Europa del Borussia Dortmund e la terza-quarta squadra francese come il Marsiglia): parola di Maurizio Crosetti, firma sportiva de "La Repubblica";
6) Che il Milan ha compiuto un'impresa straordinaria a vincere a Glasgow col fortissimo Celtic;
7) Che Kakà ha compiuto un'impresa straordinaria a segnare quel primo gol di testa, dopo aver convinto i difensori scozzesi a lasciarlo solo a mezzo metro dalla linea di porta;
8) Che il Milan ci ha messo il cuore e qualcosa in più per giocare e vincere anche per il suo presidente contro "tutto quello che gli stanno facendo" (parole testuali di Abbiati, portiere rossonero e dipendente Fininvest);
9) Che, tornando al Napoli, ha deluso perché gli bastava un punticino a Dortmund e non lo ha saputo fare;
10) Che, però, adesso al Napoli "basterà" vincere 3-0 in casa con l'Arsenal per qualificarsi e, dunque, se non ci riuscirà avrà fortemente deluso.
Invece delle tante puttanate che ho sentito ieri nel postpartita di Sky Sport, però, credo che il miglior commento alla situazione del Napoli in Champions sia il seguente, dal sito ufficiale dell'Arsenal: "È incredibile ma è la realtà. Noi dobbiamo ancora finire il lavoro. […] È la prima volta, in più di 150 partite di Champions League giocate, che mi capita un gruppo nel quale con 12 punti a una gara dalla fine non siamo ancora certi della qualificazione". Non le ha pronunciate uno qualunque, ma il grande Arsène Wenger, manager dell'Arsenal da 17 stagioni consecutive. E questo è il miglior riconoscimento alla forza delle altre due rivali del girone, Napoli e Borussia Dortmund, che rischiano di essere eliminate facendo 12 punti. Il resto, per fortuna, sono soltanto chiacchiere da avanspettacolo, fatte in malafede da parte di commentatori in malafede.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

giovedì 31 ottobre 2013

serie a: il napoli ragiona e vince da grande squadra a firenze

Di Diego Del Pozzo

Alcune considerazioni su Fiorentina-Napoli 1-2 di ieri sera:
1) Una volta tanto non si può che essere d'accordo con Massimo Mauro e con quanto detto nel postpartita durante "Sky Calcio Show": Rafa Benitez tiene los cojones esagonales;
2) Il Napoli 2013-2014 ha l'autorevolezza e la capacità di gestione (oltre che la classe) della grande squadra;
3) José Callejon è la sorpresa positiva di questa prima parte di stagione;
4) I meccanismi offensivi del Napoli sono uno spettacolo, arricchito dalla qualità eccelsa dei singoli interpreti;
5) Chi si scandalizza per il secondo rigore non dato alla Fiorentina al 91' pensasse al primo, quello concesso, che 99 volte su 100 non viene assolutamente sanzionato (e, comunque, se sull'azione incriminata Cuadrado fosse caduto normalmente, sul calcetto istintivo di Inler, senza stramazzare al suolo come fulminato, non avrebbe fatto venire voglia all'arbitro di ammonirlo per simulazione);
6) Il tanto discusso Calvarese s'è mostrato semplicemente arbitro inadeguato per un match come Fiorentina-Napoli: ammonizioni inesistenti (Pandev) o ridicole (la prima a Maggio, poi espulso per somma di cartellini gialli), una simulazione di Giuseppe Rossi non fischiata con relativa mancata ammonizione per l'attaccante viola, in generale una scarsa capacità di gestire i rapporti con i giocatori e poca personalità per decidere senza pensare agli errori (tanti) commessi in precedenza;
7) Federico Fernandez è diventato buon titolare nella difesa partenopea;
8) Infine, attenzione: sulla Serie A ha iniziato ad abbattersi il ciclone belga Mertens (maradoniano il suo gol, nella foto).

mercoledì 23 ottobre 2013

diego armando maradona: the last punk rocker in the world

Di Diego Del Pozzo

Diego Armando Maradona non può essere né sarà mai un uomo comune. Non può esserlo, infatti, colui che è stato il più grande calciatore mai nato (con buona pace di Pelé), colui che ha saputo regalare gioie immense e momenti indimenticabili ad almeno due generazioni di appassionati di tutto il mondo, colui che ha rischiato di autodistruggersi con la droga e con gli eccessi e che, nonostante ciò, ha saputo vincere e far sognare.
Non può essere un uomo comune chi si accompagna quotidianamente con i principali capi di Stato del Sudamerica e si propone alla guida dei movimenti anti-globalizzazione e a favore dei diseredati. E non può esserlo colui al quale sono stati dedicati film (dall’omonimo documentario di Emir Kusturica a La mano de Dios di Marco Risi, da Amando Maradona di Javier Vázquez alla meravigliosa collana di dieci documentari curata da Gianni Minà per La gazzetta dello sport e recentemente arricchitasi di un undicesimo capitolo inedito), canzoni, libri (imperdibile l’autobiografia Io sono el Diego, edita in Italia da Fandango), fumetti (il più recente è stato pubblicato l’anno scorso dalla casa editrice Becco Giallo, s’intitola semplicemente Diego Armando Maradona e l’ha realizzato, in maniera davvero poetica, il trentunenne Paolo Castaldi) e persino un culto religioso (la Iglesia maradoniana, forte di oltre centomila adepti).
Indubbiamente, Maradona è personaggio complesso e persino controverso. E proprio il suo essere così controverso è riemerso con forza, nei giorni scorsi, durante la sua recente presenza in Italia in occasione dell’uscita del nuovo dvd di Gianni Minà che ho citato in precedenza. In questi giorni, infatti, si è riaperta, ancora una volta, la vicenda della molto presunta evasione fiscale di Diego Armando Maradona, che ormai sta assumendo contorni più che grotteschi e, purtroppo, fortemente indicativi dell’attuale deriva della società italiana, ormai in ginocchio dopo un ventennio di collusioni tra interesse pubblico e privato erette a sistema e di impunità eletta a metodo di governo. In particolare, ha destato scandalo il gesto dell’ombrello nei confronti di Equitalia, esibito da Maradona in tv durante la trasmissione di Fabio Fazio Che tempo che fa (della quale era ospite), mentre rispondeva a una domanda del conduttore riguardante l’annoso contenzioso fiscale e provava a spiegare la sua posizione, condivisibile e assolutamente realistica se soltanto chi lo giudica perdesse cinque minuti per studiarsi bene tutta la faccenda. Invece, dopo quel gesto, Maradona è stato esposto alla gogna mediatica e subito additato come esempio negativo dai moralizzatori dell’ultima ora, in primis da personaggi politici di quarta fascia come Brunetta e Fassina, ai quali non dovrebbe nemmeno essere permesso di poter parlare di uno come El Diez.
Qualche giorno dopo, sono emersi alcuni retroscena di quel gesto e del suo reale significato. Infatti, il giorno prima della presenza in tv da Fazio, mentre Maradona si recava da Milano a Roma per assistere alla partita di Serie A Roma-Napoli, alla quale era stato invitato dalla società giallorossa, appena sbarcato da un volo privato - come riportato dal quotidiano Il Mattino di oggi, 23 ottobre - veniva fermato nella sala dell’aeroporto di Ciampino da un rappresentante di Equitalia, a poche ore dalla notifica già ricevuta nell’albergo di Milano dall’ente riscossore. Davanti al suo legale Angelo Pisani, alla figlia Dalma e alla compagna Rocio, l’ex capitano del Napoli veniva fatto oggetto di un’ispezione per verificare se avesse con sé oggetti di valore, da sequestrare. E tutto ciò, com’è umano, lo faceva letteralmente infuriare, con replica plateale il giorno dopo durante Che tempo che fa e successivo annuncio di azione legale nei confronti dello Stato italiano “per ingiusta attività esecutiva degli organi tributari”.
Ma vi sembra normale - mi chiedo - un Paese nel quale accadono queste cose? Oppure siamo in un circo senza più né capo né coda? Se uno è davvero un evasore, infatti, è serio metterci più di vent’anni per accertarlo senza più dubbi? E chi alza il sopracciglio perbenista nei confronti del gesto dell’ombrello maradoniano esibito in tv trova civile e logica una perquisizione con tranello fatta in aeroporto, a fronte di una presunta evasione da 39 milioni di euro? Ma l’ispettore che cosa si aspettava di trovare addosso a Maradona, 39 milioni di euro in contanti?
E, allora, voglio gridarlo forte ancora una volta: dal mio punto di vista, di fronte a tutto ciò, l’ombrelo de dios di Maradona è un pugno in faccia alle ipocrisie di questo Paese senza più pudore né dignità, uno sberleffo da artista, una performance che spiazza, la scarica di adrenalina che dissolve la nube di cloroformio del “prime time” catodico italiano. E Maradona è l’ultimo punk rocker possibile in questo Paese ormai morto dentro!

martedì 22 ottobre 2013

maradona e l'ombrelo de dios

Di Diego Del Pozzo

La vicenda della molto presunta evasione fiscale di Diego Armando Maradona sta assumendo contorni più che grotteschi e, purtroppo, fortemente indicativi dell'attuale deriva della società italiana, ormai in ginocchio dopo un ventennio di collusioni tra interesse pubblico e privato erette a sistema e di impunità eletta a metodo di governo.
L'Ombrelo de Dios di Maradona
L'altra sera, dunque, ospite di Fabio Fazio su Rai Tre, Maradona ha dato scandalo esibendosi nel gesto dell'ombrello nei confronti di Equitalia (qui il video), mentre rispondeva a una domanda del conduttore riguardante l'annoso contenzioso e provava a spiegare la sua posizione (condivisibile e assolutamente realistica).
La questione, infatti, è molto semplice da decodificare, per chiunque la volesse realmente approfondire (per esempio leggendo qui oppure qui). E se Maradona avesse impugnato le sentenze del 1991 e del 1994, come fatto all'epoca dai compagni di squadra Alemao e Careca e dal Napoli di Ferlaino, oggi non dovrebbe pagare nulla al Fisco italiano. Poiché, però, in quegli anni era impegnato in cose ben più gravi - cioè nella lotta per la sopravvivenza, schiavo della droga e invischiato nel decennio più buio della sua vita - e poiché non aveva nessuno che seguisse per lui queste faccende in modo corretto e professionale, a differenza degli altri due compagni più previdenti e meglio gestiti e della società partenopea, oggi viene esposto alla gogna e additato come esempio negativo dai moralizzatori dell'ultima ora, in primis da personaggi come Brunetta e Fassina, due politici di quarta schiera ai quali non dovrebbe nemmeno essere permesso di poter parlare di uno come Maradona.
Dunque, voglio gridarlo forte: dal mio punto di vista, l'Ombrelo de Dios (copyright di Enrico Sbandi) dell'altra sera in tv rappresenta, innanzitutto, un pugno in faccia alle ipocrisie di questo Paese senza più pudore né dignità! E Diego Maradona è l'ultimo punk rocker in un mondo di grigi pupazzi!

Ps: Chi volesse rivedere il video integrale dell'intervista di Fabio Fazio a Diego Maradona può farlo cliccando qui.

domenica 6 ottobre 2013

la terra dei fuochi deve vivere: assieme si puo'

Lo striscione esposto oggi, 6 ottobre 2013, allo stadio San Paolo, prima di Napoli-Livorno 4-0

mercoledì 18 settembre 2013

la costruzione corale del gioco di benitez, secondo bacconi

Di Adriano Bacconi
(Il Mattino - 16 settembre 2013)

Il primo posto in classifica a punteggio pieno dopo tre turni di campionato è per ora la vittoria della rifondazione voluta da De Laurentiis e realizzata con precisione chirurgica da Bigon, basata su decisioni razionali, fredde, distaccate da quel contesto umorale e passionale che si vive quotidianamente a Napoli. Mi riferisco in particolare alle scelte degli eredi di Mazzarri (Benitez) e Cavani (Higuain) e cerco di spiegarvi il perché.
L'esultanza di Higuain dopo il suo gol in Napoli-Atalanta 2-0
Rafa Benitez è il prototipo dell'allenatore scientifico, programmatore, metodico. Un personaggio che, senza poter contare su un passato da calciatore, ha saputo vincere in piazze e campionati diversi solo sulla forza della ragione e dello studio. Nessuno dei suoi giocatori (in particolare i nuovi arrivati) ha la presunzione di risolvere le gare da solo, come si vede invece spesso in tante squadre di élite, basta pensare a profili come Ibrahimovic o Balotelli. Al contrario, tutti partecipano umilmente al team building impostato dal mister spagnolo, dove la costruzione del gruppo è alla base del successo e si fonda sulla percezione dei singoli di poter vedere crescere il proprio valore attraverso processi collaborativi e la creazione di un clima di fiducia e di stima tra i compagni. 
La partita con l'Atalanta, pur nella sofferenza di una prestazione penalizzata dall'ampio turn-over predisposto in vista del gravoso impegno di Champions contro il Borussia Dortmund, è servita per consolidare tutto questo. Lo ha ammesso lo stesso Benitez in conferenza stampa: «Abbiamo vinto con giocatori nuovi e adesso tutti i componenti della rosa hanno più fiducia». La necessità di preservare l'integrazione fisica di alcuni giocatori ha permesso il recupero psicologico di altri che in futuro potranno risultare molto utili alla causa come capitan Cannavaro, autore di una buona gara seppur con un paio di leggerezze, Dzemaili, Mesto, Armero, Mertens. Non tutti hanno reso al massimo, ma tutti oggi si sentono più dentro il progetto tecnico.
Proprio un allenatore napoletano verace, Raffaele Di Pasquale, è l'autore di una tesi al corso master di Coverciano dal titolo intrigante: "La pedagogia antiautoritaria e la metodologia operativa nel calcio ad alto livello" (http://www.settoretecnico.figc.it/documenti.aspx?c=49&t=raffaele%20di%20pasquale). Di Pasquale nella sua opera spiega proprio la differenza tra processo e prodotto: «L’alternativa è sempre quella: miro alla consapevolezza dei processi che mi conducono ad un risultato o confido nella buona sorte o nella giocata “magica” del talento?».
Benitez essendo come approccio filosofico costruttivista, punta sul processo per arrivare al prodotto e questo si vede nel modo di stare in campo della squadra, oltre che nelle scelte degli interpreti.
Contro l'Atalanta, che faceva densità bassa e ripartiva con qualità in contropiede, occorreva una gara intelligente, paziente, attenta. La squadra, pur non brillante e senza la qualità garantita dai suoi giocatori più titolati, ha mantenuto la sua identità: ha tenuto a lungo la palla (67% di possesso) anche se a volte con troppa lentezza, ha coinvolto nella costruzione tutti i suoi elementi con una fitta ragnatela di passaggi (92% di riusciti), obbligando quindi tutti a stare con la testa dentro la partita, ha cercato l'ampiezza (27 cross) e non solo la profondità, come invece accade spesso alla squadre italiane. 
L'unico fuoriclasse a cui Benitez non ha saputo rinunciare neanche in questa circostanza è Gonzalo Higuain, migliore in campo per senso tattico, personalità, opportunismo. L'ex madridista è la summa dell'attaccante pensante, ideale per il gioco di Benitez, fosforo e non solo muscoli, capacità decisionali e non solo tecnica sopraffina, lettura degli spazi e dei tempi di gioco e non solo aggressività e generosità. La prima punta nel calcio moderno è quella che ha la maggior libertà di azione. E quella che detta i tempi e induce, di conseguenza, i comportamenti dei compagni di squadra. Ha quindi una grande responsabilità tattica oltre che il peso di dover finalizzare il gioco. L'argentino sente questa responsabilità collettiva e i suoi movimenti non sono mai fini a se stessi ma sempre funzionali a facilitare la collaborazione coi compagni. Come nell'azione del gol che sblocca il risultato. Higuain sceglie inizialmente di venire incontro al portatore di palla, invitando Hamsik ad andare alle sue spalle. Dopo aver scaricato lateralmente si defila un po' a sinistra per liberare il corridoio di passaggio di Insigne per Hamsik stesso. Mentre la palla arriva allo slovacco riparte bruciando Stendardo nello sprint, intuendo il possibile sviluppo dell'azione. Infine, calcia con freddezza sul secondo palo dove Consigli non può arrivare. Movimenti e gesti tecnici semplici ma elaborati da un pensiero sopraffino.

domenica 1 settembre 2013

serie a: chievo-napoli 2-4 e seconda "bestia nera" sbranata dagli azzurri

Di Diego Del Pozzo

Ok, la strada da percorrere sembra essere quella giusta: seconda "bestia nera" sbranata in soli sette giorni, per il nuovo Napoli di Rafa Benitez. La squadra azzurra, infatti, batte anche il Chievo (4-2 in trasferta), dopo la più che convincente vittoria casalinga di domenica scorsa col Bologna (3-0) nella giornata d'esordio della Serie A 2013-2014.
Il primo gol di Hamsik al Chievo
Nonostante una prestazione un po' svagata e/o sottotono da parte di qualcuno (Britos, Reina, Maggio, Behrami), con parecchi errori individuali e alcuni di reparto, soprattutto in fase difensiva, il Napoli espugna il Bentegodi di Verona con la sicurezza e la personalità delle grandi squadre, segnando ben 4 reti e reagendo prontamente al duplice pareggio degli uomini di Sannino. Così, dopo quella andata in scena sette giorni fa contro il Bologna, anche la seconda dimostrazione del debordante arsenale offensivo a disposizione di Benitez appare impressionante, con Higuain che si propone come pericolo costante per le difese avversarie, ma soprattutto sa essere uno spettacolare pivot offensivo capace di guidare i movimenti e gli inserimenti dei tre trequartisti alle sue spalle con rara intelligenza. E proprio i tre uomini alle spalle del centravanti argentino - Callejon, Hamsik e Insigne (ma in panchina ci sono anche Pandev - poi subentrato - e Mertens) - danno vita anche a Verona a un tourbillon stordente, con intrecci continui e scambi di posizione senza pause. Colpiscono, in particolar modo, il dinamismo pazzesco di Callejon e la generosità di un Insigne mai così partecipe anche in fase difensiva. A tutto ciò, naturalmente, va aggiunta la ciliegina sulla torta, cioè un Marek Hamsik letteralmente mostruoso, "tuttocampista" ormai con pochi eguali al mondo, arrivato già a 4 reti in soli due match di campionato e letteralmente esploso nella nuova posizione più avanzata cucitagli addosso da Benitez. Rispetto al passato anche recente, dello slovacco impressiona la personalità da autentico leader e trascinatore, d'altra parte degna del neocapitano della squadra azzurra.
Alla prima pausa per gli impegni delle Nazionali, dunque, il Napoli arriva con 6 punti su 6 in classifica, ben 7 gol fatti, 2 subìti e Hamsik capocannoniere del torneo, in attesa di una ripresa delle ostilità che porterà con sé anche gli attesi impegni di Champions League.
Le parole d'ordine per la nuova stagione degli azzurri sembrano essere "Dinamismo e personalità", accompagnate dal refrain col quale Benitez sta continuando a trasmettere alla squadra i suoi princìpi di gioco: quel "Senza fretta e senza pause" che anche a verona contro il Chievo ha consentito al Napoli di continuare a fare il proprio gioco senza timori, anche dopo l'1-1 e il 2-2 dei veronesi, situazione che - su quello stesso campo - fino all'anno scorso avrebbe, invece, provocato tensioni e nervosismo paralizzanti.
Ed ecco, per concludere, le mie pagelle azzurre di Chievo-Napoli 2-4: Reina 5.5 - Maggio 5.5, Albiol 6, Britos 5, Zuniga 6 - Behrami 5.5 (Dzemaili 6), Inler 6.5 - Callejon 7, Hamsik 8 (Pandev 6), Insigne 7 - Higuain 7.5 (Armero s.v.). All.: Benitez 7.

Ps in chiave Champions: Dando per scontato che col tempo i meccanismi difensivi migliorino, non sarebbe male se da questi ultimi due giorni di calciomercato arrivasse un altro difensore di livello internazionale, perché Walcott (Arsenal), Reus (Borussia Dortmund) e Ayew (Marsiglia) sono più forti del Paloschi che ieri ha messo a ferro e fuoco la difesa azzurra.

venerdì 30 agosto 2013

un girone affascinante per il nuovo napoli da champions

Di Diego Del Pozzo

Dopo il sorteggio di ieri dei gironi della Champions League 2013-2014, per il nuovo Napoli di Rafa Benitez si profilano all'orizzonte sei grandi match europei, affascinanti e probabilmente molto spettacolari, da affrontare senza paura ma con la dovuta attenzione, contro squadre di livello internazionale e di notevole tradizione ma, per fortuna, attualmente all'altezza (più o meno) degli azzurri: la meno forte e solida tra le quattro inglesi (Arsenal), una francese d'elite ma non certo inarrivabile (OM) e i giovani e sbarazzini vicecampioni d'Europa in carica (il travolgente Borussia Dortmund). E si prospettano grandi scontri anche tra tre "santoni" della panchina come Benitez, Wenger e Klopp.
Credo che tutte e tre le rivali volessero evitare proprio il Napoli, al momento del sorteggio della quarta urna (gli azzurri, purtroppo, partivano dalla quarta fascia di merito), perché quella che si affaccia alla nuova stagione europea non è più la squadra garibaldina ma inesperta di Walter Mazzarri (comunque, sorpresa positiva della Champions di due stagioni fa), bensì una compagine ormai rodata, cosciente della propria forza tecnico-tattica e mentale e, soprattutto, infarcita di uomini abituati a scontri internazionali di alto livello (bastino i nomi di Reina, Maggio, Albiol, Zuniga, Armero, Behrami, Inler, Dzemaili, Pandev, Hamsik, Callejon, Mertens, Higuain), guidati da un tecnico come Benitez che in carriera ha già vinto praticamente tutto e che, tra l'altro, è animato da una enorme voglia di rimettersi in gioco.
Se tutto va per il verso giusto, insomma, credo che ci sarà da divertirsi. Comunque, a bocce ancora ferme (e col calciomercato ancora aperto), per la qualificazione agli Ottavi di finale io azzardo quest'ordine di classifica: Borussia, Napoli, Arsenal, Marsiglia. Incrociamo le dita...

serie a 2013-2014: napoli-bologna 3-0 nell'analisi tattica di bacconi

Di Adriano Bacconi
(Il Mattino - 27 agosto 2013)

Ci sono due aspetti della prestazione del Napoli che mi hanno particolarmente colpito. La prima è la capacità di liberare e occupare spazi di gioco senza soluzione di continuità, la seconda quella di cercare il recupero immediato una volta persa palla.
Sono due aspetti che hanno lo stesso pre-requisito: il dinamismo. Per poter conquistare campo senza risultare prevedibili (specialmente contro squadre predisposte alla difesa come il Bologna) occorre cambiare spesso posizione e togliere punti di riferimento all'avversario. È una questione di spazi e tempi di gioco. Nel Napoli c'è questa disponibilità a partire dai 4 giocatori d'attacco, quelli che solitamente fanno più fatica a mettersi al servizio degli altri.
Il gol del 3-0 di Marek Hamsik
Tutte le azioni d'attacco che vedremo nei minuti successivi si svolgono su questo canovaccio. Il possesso palla è alimentato da tutti i giocatori, da tutti i reparti, da molti passaggi veloci facilitati dalle tante opzioni di scelta offerte al portatore di palla. Anche l'azione che, dopo circa mezz'ora di dominio tecnico-tattico, porta in vantaggio il Napoli è frutto di questa generosità collettiva. Da quando Zuniga supera la metà campo a quando Callejon si esibisce nel tap-in vincente passano trenta secondi di calcio vero dove la palla viaggia da un azzurro all'altro con naturalezza, con velocità, con intelligenza. Come nell'azione di apertura, anche in questo caso è Pandev col suo sinistro a cambiare gioco verso destra premiando l'allargamento di Hamsik. Nel frattempo Higuain si sposta a destra. Nel buco centrale taglia repentino Callejon, bravo anche a rientrare dal fuorigioco al momento del tiro in porta dello slovacco.
Lo stesso pre-requisito, la disponibilità di corsa, è necessaria nella fase di transizione. Il Bologna non è mai riuscito a ripartire ingabbiato dal pressing immediato dei giocatori azzurri nella zona della palla persa. Duplici gli obiettivi di questo sacrificio iniziale richiesto a tutti i giocatori indistintamente: se possibile recuperare la palla per poi predisporsi al contro-break o, almeno, rallentare l'uscita avversaria e consentire alla squadra di riposizionarsi compatta sotto la linea della palla.
In una gara scintillante dal punto di vista delle soluzioni offensive è più difficile richiamare alla mente le azioni di pressing, ma questa è stata una delle armi essenziali per dare ritmo e continuità al gioco e disorientare l'avversario. È una delle qualità che negli ultimi due anni ha permesso alla Juve di segnare un solco con le inseguitrici.
Il gol del 2-0 è frutto proprio di questo atteggiamento costruito nel ritiro di Dimaro dove certi lavori evidentemente hanno avuto effetti immediati. La dinamica dell'azione ricalca infatti in maniera impressionate un'esercitazione che vidi il giorno che andai a trovare Benitez e il suo staff in Trentino. Si trattava di un lavoro su 2 quadrati dove 4 giocatori dovevano liberarsi con passaggi veloci dal pressing di un avversario e, evitando altri 2 avversari posti a copertura, pescare un compagno posto nell'altro quadrato. Proprio quello che è avvenuto al 46' del primo tempo. Callejon, ripiegato in difesa, recupera la palla. Si crea subito un quadrato coi due mediani e Hamsik che improvvisano un mini torello a un tocco fino al cambio di gioco dello slovacco sull'out opposto per Pandev. Da qui la ripartenza feroce con la combinazione finale Zuniga-Hamsik.
Non possiamo non citare, in questo contesto, la preziosa azione dei due mediani svizzeri, in particolare di Inler. Arrivava da una stagione complicata, tanto da sembrare un giocatore involuto e depresso. La sua prestazione è stata invece ottima. Terzo giocatore del Napoli per palle recuperate (13), primo per passaggi riusciti (68), a ridosso degli attaccanti nello score dei tiri in porta (2). Insomma buona, anzi buonissima la prima. Si attendono conferme nell'immediato futuro.

venerdì 26 luglio 2013

gli allenamenti di benitez al napoli, nell'analisi di bacconi

Di Adriano Bacconi
(Il Mattino - 26 luglio 2013)

Arrivo a Dimaro presto e trovo Fabio Pecchia prima dell'allenamento mattutino a bordocampo con le casacche in mano. Con lo staff spagnolo ha legato subito, il suo ruolo sarà importante, è l'anello di congiunzione tra il tecnico e la squadra. Dovrà aiutare Benitez a trasferire al gruppo concetti di gioco nuovi, lontani dalla precedente gestione tecnica. Dice con l'umiltà e la simpatia che lo contraddistingue: «Sono uno studente all'Università del calcio». In effetti c'è molto da imparare vedendo gli allenamenti di Rafa. Le esercitazioni proposte lasciano trapelare gli obiettivi del suo progetto tecnico. Si lavora sulle capacità decisionali dei giocatori. La seduta inizia con un possesso palla a 2 tocchi: controllo orientato e cambio di gioco. Il regime è aerobico. I calciatori corrono come se fossero nei boschi ma facendo muovere anche il cervello e perfezionando i gesti tecnici.
Rafa Benitez al lavoro con la squadra nel ritiro del Napoli
Il secondo lavoro è più analitico. Si tratta di un «4 contro 2». L'attaccante centrale viene incontro al portatore di palla, gioca di sponda e si ripropone per chiudere l'azione. Potrebbe essere un movimento che vedremo fare spesso a Higuain in partita. Ha quelle caratteristiche nel suo Dna. Rispetto a Cavani, dati Uefa alla mano, pur coprendo un minor raggio d'azione, l'ex madridista tocca un maggior numero di palloni e predilige lo scambio in spazi stretti. Infatti oltre la metà dei suoi passaggi sono medio-corti, solo il 7% lunghi (oltre 30 metri). Il confronto con Cavani è pertinente perché le differenze tecniche tra i due attaccanti rispecchiano le diverse richieste che fanno alla loro punta Mazzarri e Benitez. L'uruguagio entrava poco in area di rigore preferendo arrivare da dietro con smarcamenti lunghi negli spazi. Higuain staziona di più spalle alla porta e svaria meno sulle fasce. È più uomo d'area e può così sfruttare con più puntualità i cross degli esterni. Tutto questo non significa che il neo acquisto nel Napoli non corra. Infatti nell'ultima edizione della Champions ha percorso oltre 60 chilometri, 10,83 a gara, leggermente di più rispetto alla media-partita di Cavani nelle 8 partite di Champions della stagione precedente.
Benitez non cerca fenomeni, ma calciatori collaudati e specifici per il suo 4-2-3-1. Secondo questa logica sono stati presi Martens e Callejon che già si muovono a loro agio nelle posizioni di esterni alti. Molto ruoterà però intorno alle capacità dei “vecchi” di assorbire il nuovo approccio mentale richiesto da Benitez. Sempre restando al reparto offensivo mi sono piaciuti molto i movimenti a rientrare di Insigne, da sinistra, e Pandev, da destra. Non sarà facile togliere a loro due il posto. Hamsik dovrà agire invece da trequartista classico e trovare gli spazi per attaccare l'area arrivando a rimorchio di Higuain.
L'allenamento della mattina si chiude con una partitella studiata per sfruttare meglio le zone esterne. Quattro giocatori laterali danno sostegno alla squadra che attacca favorendo lo sviluppo dell'azione in ampiezza. Gli spagnoli li chiamano “comodini” sono dei jolly che servono per aumentare le opzioni di passaggio e direzionare l'attacco. Il concetto base è creare superiorità numerica nella zona della palla.
Nella pausa tra i due allenamenti mi incontro con Benitez e il suo staff a tavola. È un confronto a ruota libera, si parla delle differenze tra il modello gestionale e organizzativo dei club inglesi e di quelli italiani, delle tecnologie utilizzate per la match analysis e della sua utilità nel tempo reale per favorire le decisioni del tecnico, della buona collaborazione iniziata con Gianpaolo Saurini, il tecnico della Primavera che è stato anche lui nei giorni scorsi a rapporto da maestro Rafa. Il punto di partenza è usare lo stesso software per pianificare gli allenamenti, poi si passerà a rendere sempre più coerenti i mezzi di allenamento e il sistema di gioco.
Trovo Benitez molto sereno, pragmatico, razionale. Sa che non sarà facile, è conscio delle difficoltà e dei rischi ma anche della forza delle sue idee. Deve vincere una sfida non banale. Fare una rivoluzione culturale prima che sportiva in poco tempo. Per dirla all'inglese e schematizzando si tratta di passare da una filosofia, quella di Mazzarri, basata su «closed skills», cioè su capacità atletiche e tecniche perfezionate e automatizzate, ad una costruita intorno agli «open skills», cioè su un bagaglio di conoscenze ampio che renda il giocatore in grado di prendere in campo la migliore decisione tra quelle possibili. Gli spagnoli definiscono questa metodologia con l'acronimo PAD che sta per Percezione-Analisi-Decisione. Per questo ogni allenamento deve migliorare la visione di gioco e le capacità anticipatorie.
Anche il menù pomeridiano offre ingredienti in linea con quanto visto la mattina. Si parte con un'esercitazione su un quadrato di 15 metri di lato. Gruppetti di giocatori posizionati sui vertici devono scambiarsi la posizione facendo circolare, con diverse combinazioni, due palloni. L'attenzione è ai tempi delle giocate. Si ruotano due palloni che devono stare sempre sui lati opposti per cui mentre si esegue il passaggio si deve con la coda dell'occhio vedere se c'è sincronia con quello che accade dall'altra parte del quadrato.
Prima di andare a fare un circuit-training in palestra c'è ancora il tempo per un gioco di posizione. Su 2 quadrati di 10 metri di lato si fronteggiano 4 giocatori contro un unico avversario. I due lati sono separati da una striscia di campo presidiata da altri due difensori. I giocatori con la palla devono farla girare fino a trovare l'imbucata per passarla nell'altro quadrato senza farsela intercettare. Anche qui c'è la necessità di muoversi senza palla per aumentare le soluzioni e orientare il corpo per aprirsi l'angolo di gioco. Chi difende non ha come riferimento il singolo avversario ma la copertura della traiettoria di passaggio. I giocatori si divertono, sudano, imparano un nuovo modo di pensare calcio.

sabato 1 giugno 2013

quando rafa benitez disse ai suoi uomini: "we can be heroes, for ever and ever..."

Per i tifosi del Napoli sono parole che suonano dolcissime: sono quelle tradotte dal sito specializzato CalcioNapoli24 (http://www.calcionapoli24.it/primo_piano/focus-cn24-napoli-benitez-discorso-liverpool-n128920.html) e tratte dal libro di Rafa Benitez (il nuovo allenatore degli azzurri) Champions League Dreams.
Il brano che segue si riferisce, in particolare, a ciò che Benitez disse ai propri calciatori nell'intervallo tra primo e secondo tempo di quella che è passata alla storia come una tra le rimonte più clamorose di sempre, soprattutto perché verificatasi durante una finale di Champions League, quella del 25 maggio 2005 a Istanbul tra Milan e Liverpool (3-0 per i rossoneri dopo il primo tempo, poi rimonta dei reds fino al 3-3 e loro vittoria ai calci di rigore).
Ecco, dunque, il racconto di Rafa Benitez, dal quale si capiscono tante cose di colui che guiderà il Napoli nella prossima stagione:
Rafael Benitez, il nuovo allenatore del Napoli
"Intorno a me, le teste erano chine. I giocatori fissavano il pavimento degli spogliatoi dell’Ataturk Stadium. Il rumore dei 50mila tifosi del Liverpool si era offuscato. La squadra sedeva sconsolata e disperata. Non capivano cosa era appena accaduto, o come si fosse arrivati a questo. Tre gol nella partita più importante della loro vita, ed erano incapaci di comprendere dove e perché tutto era andato storto. Questo era il cammino che volgeva al termine, quello che avevamo iniziato nel ritiro pre-stagione, il primo giorno che incontrai i calciatori nella posizione di allenatore del Liverpool. Ci sono due modi per gestire la squadra. Uno è l’allenamento dei giocatori come calciatori, migliorando la forma fisica e la loro tecnica, insegnando loro le proprie tattiche. L'altro è quello di convincerli che, qualunque cosa accada, non importa quanto sia disastrosa la situazione, si ha sempre una risposta. Si deve far credere loro di avere un piano. In ogni sessione di allenamento, in ogni partita che si gioca, si deve rafforzare quel messaggio. Questo è il motivo per cui li avevo incoraggiati di non seguire semplicemente le mie istruzioni, ma di metterle in discussione, in modo che io potessi spiegare il mio pensiero. Si allena il corpo, sì. Ma si allenano anche le loro menti. Sono queste le volte in cui ti misuri come manager, quando il mondo sta cadendo a pezzi, quando tutto ciò che per cui hai lavorato nel corso di una lunga estenuante stagione sembra andar perduto. Questi sono i momenti in cui hai bisogno che i tuoi giocatori dimostrino di avere fiducia in te. Questo è quando si sta in piedi o si cade. Non avevo preparato un lungo discorso per i giocatori. Le mie note sulla partita evidenziavano un messaggio, una parola, sopra tutte le altre, che volevo far si che facessero loro. E' scritta in spagnolo. “Lucharlo”. “Combattere per essa”. Avevamo solo pochi minuti per preparare i giocatori agli schemi con cui avevamo intenzione di giocare nel secondo tempo: tre difensori, due terzini, due centrocampisti - Xabi Alonso e Dietmar Hamann – bloccati dietro a proteggerci dalle sfuriate di Kakà che ci avevano causato tanti problemi nel primo tempo, e Steven Gerrard appena dietro Milan Baros. Hamann avrebbe sostituito Djimi Traore, il che significava Jamie Carragher spostato a sinistra della nostra difesa a tre, con Sami Hyypia al centro e Steve Finnan sulla destra. 'Andremo in campo, poi dopo le ultime rassicurazioni tattiche prenderai Hamann e lo porterai a riscaldare' dissi al mio assistente, Pako Ayesterán, appena scendemmo nel tunnel all'intervallo. Stavo già pensando quello che stavo per dire ai giocatori, immaginando come esprimere il mio messaggio in inglese, e fare in modo che fosse il più chiaro e positivo possibile, così come doveva essere. 'Djimi, fatti una doccia, ti cambio' gli dissi quando raggiungemmo gli spogliatoi. Mi presi un attimo per raccogliere i miei pensieri, prima di passare al resto della squadra. 'Ascoltate', dissi. Quel poco rumore che c’era si placò. Come manager, si può tranquillamente capire quando i tuoi giocatori si rivolgono a te per la speranza e per l'ispirazione. Era importante mantenere la calma, presentarsi fiduciosi. Non potevo far loro pensare che era finita. Le parole vennero facilmente, anche in una seconda lingua (inglese e spagnolo). 'Non abbiamo niente da perdere,' dissi. 'Se ci rilassiamo, possiamo fare un gol. E se facciamo un gol, siamo in grado di tornare in partita. Dobbiamo combattere. Lo dobbiamo ai tifosi. Non lasciate che la vostra testa tremi. Siamo il Liverpool. State giocando per Liverpool. Non dimenticatelo. Dovete tenere la testa alta per i tifosi. Non è possibile definirsi giocatori del Liverpool ed avere la testa bassa. Abbiamo lavorato tanto per essere qui, battuto tante buone squadre. Lottate per 45 minuti. Se segniamo, siamo in corsa. Se credete che possiamo farcela, ce la possiamo fare. 'Avete la possibilità di essere eroi.' Spiegai i cambiamenti che avremmo fatto tatticamente. Carragher a sinistra, Hyypia nel mezzo, Finnan sulla destra. Hamann e Xabi Alonso davanti a loro. Avremmo dovuto essere stretti, compatti, e avremmo dovuto cercare di spingerci in avanti. Il Milan avrebbe giocato con passaggi lunghi, così avvertii i difensori di essere attenti a questi palloni. Appena finii di parlare, Dave Galley, il fisioterapista, mi tirò da parte. Aveva lavorato su Steve Finnan, su uno dei lettini da massaggio, mentre parlavo. ‘Lui non durerà 45 minuti,' mi disse. Avevamo già fatto una sostituzione, Vladimir Smicer al posto dell'infortunato Harry Kewell a metà del primo tempo, e non potevamo rischiare di giocare per il resto della partita, con quella pressione, con un solo cambio da fare. Avevamo solo due minuti prima che i giocatori ritornassero fuori, ma senza Finnan avremmo avuto un problema sul lato destro. Anche allora, però, sapevo che non potevo permettermi di essere nervoso. Non si può mettere a fuoco la situazione quando si è nervosi. Non si può mantenere la lucidità. Ebbi solo un secondo di pausa di riflessione, per cambiare i nostri piani. Chiamai indietro Djimi. Aveva tolto gli scarpini e stava andando verso la doccia. Invece sarebbe andato in campo per il secondo tempo. Finnan sarebbe uscito, si vedeva nei suoi occhi che avrebbe voluto uccidere Dave. Carragher lo avrebbe sostituito a destra, con Traore sulla sinistra. Smicer, non un esterno naturale, avrebbe giocator largo a destra nel secondo tempo, con Gerrard pronto a sostituirlo. 'I tifosi sono con noi,' dissi, mentre i giocatori iniziarono a muoversi verso la porta. Non so se potevano sentirli cantare, 50.000 persone che intonavano l’inno del Liverpool, 'You'll Never Walk Alone’, nonostante quel primo tempo. Durante una partita, sono così concentrato che non riesco nemmeno a scorgere la mia famiglia in mezzo alla folla. Blocchi tutto. Vedi solo i giocatori e la partita. Ma sapevamo tutti quanti sostenitori avevano viaggiato fino a qui. Avevamo visto tutti le fasce rosse del Liverpool sugli spalti. Sapevamo quanto era stato lungo il viaggio, e sapevamo che dovevamo lottare per loro. 'Loro sono dietro di noi.' I giocatori avevano sopportato probabilmente i peggiori 45 minuti della loro carriera. Dal primo tocco di palla, tutto era andato storto. Avevano una possibilità per rimediare. Era una situazione che nessuno di noi avrebbe osato immaginare. Non doveva essere così, in teoria. Tutte le nostre speranze erano riposte nei giocatori che credevano che avessimo un piano, confidando in noi per cambiare le cose attorno a loro. Si alzarono e cominciarono a dirigersi verso la porta, verso il tunnel, verso il campo. Verso la storia".

lunedì 8 aprile 2013

serie a: napoli-genoa 2-0, con un sontuoso marek hamsik, ormai maestro di calcio...

Di Diego Del Pozzo

Ieri sera, Napoli - Genoa 2-0 (con almeno altre quattro occasioni da gol clamorosamente sciupate dagli azzurri, in particolare con Cavani) ha dato la conferma di quanto gli uomini di Walter Mazzarri si siano definitivamente ripresi dal calo di qualche settimana fa, forti di una condizione atletica ritrovata e di motivazioni tornate a livelli d'inizio stagione.
Nell'ottima prestazione collettiva sfoderata contro la squadra genoana, peraltro molto deludente e fin troppo "molle", spicca tra tutte quella di Marek Hamsik, al quale assegno un bel 7,5 in pagella: dai suoi piedi, infatti, anche ieri sera è fluito calcio in maniera naturale e copiosa come l'acqua che sgorga dalla sorgente. Per l'assoluta sapienza tattica, il notevole dinamismo, i piedi raffinati e la testa da campione è, ormai, tra i primi centrocampisti d'Europa e del mondo. Riesce a "vedere" calcio come pochi altri ed è, probabilmente, l'unico autentico fuoriclasse presente nella rosa del Napoli, che deve tenerselo stretto.
Qui sotto, eccolo - pronto a scattare - ritratto in una bellissima foto di Sergio Siano.

martedì 2 aprile 2013

l'incredibile vittoria di torino e le emozioni senza fine del napoli di mazzarri


Di Giuseppe Cascone

Torino-Napoli (3-5) di sabato sera è stata davvero una partita pazza come poche altre. A dieci minuti dalla fine gli azzurri erano sotto ma, non so perché, ero inspiegabilmente e irrazionalmente fiducioso. Guardavo la concentrazione di Cavani in attesa del calcio piazzato e pensavo: questo la butta dentro. Che partita!
Si aggiunge all'elenco delle indimenticabili gare da brivido del Napoli di Walter Mazzarri.
Il gol del definitivo 3-5 di Cavani
Ancora in preda alle emozioni, vado a memoria:
  • Fiorentina-Napoli 0-1 (Maggio al 90' dopo un rigore sbagliato all'80' da Quagliarella);
  • Napoli-Bologna 3-2 (da 1-2, Quagliarella al 87');
  • Napoli-Milan 2-2 (al 90' 0-2, Denis al 93');
  • Juventus-Napoli 2-3 (la partita!);
  • Napoli-Lecce 1-0 (Cavani al 93', che Natale!);
  • Steaua-Napoli 3-3 (Cavani al 97', da 3-0 sotto);
  • Napoli-Steaua 1-0 (Cavani al 93');
  • Cagliari-Napoli 3-3 (Bogliacino al 96');
  • Sampdoria-Napoli 1-2 (rimonta in 5 minuti dopo svantaggio al 79');
  • Napoli-Palermo 1-0 (Maggio al 94');
  • Cagliari-Napoli 0-1 (Lavezzi al 95)';
  • Napoli-Lazio 4-3 (Cavani all'87' dopo rimonta e contro rimonta);
  • Udinese-Napoli 2-2 (da 2-0 sotto, dopo rigore sbagliato di Cavani al 72');
  • Siena-Napoli 0-2 (bruttissima partita ma fondamentale vittoria con gol di Maggio dello 0-1 all'87': altro buon Natale);
  • Torino-Napoli 3-5 (3-2 all'80', con doppio regalo della difesa e ingenuità di Cavani sul rigore, che avrebbero depresso calciatori normali e non folli come i nostri).
Se aggiungiamo le grandi partite in Champions League, la finale di Coppa Italia vinta con la Juve di Conte (non so se mi spiego...), la vittoria a San Siro 0-3 con l'Inter, le triplette rifilate da Cavani a Juventus, Milan e Roma, penso che il Napoli di questi tre anni abbia regalato ai tifosi emozioni eguagliate soltanto dalla squadra che fu di Maradona. Ma, forse, a parte le irripetibili vittorie, nemmeno con questa densità e frequenza: perché in quella fase eravamo superiori agli altri.
Considerato, infine, che stiamo parlando del Napoli, non di una big del calcio italiano ed europeo (basta confrontare il tetto ingaggi), davvero non capisco, tracciando un bilancio complessivo, come si possa pretendere di più dai calciatori e da Mazzarri. Davvero, non me lo spiego...
Certo, questa squadra non ha vinto lo scudetto (anche se mi tengo stretta la Coppa Italia dell'Olimpico di Roma) ma rimarrà per sempre nel mio cuore. Non avrei mai immaginato che un altro Napoli potesse avvicinarsi a quello del grande Diego.
Per me, per la dose massiccia di adrenalina e di emozioni regalate, il Napoli 2010-2013 ci è riuscito.

sabato 16 marzo 2013

al cervantes di napoli un workshop fotografico sulle tracce di maradona

Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 16 marzo 2013)

Se il calcio è la religione laica del terzo millennio, Diego Armando Maradona può essere considerato il suo dio: d’altra parte, a Buenos Aires esiste persino una chiesa maradoniana. Ma è soprattutto a Napoli, più che altrove, che le tracce del passaggio del “pibe de oro” – sette intensissimi anni tra il 1984 e il 1991 – sono ancora ben visibili e continuano a marchiare a fuoco l’animo stesso della città, come dimostrato anche dal ribollente affetto tributatogli durante la recente visita-lampo dopo anni di assenza.
Da queste suggestioni tra sacro e profano, calcio e antropologia, mito e identità culturali glocal è partito alla fine dello scorso anno il fotografo argentino César Lucadamo per mettere in piedi un progetto di ricerca artistica che rintracciasse e rielaborasse i segni della presenza di Maradona nelle tre città-simbolo della sua vita e della sua carriera sportiva: Buenos Aires, Barcellona, Napoli. La prima tappa, a dicembre scorso, è stata proprio all’ombra del Vesuvio, dove Lucadamo ha già realizzato numerosi scatti, destinati a confluire in un percorso più articolato che, grazie al supporto dell’Instituto Cervantes partenopeo, avrà il suo momento culminante in un workshop di fotografia – le cui iscrizioni si sono aperte la settimana scorsa – in programma dal 2 al 5 maggio e intitolato “Sulle orme di Maradona a Napoli”.
Assieme al fotografo argentino, residente da 25 anni a Barcellona, sarà in città anche il filosofo Daniel Gamper, docente presso la Universidad autónoma de Barcelona e nipote di Joan Gamper, il mitico fondatore del Barça. A lui e a Marco Ottaiano saranno affidati i momenti teorici del workshop (tra football, opera d’arte e creazione letteraria), mentre Lucadamo guiderà gli iscritti tra le strade di Napoli “per provare a raccontare per immagini – anticipa il fotografo – il rapporto, ancora oggi fortissimo, fra la città e il campione argentino: un legame che si manifesta non soltanto nella passione sportiva ma anche e soprattutto nella vita quotidiana e persino nel sentimento religioso del popolo napoletano”. A workshop ultimato, una selezione dei migliori scatti diventerà materiale di una mostra fotografica al Cervantes.
Ma perché Maradona? “Perché – spiega César Lucadamo – è il personaggio “bigger than life” per eccellenza della nostra epoca: campione straordinario ma anche leader populista autoproclamato, idolo globale ipermediatico e simbolo vivente del riscatto dalla povertà, persona contraddittoria dall’ego smisurato ma anche talento unico e inimitabile della storia del calcio, santo ed eroe e al tempo stesso dannato e ribelle. E l’indagine fotografica sui mille volti di Maradona e su ciò che ha lasciato nei luoghi e nelle persone della sua vita mi ha portato inevitabilmente a Napoli”. Dove Lucadamo ha deciso di iniziare il suo percorso. “Mi sembrava appropriato, perché è qui – prosegue – che Maradona ha il radicamento più profondo, ancora oggi a più di vent’anni di distanza da quando giocava nel Napoli. In Argentina, infatti, è amato e odiato, idolatrato come calciatore ma anche discusso per gli errori commessi. A Barcellona, poi, la cultura borghese catalana lo ha respinto come un corpo estraneo. Soltanto Napoli, invece, ha saputo immedesimarsi in lui e nella sua voglia di rivalsa verso i potenti di turno, simboleggiati da rivali calcistiche settentrionali come Juventus o Milan. A Napoli, più che altrove, Maradona si è fatto dio e simbolo, fino a fondersi con l’architettura stessa della città, come ancora dimostrano i murales presenti su molti muri del centro e della periferia”.
Prima di affermarsi come fotografo, César Lucadamo è stato a sua volta calciatore professionista in Argentina, vestendo per due stagioni, 1983 e 1984, la gloriosa “camiseta” del Velez Sarsfield di Buenos Aires. “Ero un’ala sinistra agile e scattante. Poi, purtroppo, un brutto infortunio al ginocchio mi ha fatto smettere quasi subito. Non ho incontrato Maradona in campo, perché al tempo dei miei due anni nel campionato argentino lui si era trasferito al Barcellona. Però, ne ero letteralmente innamorato mentre ero nelle giovanili e lui infiammava le folle con le maglie dell’Argentinos Juniors e del Boca”. Probabilmente, è da allora che Lucadamo insegue il fantasma del campione che seppe farsi più napoletano dei napoletani.

il papa che ama il calcio: così jorge divenne tifoso del san lorenzo

Di Martin Mazur
(La Gazzetta dello Sport - 15 marzo 2013)

BUENOS AIRES - Dopo la sorpresa e l'emozione immensa, gli argentini escono di casa ed esultano nelle strade. Il Papa è argentino. La Cattedrale sulla Plaza de Mayo di Buenos Aires si riempie in pochi minuti. Suonano i clacson a Rosario e Tucuman. Nel centro di Cordoba si mescolano bandiere argentine e vaticane. A La Plata i bambini cantano davanti al Duomo: «Francisco Primero, te ama el mundo entero». La Villa 31, il quartiere strapovero vicino al lusso di Recoleta e Puerto Madero, piange davanti alla tv. Il Papa percorreva spesso quelle strade di fango e miseria. Parlava con i bambini e esultava ai loro gol nei potreros, i campetti di calcio. Ammiratore del bel gioco, ai colleghi spagnoli dichiarava la sua ammirazione per il Barcellona. Ma la sua grande passione, vissuta in termini moderati ma senza interruzioni, è sempre stata il San Lorenzo.
Corvi e santi, cuervos y santos: ecco i due soprannomi del San Lorenzo, la squadra fondata dal prete Lorenzo Massa per allontanare dalla strada i bimbi poveri. Il rossoblù della maglia è un omaggio a Maria Ausiliatrice. Almagro, Boedo e Flores sono i quartieri vicini dove si sviluppa il tango, la vera identità portegna. È lì che nasce Jorge Mario Bergoglio. I suoi genitori si erano conosciuti in chiesa. Entrambi tifavano per il San Lorenzo, il club del barrio. La scelta di una squadra, momento chiave nella vita di ogni ragazzo di Buenos Aires, per lui sarebbe diventata semplicissima. Nel club giocava a pallacanestro il papà che lo portava allo stadio - il Vecchio Gasometro - a godere con la squadra campione d'Argentina nel 1946. Ma il suo attacco favorito, che fino a poco tempo fa ancora recitava a memoria, è quello del '54: Berni, Col, Benavídez, Sanfilippo e Seoane. Lo racconta il giornalista che gli ha regalato il libro con la storia del San Lorenzo, Walter Nieto. «Eravamo andati a trovare un arcivescovo e io mi vergognavo del nostro regalo banale. Ma lui invece lo prese con affetto e parlò come un tifoso qualsiasi». Francesco finì l'incontro con una battuta: «Lo leggerò con tanta attenzione, sarà quasi come una seconda Bibbia».
Nel 2008, Bergoglio ha officiato la messa per i cent'anni del club. Ed è stato lui a benedire la nuova cappella del campo sportivo, pagata da Viggo Mortensen, il tifoso del San Lorenzo più famoso fino a mercoledì. In quella cappella ha cresimato due ragazzi che oggi fanno parte della rosa, Jonathan Pacheco e Angel Correa. Papa Francesco è tesserato del San Lorenzo da marzo 2008. Mercoledì, mentre il gabbiano si posava sul comignolo, al lotto argentino è uscito il numero 8235. La tessera di Bergoglio porta il numero 88235 (nella foto). È stato l'ultimo grande segno divino. Quattro mesi fa, Buenos Aires ha approvato la restituzione al club del terreno su cui sorgeva il Vecchio Gasometro. Lì verrà costruito il futuro stadio, con i soldi dei tifosi. Sarà il primo vero stadio del popolo. E secondo le voci, ora verrà chiamato Jorge Bergoglio.

martedì 5 marzo 2013

terra mia!!!

La spettacolare scenografia dei tifosi del Napoli allestita prima del match con la Juventus di venerdì scorso: il profilo del Vesuvio in eruzione, accompagnato dalla lapidaria scritta "Terra mia!!!". Ecco la migliore risposta agli odiosi cori razzisti che si sentono con sinistra regolarità in troppi stadi settentrionali, tra i quali quello dei bianconeri.

domenica 17 febbraio 2013

serie a: nel momento decisivo totti c'è, il napoli no...

Di Diego Del Pozzo

Ieri sera, nel vittorioso match casalingo contro la Juventus, Francesco Totti ha risposto alle critiche con la classe assoluta del campione vero (quale indubbiamente è). Con una prestazione da capitano vero (anzi, da bandiera vivente) e con un gol bellissimo ha trascinato la sua Roma oltre il momento difficile che sta(va) vivendo, riproponendola come autentica mina vagante - visto il suo potenziale - per il finale di campionato.
Oggi, invece, il Napoli non ha saputo fare altrettanto, in una gara che - dopo il passo falso romano dei bianconeri di Antonio Conte - andava soltanto vinta. A ritmi piuttosto lenti e con gambe decisamente tremanti, in ben 95 minuti gli uomini di Walter Mazzarri hanno prodotto la miseria di cinque tiri verso la porta della Sampdoria (due dei quali da fuori area). Così, lo 0-0 casalingo è stato un risultato inevitabile e, pur tra mille attenuanti (prime tra tutte, il vergognoso campo di gioco inadatto al calcio e la stanchezza per l'impegno di giovedì sera in Europa League), dice di una squadra non ancora matura per poter puntare al massimo obiettivo.
Mi sembra stupido e persino offensivo, in questa sede, scomodare il Napoli del primo scudetto, ma al fischio finale mi è venuto automatico un pensiero: al di là delle differenze di classe individuale, Maradona, Giordano e Bagni avrebbero affrontato un match di questo tipo con ben altro spirito, rabbia, grinta e killer instinct rispetto a quanto fatto dai timidi e tiepidi Hamsik, Cavani e Inler odierni.
Adesso, effettivamente, si fa molto più dura di quanto avevo pensato prima di oggi pomeriggio. Il Napoli dovrà andare a vincere a Udine (cosa molto complicata) e poi battere la Juve nello scontro diretto. E, anche così, resterà pur sempre un punto dietro ai bianconeri... A fine stagione, questi due punti lasciati oggi pomeriggio sull'indegno campo di patate del San Paolo potrebbero fare la differenza tra un ottimo piazzamento e il coronamento di un sogno. Vedremo...

martedì 8 gennaio 2013

serie a: napoli-roma 4-1 e mazzarri ha la meglio su zeman

Di Adriano Bacconi
(Il Mattino - 8 gennaio 2013)

Uno scontro anche filosofico era quello tra Zeman e Mazzarri. Da una parte l'integralismo del boemo, che partendo dal presupposto dell’assoluta validità dei propri principi mira a stabilire la propria egemonia in campo, dall'altro il pragmatismo del tecnico toscano, improntato a una visione realistica e pratica e finalizzato a ottenere risultati concreti. Il verdetto è stato inequivocabile, dando ragione alla duttilità e alla capacità di adattarsi all'avversario del Napoli.
La Roma ha provato a fare la partita creando anche alcune situazioni di pericolo. Ma non ha saputo trovare le contromisure per proteggersi dalle ripartenze micidiali dei partenopei. La squadra giallorossa persa palla sì è spesso allungata con i centrocampisti e la linea difensiva, costretta a scappare all'indietro per rincorrere i tagli di Cavani. Era auspicabile un atteggiamento più prudente di De Rossi davanti alla difesa. Il mediano della Nazionale avrebbe dovuto presidiare meglio il castello difensivo dalle scorribande di Pandev e Hamsik. Da questa lacuna nasce il gol dell'immediato vantaggio, realizzato con irrisoria facilità.
Retropassaggio di Gamberini a De Sanctis, Pjanic in pressing sul portiere, palla lunga a centrocampo impattata da Bradley. Sul controllo di Inler sia la mezzala americana che De Rossi avanzano perdendosi alle spalle proprio Pandev. Elementare il passaggio filtrante di Inler per il macedone. Il Napoli può così attaccare la profondità con la sua arma migliore: la velocità. Castan dopo un attimo di imbarazzo è costretto ad accorciare sul portatore di palla, Cavani decodifica immediatamente la situazione e attacca il corridoio dietro di lui. L'assist è preciso come la conclusione dell'uruguagio che di esterno destro infila Goicoechea.
La partita si è incanalata subito sui binari giusti per il Napoli ma questo non è sufficiente a spiegare il 4 a 1 finale. Per arrivare all'essenza del match dobbiamo tradurre il pragmatismo di Mazzarri in atti concreti. La convinzione del tecnico era che il tridente della Roma andasse frenato creando intorno ai suoi interpreti delle sistematiche superiorità numeriche. Da qui la scelta di «agire» col 4-4-2. In questo modo Totti da una parte e Lamela dall'altra avrebbero trovato oltre all'opposizione del terzino anche quella dell'esterno di parte (Maggio a destra e Hamsik a sinistra). Al centro la coppia Britos-Gamberini si sarebbe presa cura di Destro.
In questo modo Mazzarri ha ottenuto anche un altro risultato. Abbassare il baricentro della squadra, risucchiare i giallorossi nella propria metà campo e favorire le incursioni di Cavani in campo aperto. Un capolavoro tattico esaltato anche da una cattiveria agonistica che traspariva dalle espressioni facciali di De Sanctis, di Maggio, di Cavani, del mister stesso. Volti tirati, mandibole contratte, urla di incitamento o di richiamo, quel mix di tensione, aggressività, timore per l'avversario, voglia di vincere da tirar fuori nei momenti decisivi per dare quel qualcosa in più. Quel qualcosa che è mancato alla banda di Zeman. La Roma non ha retto l'urto emotivo con la partita nell'inizio delle due frazioni di gioco e nel finale. Un fattore mentale che, al contrario, Mazzarri cura molto attraverso la cura maniacale dei dettagli. La concentrazione sul match non arriva per grazia ricevuta ma con la consapevolezza di aver studiato al meglio tutte le specificità della gara e averne metabolizzato le soluzioni.
Ad esempio sono sicuro che la posizione di Hamsik come quarto di sinistra a centrocampo avesse lo scopo, oltre che di raddoppiare su Lamela o coprire l’avanzata di Piris, anche di sfruttare, nelle ripartenze, lo spazio alle spalle di Pjanic. Un esempio? 33' del primo tempo: Pjanic si inserisce ma Gamberini capisce tutto, la palla arriva ad Hamsik che la smista di prima su Pandev. Immediatamente si crea il «2 contro 2» centrale. Il Matador è stoppato da Castan. Zeman avrebbe fatto bene a rinunciare a Lamela, mettere Pjanic attaccante esterno e inserire Florenzi a metà campo sulle tracce di Hamsik. Ma avrebbe tradito il suo integralismo, non sia mai.

 © RIPRODUZIONE RISERVATA
Il sito ufficiale di Adriano Bacconi è www.adrianobacconi.it