giovedì 30 aprile 2009

champions league: sarà ancora chelsea-united?

Di Diego Del Pozzo

Le due semifinali d'andata di Champions League hanno detto quattro cose piuttosto chiare:
1) i campioni uscenti del Manchester United sono ancora la squadra da battere;
2) il Barcellona di Pep Guardiola ha sbattuto il muso contro la prima difesa organizzata che s'è trovata davanti;
3) Guus Hiddink ha reso il suo Chelsea un osso dannatamente duro da rosicchiare;
4) l'Arsenal di Arsène Wenger avrebbe bisogno anche in Europa della verve e della concretezza sotto rete del russo Arshavin, che purtroppo può schierare soltanto in campo domestico.
In realtà, i due confronti restano aperti a tutte le soluzioni in vista del ritorno, poiché si trovano di fronte quattro squadre capaci di tutto, nel bene e nel male. Ma è ovvio che, a questo punto, Chelsea e Manchester United sembrano favorite su Barcellona e Arsenal. I Blues di Hiddink, infatti, possono partire dal prezioso 0-0 conquistato al Camp Nou con un "Catenaccio" come non si vedeva da anni in campo internazionale; mentre i Red Devils potranno contare su una vittoria casalinga per 1-0, risicata quanto si vuole, che lascia ancora "in vita" i Gunners ma, al tempo stesso, li costringe a un successo all'Emirates Stadium con due reti di scarto, cosa non proprio facilissima contro lo United.
Certo, se gli uomini di Wenger decidessero, finalmente, di evitare di entrare in porta con la palla, a ogni azione, dopo diecimila passaggi, tirando invece qualche volta anche da fuori area o dopo "soli" due-tre scambi di prima, allora la situazione potrebbe cambiare, anche se resta difficile da credere che i Diavoli Rossi, in caso di bisogno, non riescano a mettere un pallone alle spalle di Almunia.
Da parte loro, invece, Chelsea e Barcellona sono pronte, nelle dichiarazioni dei rispettivi allenatori, a riproporre anche a campi invertiti il medesimo canovaccio tattico visto martedì sera in Catalogna: prepariamoci, dunque, a un inusuale "Catenaccio" da parte della squadra di casa, ben cosciente di come proprio quello sia l'unico modo per fermare gli scatenati giocolieri in maglia blaugrana.
In ogni caso, una cosa sembra certa: nonostante la tensione dovuta all'importanza della posta in palio, anche le semifinali di ritorno proporranno agli appassionati quanto di meglio può offrire oggi il calcio mondiale a livello di club.

mercoledì 29 aprile 2009

pensiero della settimana: catenaccio

Di Diego Del Pozzo

Guardando Barcellona-Chelsea di ieri sera, mi è venuta spontanea una domanda: ma perché quando le squadre italiane gioca(va)no all'estero alzando le barricate tutti si scandalizza(va)no al grido di "Catenaccio", mentre nel caso della squadra di Guus Hiddink si fa a gara nel lodarne la "perfetta organizzazione difensiva"?
Credo che il "Catenaccio" andrebbe sempre chiamato col suo nome...

martedì 28 aprile 2009

andrebbe messo fuori rosa

Di Diego Del Pozzo

Negli ultimi due mesi di campionato, il rendimento di Marek Hamsik è stato semplicemente vergognoso: lo slovacco non segna, non s'inserisce, non partecipa all'azione, si limita al passaggino verso il compagno più vicino, si nasconde tra le pieghe della partita, è abulico e svogliato, quasi un corpo estraneo rispetto al resto della squadra. E poiché le sue reali qualità sono ben altre e, nel suo caso, la scusa delle "notti brave" non regge (il ragazzo fa vita morigerata e da atleta), allora vuol dire che c'è qualche altra cosa sotto.
Io credo che Hamsik abbia deciso di non rispettare il contratto che lo lega al Napoli e farsi cedere a fine stagione, giocando però sempre peggio per far diminuire i rimpianti della piazza e, soprattutto, far calare sensibilmente il valore del suo cartellino (meno soldi al Napoli, più per il suo futuro ingaggio...).
Alla base di questa decisione, possono esserci tanti motivi, non ultimo - data l'evidente pochezza caratteriale del nostro (qui nella foto, intimidito da Gattuso in Milan-Napoli di quest'anno) - quello di giocare in un contesto ambientale più sereno e meno esplosivo. Hamsik, infatti, mi sembra il più scosso dalla terribile crisi che ha travolto il Napoli negli ultimi mesi; una crisi, lo ricordo, che è stata accompagnata da episodi inquietanti - soprattutto agli occhi di un ragazzo nato e cresciuto in Slovacchia e passato, in Italia, per la sola Brescia - come le minacce e i diktat degli ultrà e persino una serie di "strane" rapine ai danni di diversi giocatori della rosa napoletana (proprio Hamsik, a fine dicembre, si vide puntare una pistola in faccia in pieno centro cittadino).
Ebbene, se il centrocampista slovacco avesse davvero deciso di andar via da Napoli e avesse concordato il giochetto dello scarso impegno assieme al suo agente, al posto dei dirigenti partenopei agirei così (ovviamente, dopo aver avuto certezze sul comportamento del giocatore): metterei Marek Hamsik fuori rosa fino al termine della stagione e, d'accordo con l'allenatore, punterei su Datolo o chi altri farà ancora parte del progetto tecnico del prossimo anno. A fine campionato, poi, valuterei le offerte da parte degli eventuali acquirenti e, in caso di soddisfazione reciproca (ma solo in quel caso, perché un simile giocatore ventunenne non si svende...), cederei Hamsik. Se non vi fossero offerte soddisfacenti, costringerei il calciatore al rispetto del contratto, pena parecchi mesi da trascorrere ancora fuori rosa.
D'altra parte, il presidente Aurelio De Laurentiis ha sempre sostenuto che con lui i contratti si rispettano, quindi...

lunedì 27 aprile 2009

napoli: finalmente una vittoria!

Di Diego Del Pozzo

Ci sono voluti più di cento giorni, ma alla fine il Napoli è riuscito a ritrovare la vittoria nell'occasione più importante e prestigiosa della stagione: il posticipo domenicale contro la corazzata nerazzurra guidata da Josè Mourinho. Così, ieri sera, in un San Paolo gremito e gioiosamente rumoroso come ai bei tempi, Roberto Donadoni s'è potuto gustare il primo successo sulla panchina azzurra (nella foto qui sotto, il gol decisivo di Marcelo Zalayeta), grazie a una prova tutta cuore e grinta dei suoi uomini, in particolar modo di quelli appartenenti al "nucleo storico" sopravvissuto alle stagioni della rinascita in Serie C (su tutti, capitan Montervino e il rilanciato Amodio).
Certo, che l'Inter già da molto tempo fosse convinta di aver fatto suo questo campionato è cosa risaputa e piuttosto evidente. La spocchia e l'arroganza del proprio allenatore, infatti, devono aver fatto maturare nelle teste dei giocatori nerazzurri questa convinzione. Che, però, l'Inter affrontasse le ultime tre partite di campionato - Palermo in casa, Juventus e Napoli in trasferta - con la voglia e l'atteggiamento mentale tipici delle amichevoli di fine stagione era cosa certamente non preventivabile.
Di questo approccio dei nerazzurri s'è, senz'altro, giovato anche il Napoli di ieri sera, che ha impostato la partita su un ritmo elevato e su un pressing asfissiante a centrocampo da parte dei vari Blasi, Amodio, Mannini, Montervino, con frequenti ritorni anche delle due punte Lavezzi e Denis (poi sostituito dal decisivo Zalayeta), che comunque erano i primi a pressare la linea difensiva interista. Se a ciò si aggiunge l'ottima prova del pacchetto difensivo - in particolare, di un Santacroce alla migliore recita stagionale, capace di annullare Balotelli grazie a un match fatto tutto di anticipi e velocità - e un Navarro finalmente convincente, allora ecco spiegati i motivi del successo degli uomini di Donadoni su quelli di un Mourinho che, nelle interviste post-gara, ha accettato sportivamente la sconfitta e lodato l'atteggiamento del San Paolo ("Grande stadio dove giocare...", ha sottolineato il tecnico di Setubal).
Ovviamente, come ha ben evidenziato Donadoni al termine della partita, una vittoria ottenuta soprattutto grazie alle motivazioni (nella foto qui sotto, l'esultanza di Zalayeta dopo il suo bel gol) non deve far pensare che i problemi di questo Napoli siano superati. "Bisogna continuare a lavorare con serietà e impegno - ha spiegato l'allenatore bergamasco - mettendo in campo, ogni volta, le stesse motivazioni che hanno caratterizzato questa prova".
La vittoria di ieri sera, però, impone alcune riflessioni, che potranno tornare utili in questo finale di stagione e in vista del prossimo campionato:
1) Buona parte della responsabilità della crisi di questi ultimi mesi può essere spiegata col contesto ambientale negativo nel quale la squadra - giovane, inesperta e dai nervi poco saldi - s'è trovata ad agire: appena il San Paolo è tornato dalla parte giusta, infatti, i giocatori hanno saputo moltiplicare forza e convinzione, ritrovando anche la sicurezza smarrita;
2) Probabilmente, un Navarro ben allenato potrebbe persino rivelarsi un buon portiere: adesso sta alla società, dunque, trovare tecnici preparati in grado di fargli fare quei miglioramenti solo intravisti in questo primo anno di militanza azzurra (si pensi al laziale Muslera: a com'era quando arrivò in Italia - cioè un disastro - e a com'è attualmente...). In ogni caso, va fatta chiarezza sul ruolo di portiere, troppo importante per essere affrontato con la superficialità di questa stagione;
3) Hamsik continua a essere un corpo estraneo alla squadra: non si propone né s'inserisce più, si nasconde nelle pieghe della partita, si limita all'appoggio verso il compagno più vicino, è timido e svogliato. Se ha deciso di farsi vendere, allora la società lo accontenti; naturalmente, dietro adeguata contropartita tecnica ed economica. Comunque, i suoi limiti caratteriali sono abbastanza evidenti;
4) Visti i perduranti e strutturali problemi di Lavezzi in fase conclusiva, la capacità di Zalayeta di tornare e svariare su tutto il fronte offensivo e la naturale propensione di Denis allo scontro fisico e alla lotta nei pressi dell'area di rigore avversaria, forse si potrebbe iniziare a provare un tridente col Pocho più largo a destra, l'uruguayano partente da sinistra e il Tanque punta centrale pura: magari, in questo modo si potrebbe ridurre la sterilità offensiva del Napoli, in attesa degli acquisti promessi per l'anno prossimo;
5) Alcuni giocatori della rosa attuale, anche quelli finora poco utilizzati come Nicolas Amodio, potrebbero tornare utili anche il prossimo anno, naturalmente con ruoli di comprimari;
6) Fare chiarezza sul ruolo di Pier Paolo Marino e sul suo rapporto con Roberto Donadoni, in chiave di calciomercato e di gestione tecnica della squadra. Sarebbe altresì utile, in vista del prossimo anno, decidere finalmente di potenziare la struttura societaria, in primis con l'assunzione di un team manager di esperienza e carisma (Bruscolotti?), in grado di fare anche da filtro tra giocatori e piazza turbolenta in caso di risultati negativi e conseguenti problemi ambientali.
Adesso, dopo l'inevitabile iniezione di fiducia derivante dalla prestigiosa vittoria di ieri sera, il Napoli ha il dovere di concludere nel miglior modo possibile una stagione che, comunque, resta deludente rispetto a quelle che erano le ambiziose premesse.

sabato 25 aprile 2009

una targa... razzista?

Di Diego Del Pozzo

Oggi pomeriggio mi è capitato di "intercettare" nei siti delle agenzie di stampa una notizia che mi ha davvero lasciato senza parole: l'assessore alla cultura del Comune di Napoli, Nicola Oddati, ha consegnato una targa contro il razzismo all'attaccante dell'Inter Mario Balotelli, nel corso di una breve cerimonia svoltasi all'interno dell'albergo napoletano che ospita il ritiro dei nerazzurri, impegnati domani sera nel posticipo al San Paolo contro la squadra allenata da Roberto Donadoni.
Ma una targa per quale motivo? Perché Balotelli merita una targa più di ogni altro calciatore volgarmente insolentito negli stadi nostrani? Non è forse italiano come l'assessore Oddati o come chiunque di noi? A Materazzi - altro caso di interista fischiatissimo ovunque - l'assessore avrebbe mai pensato di dare una targa? Mi sembra che, in questo caso, la smania di "stare sulla notizia" da parte di un politico locale abbia prodotto quasi un caso di "razzismo inconscio" e, principalmente, di volgare provincialismo. Fossi stato in Balotelli, mi sarei profondamente offeso di fronte a una trovata di questo tipo.
Ancora maggiore sconcerto ho provato di fronte alle dichiarazioni dell'assessore comunale partenopeo. "Napoli - ha ricordato Oddati, nell'anno di grazia 2009 - è una città aperta e solidale, designata sede del Forum Universale delle Culture nel 2013, quindi sede della pace, dell'amicizia, della tolleranza e dell'intercultura; per questo la testimonianza a Mario Balotelli, estesa a tutti i ragazzi che vengono da altre aree del mondo e che giocano sui nostri campi, così come a tutti quelli che vivono in Italia, è un segnale importante".
Mi verrebbe quasi da pensare che l'assessore in questione del Comune di Napoli abbia voluto cogliere l'occasione per farsi un po' di pubblicità, tenendo anche presente che proprio lui è l'amministratore locale che sta seguendo in prima persona l'organizzazione del citato (da lui) Forum Universale delle Culture del 2013. In realtà, però, c'è un retroscena che mette tutta questa vicenda sotto una luce ben diversa; un retroscena - reale, non una battuta... - che salva "capra e cavoli": il buon Nicola Oddati, infatti, è interista sfegatato e voleva semplicemente incontrare Balotelli di persona, così s'è inventato questa targa, purtroppo di cattivissimo gusto.

venerdì 24 aprile 2009

pensiero della settimana: nervosismo

Di Diego Del Pozzo

Un paio d'ore fa l'Inter è stata eliminata meritatamente dalla Coppa Italia, la cui finale sarà disputata, dunque, da Sampdoria e Lazio.
Guardando la partita, soprattutto il secondo tempo, mi sono chiesto, come mi capita sempre più spesso guardando ultimamente le partite dei nerazzurri: ma perché l'Inter di Mourinho è sempre così nervosa? I suoi giocatori sembrano costantemente in guerra col mondo intero, anche quando non ve ne sarebbe motivo. Mah!

giovedì 23 aprile 2009

il ritorno di van gaal


Tra gli eventi calcistici dello scorso fine settimana spicca, senz'altro, il titolo di campione d'Olanda conquistato dall'Az Alkmaar di Louis Van Gaal con tre giornate di anticipo. Qui di seguito, ecco un bell'articolo dell'espertissimo Alec Cordolcini. (d.d.p.)
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Vi ricordate di Van Gaal?
L'ex professore è tornato in cattedra
Di Alec Cordolcini (Il Giornale - 22 aprile 2009)
L'ultima volta che l'Az Alkmaar vinse il campionato olandese Ronald Reagan era appena stato eletto Presidente degli Stati Uniti d'America, la Commodore aveva messo in commercio un nuovo modello di home computer, il Vic-20, e in Italia veniva formato il primo governo Spadolini. Era il 1981. Ventotto anni dopo la storia si è ripetuta, con il club di Alkmaar, cittadina del Noord Holland nota soprattutto per l'antichissima sagra del formaggio, di nuovo sul gradino più alto della Eredivisie olandese, notoriamente uno dei campionati più a senso unico d'Europa. A volte dunque ritornano. Non solo le squadre, ma anche gli allenatori.
Quello dell'Az risponde al nome di Louis van Gaal, uno degli ultimi profeti del calcio totale made in Holland che negli anni Novanta conquistò la Champions League con l'Ajax dei vari Davids, Kluivert, Seedorf, Overmars, Van der Sar, Litmanen (1-0 in finale al Milan di Capello, stagione 94/95) prima di approdare a Barcellona e mettere in cassaforte altri due titoli nazionali. Poi, con l'avvento del nuovo millennio, il flusso magico sembrò esaurirsi: mancata qualificazione ai Mondiali 2002 con l'Olanda, mesto (e modesto) ritorno a Barcellona. Oggi si cambia registro.
L'Az Alkmaar è un club pressoché sconosciuto al di fuori dei confini d'Olanda, ma in realtà è una società abbiente (relativamente al contesto olandese) che da anni ha intrapreso un percorso di progressivo sviluppo finalizzato a trasformare il club in una big d'Olanda. Un progetto ambizioso varato sul finire degli anni Novanta dal presidente Dick Scheringa, proprietario dell'istituto di credito DSB Bank, e che fino ad oggi aveva regalato piazzamenti d'onore (semifinali di Coppa Uefa nel 2005, secondo posto in campionato nel 2006), fallendo però sempre il bersaglio grosso. Con Van Gaal è arrivata la quadratura del cerchio.
Il successo dell'Az rappresenta anche una lezione agli isterismi e alle fregole del tutto-e-subito che caratterizzano il calcio moderno. Due anni fa l'Az di Van Gaal aveva perso il campionato all'ultima giornata al termine di una strepitosa cavalcata; nel 2008 la stessa squadra aveva chiuso con un rovinoso 11° posto; l'attuale stagione era invece iniziata con due sconfitte consecutive. Risultati che non hanno mai fatto vacillare la fiducia di Scheringa nel progetto di Van Gaal, anche quando buona parte dei tifosi ne chiedeva l'esonero. Gli stessi che domenica si sono riversati nelle strade di Alkmaar per festeggiare un titolo nazionale conquistato, a dispetto della sconfitta casalinga (1-2) patita contro il Vitesse, con tre giornate di anticipo.
Del resto l'Az non è una squadra composta da illustri sconosciuti, annoverando in rosa diversi nazionali: olandesi (De Zeeuw, Schaars, Jaliens), belgi (Dembele - vicinissimo alla firma con un grande club italiano - Pocognoli, Martens), argentini (il portiere Romero), messicani (Moreno), estoni (Klavan) e marocchini (El Hamdaoui, capocannoniere del campionato). Ma c'è anche un pizzico di Italia con Graziano Pellè, attaccante ex Lecce, Catania, Crotone e Cesena alla sua seconda stagione in Olanda. Quest'anno tre gol in 19 partite, spesso come subentrato. L'impiego a singhiozzo sembrava preparargli il terreno per il rientro in Italia. Invece a settembre giocherà in Champions League.

mercoledì 22 aprile 2009

liverpool-arsenal 4-4!!!

Di Diego Del Pozzo

Che spettacolo meraviglioso è andato in scena ieri sera ad Anfield, dove il Liverpool e l'Arsenal hanno davvero onorato il gioco del calcio con un pirotecnico ed emozionantissimo 4-4, valido come primo posticipo della 33a giornata di Premier League (l'altro è in programma stasera tra Chelsea ed Everton, gustoso anticipo della prossima finale di F.A. Cup).
Il match tra Reds e Gunners è stato veramente straordinario e si candida fin d'ora al "titolo" di "partita più bella della stagione". A colpire sono stati soprattutto la velocità del gioco, la feroce intensità, il ritmo frenetico ma mai confuso, i continui capovolgimenti di fronte e di punteggio. Tutto ciò, naturalmente, è stato reso ancora più memorabile dalle tante giocate pregevoli di alcuni protagonisti, in particolar modo Kuyt, Fernando Torres e Benayoun da una parte e Arshavin (qui, esultante, nelle due foto), Nasri e Fabregas dall'altra. Destinata alla storia è, senz'altro, la prestazione del russo ex Zenit San Pietroburgo, autore di tutti e quattro i gol dell'Arsenal.
Ovviamente, a rendere indimenticabile la partita di ieri sera ha contribuito in modo massiccio il contesto ambientale, assolutamente da pelle d'oca, come sempre negli stadi inglesi e, in particolare, in quelli grondanti storia e tradizione come Anfield. Mi resterà per sempre nella memoria, in particolare, il coro dell'intero stadio - il classico inno You'll Never Walk Alone - per spingere letteralmente il Liverpool al pareggio, prima sul 2-3 Arsenal e poi ancora sul 3-4: con tifosi così, i calciatori in campo devono sentirsi davvero invincibili!
Ma le emozioni erano iniziate già prima del fischio d'inizio, col momento di grande commozione collettiva in occasione del gemellaggio tra le due società a supporto del grande doppio ex Ray Kennedy, attualmente malato di Parkinson e presente in tribuna per raccogliere il coloratissimo e sentitissimo omaggio delle due tifoserie.
Guardando lo spettacolo di ieri sera (nella foto qui sopra, uno dei due gol di Fernando Torres; sotto, ancora l'esultanza di Arshavin) e ripensando al vergognoso contesto ambientale e alle assurde nevrosi in campo che hanno caratterizzato il recente Juventus-Inter, non ho potuto far altro che sospirare. Ah, ho pensato, come sarebbe bello se anche in Italia il calcio fosse vissuto allo stesso modo...
LIVERPOOL-ARSENAL 4-4
Marcatori: 36' Arshavin (A), 49' Torres (L), 56' Benayoun (L), 67' Arshavin (A), 70' Arshavin (A), 72' Torres (L), 91' Arshavin (A), 93' Benayoun (L).
Liverpool (4-2-3-1): Reina 6; Arbeloa 6, Carragher 6.5, Agger 6.5, Aurelio 6; Xabi Alonso 7, Mascherano 7; Kuyt 7.5 (86' El Zhar sv), Benayoun 8, Riera 6.5 (74' Babel sv); Torres 8.
A disposizione: Cavalieri, Skrtel, Dossena, Lucas, N'Gog.
All. Benitez 7.5.
Arsenal (4-2-3-1): Fabianski 7; Sagna 6, Tourè 6.5, Silvestre 6, Gibbs 6.5; Song 6.5, Denilson 6 (65' Walcott 7); Nasri 7, Fabregas 7.5, Arshavin 9; Bendtner 6 (90' Diaby sv).
A disposizione: Mannone, Ebouè, Ramsey, Vela.
All. Wenger 7.5.
Arbitro: Webb 6.5. Ammoniti: Sagna (A). Espulsi: nessuno.

martedì 21 aprile 2009

diciott'anni...

Di Diego Del Pozzo

Non vorrei che anche stavolta c'entrasse "lo zampino" di Josè Mourinho. Nella vicenda dei vergognosi cori razzisti che il tifo juventino ha dedicato, per l'intera partita di sabato sera, alla giovane stella dell'Inter Mario Balotelli c'è, infatti, un aspetto che mi ha molto colpito e che, francamente, ancora non riesco a spiegarmi completamente.
Si tratta dell'ingiustificato ritardo col quale l'Inter è ritornata in campo dopo l'intervallo tra primo e secondo tempo, con la Juventus già schierata da tempo in mezzo al campo, i guardalinee mandati negli spogliatoi alla ricerca dei nerazzurri e l'intero stadio a fischiare e ululare. Ebbene, gli uomini di Mourinho sono rientrati in campo con estrema lentezza, che m'è subito parsa studiata ad arte dal tecnico portoghese, probabilmente per accendere ulteriormente il clima in vista della ripresa. Penultimo a rientrare in campo, tra i fischi, è stato proprio don Josè da Setubal; ma - sorpresa delle sorprese - ultimissimo a sbucare dal tunnel degli spogliatoi, con fare ciondolante e un po' indolente, è stato il diciottenne Mario Balotelli, completamente solo e senza la "protezione" di nessun compagno più esperto. E, in quel preciso momento, sugli spalti si è scatenato "l'inferno", con ulteriore aumento dei decibel e della volgarità degli insulti. Naturalmente, è inutile sottolineare che l'odioso atteggiamento dell'intero stadio torinese era iniziato già da molto prima, fin dal fischio d'inizio. Ma, appunto per questo, perché a Balotelli è stato permesso - o suggerito? - questo stranissimo ingresso ritardato in solitaria, dopo l'intervallo?
Nel corso del secondo tempo, poi, quasi come se qualcuno gli avesse spinto il pulsante di un interruttore sulla schiena, il diciottenne attaccante ha segnato il gol del vantaggio nerazzurro (e non è stato ammonito, nonostante la scomposta esultanza fuori campo, addirittura appeso alla recinzione della tribuna dei suoi tifosi), ha irriso costantemente gli avversari, ha protestato di continuo con l'arbitro (spesso per falli suoi su avversari che, a terra doloranti, venivano regolarmente insolentiti...), ha causato l'espulsione di Tiago al quale è riuscito a far saltare i nervi, è stato finalmente ammonito dopo l'ennesima protesta e offesa ad arbitro e avversari.
Tutto ciò, secondo me, può essere soltanto parzialmente collegato alle eventuali pressioni derivategli dai continui - e, lo ripeto, vergognosi - cori razzisti dei quali è stato oggetto per l'intera serata. Balotelli, infatti, non mi sembra uno che soffra la pressione ma, anzi, mi ha sempre dato l'impressione di un giocatore che le pressioni se le va addirittura a cercare, le ingigantisce, per poi gestirle ottimamente dal punto di vista calcistico, un po' meno da quello caratteriale.
Perché all'inizio ho ipotizzato "lo zampino" di Mourinho, dunque? Bè, non vorrei che dietro questo eccesso di adrenalina e il reiterato e francamente eccessivo sbandieramento della propria personalità - che, secondo me, va mostrata ma mai sbattuta in faccia, soprattutto se sei un grande campione... - ci fossero i famosi giochetti mentali del tecnico portoghese, quei mind games che, magari, contribuiscono a portarti alla vittoria calcistica ma che sulla corretta crescita di un ragazzino diciottenne, già di suo un po' presuntuoso e problematico, potrebbero avere effetti deleteri decisivi per la sua carriera e la sua vita adulta.
Ovviamente, spero davvero di sbagliarmi...

lunedì 20 aprile 2009

ronaldo trascina il "timao" in finale

Di Diego Del Pozzo

Stavolta non ha soltanto segnato l'ennesimo gol da quando è tornato a calcare i campi di calcio, ma ha realizzato la rete decisiva per l'accesso in finale della propria squadra. Sì, il "fenomeno" è ancora vivo e, pur senza esibire lo scatto mortifero di un tempo, continua a fare la differenza, in positivo, per il suo Corinthians, trascinato di peso, ieri sera, alla finale del Campionato Paulista, grazie a un passaggio smarcante e a un gol personale nella semifinale di ritorno vinta 2-0 in trasferta contro il San Paolo.
In finale, il "Timao" troverà il Santos, che nell'altra semifinale ha avuto la meglio sul Palmeiras di Vanderlei Luxemburgo. Sarà una sfida tutta alvi-negra, dunque, quella che deciderà il Paulistao 2009, con tanti giocatori interessanti in campo: oltre a Ronaldo, Dentinho e il portiere Felipe tra le fila del Corinthians; l'attesissimo Neymar e Kleber Pereira tra quelle del Santos.
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Ronaldo come ai bei tempi. Gol e Corinthians in finale
Di Carlo Pizzigoni (www.gazzetta.it - 19 aprile 2009)
SAN PAOLO (Bra), 19 aprile 2009 - Todo Poderoso! Onnipotente. Di solito è così che i tifosi del Corinthians amano qualificare la propria squadra. Nella semifinale vinta oggi a Morumbi, quel Todo Poderoso è ancora lui, Ronaldo Luís Nazário de Lima. Si vede poco, pochissimo, gioca sostanzialmente da suggeritore, nel primo tempo appare esclusivamente per effettuare l'unico tiro pericoloso del Timão verso la porta del San Paolo, al 32'. Ma attorno a questo giocatore c'è una luce diversa, gli dei del calcio, quand'è in campo, tifano per lui. Nel secondo tempo offre un assist che mette Jorge Henrique davanti alla porta (traversa e poi gol di Douglas, al primo centro in campionato) e pochi minuti dopo, in contropiede, senza una super-progressione ma sempre con la seta sulla scarpino, scavalca il sostituto dell'infortunato Rogerio Ceni, Bosco, e disegna il due sul tabellino, consegnando così la finale al Corinthians, che già aveva vinto la gara d'andata 2-1.
FELIPE E DENTINHO - Prima delle "apparizioni" del Fenomeno, per salvare il Corinthians, un po' troppo prudente e decisamente passivo in mezzo al campo, c'è stato ancora bisogno di una grande prestazione del portiere Felipe, numero 1 in grandissima crescita e già consigliato da Giovane Elber, ex del Bayern e ora osservatore dei bavaresi. Grande fisico, agile tra i pali, buono anche nelle uscite, il portiere carioca formato nelle giovanili del Vitória Bahia ha 25 anni e probabilmente un futuro dall'altra parte dell'Atlantico. Una partita difensiva come quella organizzata da Mano Menezes ha un po' penalizzato il giovane Dentinho (classe 1989) che, tuttavia, in alcune giocate ha mostrato buonissime potenzialità.
SAN PAOLO A CASA - Lascia la competizione quindi il San Paolo, che ha comunque la giustificazione di aver perso molte energie in Libertadores: un primo tempo dominato, benissimo fino ai sedici metri, ma polveri bagnate davanti, specie per il centravanti Washington. Sulla traversa di Borges, al principio della seconda parte, si è esaurito il sogno Tricolor, che ha visto un buon movimento di Dagoberto e Hernanes ma poca determinazione.
COLPO SANTOS - Sarà una finale alvi-negra dato che il Timão troverà il Santos nella gara decisiva del campionato Paulista. Dopo una buona prova a Vila Belmiro, il Palmeiras di Vanderlei Luxemburgo, che aveva dominato la prima fase del torneo, ha ceduto ieri, sorprendentemente, davanti al proprio pubblico. Al Palestra Italia, infatti è il Santos ha tenere il ritmo di gioco che maggiormente gli aggrada, subisce pochissimo, e trova il gol in contropiede con l'ex vascaino Madson, a seguito di una grande intuizione di Neymar, ancora decisivo. Il giovane numero 7, classe 1992, erede designato di Robinho, è poi protagonista dell'azione che sostanzialmente mette in ghiaccio il match: bel movimento senza palla, ricezione dietro la linea della difesa e fallo subito davanti alla porta, rigore e espulsione (doppio giallo) del centrale difensivo Maurício Ramos. Il 2-0 di Kleber Pereira dagli undici metri porta il Santos in finale, anche perché dopo il k.o. dell'andata il Verdao dovrebbe realizzare tre gol: si ferma a uno, goffa concessione del portiere Fábio Costa, autore di una papera da vergogna sul tiro da fuori di Pierre. Deludente prova di Keirrison: all'attaccante del Palmeiras, seguito da diversi club europei, arrivano pochi palloni (e tra i suoi piedi fanno una brutta fine ) e tanti fischi dopo l'ora di gioco: ai torceadores in verde è piaciuta punto la sua prova.
FLAMENGO OK - Davanti al solito spettacolo magnifico del Maracanã riempito con quasi novantamila spettatori, il Flamengo si aggiudica la Taça Rio del Campionato Carioca dopo una brutta gara contro il Botafogo, e grazie a un'autorete di Emerson. Partitaccia nervosa in cui si salvano giusto Ibson e Juan nel Mengo e il solo Maicosuel nell'ex squadra di Garrincha. Nel match c'è stata la sperimentazione dell'"arbitro d'area", nei pressi della porta. Grazie a questa vittoria il Flamengo disputerà la finale del Campionato Carioca contro la vincente della prima parte del torneo (la Taça Guanabara), che è proprio il Botafogo. Dunque, bis definitivo con una finale di andata e ritorno, che si giocherà nelle prossime due domeniche.

domenica 19 aprile 2009

il decalogo del week-end

Di Diego Del Pozzo

Che cosa ha detto questo fine settimana, dal punto di vista calcistico? Proviamo a mettere uno dopo l'altro, brevemente, dieci argomenti utili per una riflessione e/o discussione:
1) Nell'amichevole di fine stagione tra Juventus e Inter, la squadra nettamente più forte ha pagato dazio (parzialmente) a quella con le maggiori motivazioni. Il punteggio finale (1-1), comunque, almeno salva l'onore dei bianconeri e del campionato italiano;
2) Mario Balotelli (nella foto qui sotto) si conferma grandissimo giocatore e, al tempo stesso, pericolo pubblico per se stesso e per gli altri: alterna, infatti, giocate di gran classe a idiozie inspiegabili. E tutto ciò fa davvero rabbia;
3) I troppi elogi hanno fatto male al Genoa, squadra forte ma ancora non abituata a gestire pressioni e attenzioni mediatiche come quelle dell'ultima settimana;
4) Pippo Inzaghi - tripletta anche stasera, contro il derelitto Torino - è davvero eterno e, con i suoi gol, sta guidando il Milan - in netto crescendo - al secondo posto: la Juve è già ripresa e c'è ancora da giocare lo scontro diretto a San Siro;
5) Il Chievo di Mimmo Di Carlo continua a incantare e, soprattutto, a raccogliere risultati sorprendenti: Pinzi è la sua "mente", Pellissier il suo "braccio armato". Una regolatina alla difesa, il buon Rigoni piazzato davanti agli stopper e un partner d'attacco per il centravanti valdostano sono le semplici ma efficacissime mosse che hanno cambiato totalmente la stagione dei veronesi;
6) Probabilmente Marek Hamsik ha deciso di far scendere la propria quotazione di mercato, in modo da farsi acquistare più facilmente da qualcuna delle grandi europee che lo seguono da tempo. Soltanto così si spiega la paurosa involuzione degli ultimi mesi: lo slovacco è svogliato, timido, perennemente fuori dal cuore del gioco. E il Napoli - sconfitto 2-0 dall'ottimo Cagliari di Max Allegri (nella foto qui sotto, una fase del match) - segue senza reagire la parabola del suo centrocampista;
7) Lecce e Bologna sembrano già in Serie B, grazie a cambi di allenatore scellerati: Beretta e Mihailovic, infatti, non avrebbero fatto certamente peggio dei loro improvvisati sostituti. In particolare, il Lecce è crollato letteralmente, dopo il passaggio da Beretta a De Canio;
8) La Coppa d'Inghilterra andrà alla vincente tra Chelsea ed Everton. In semifinale, i Blues di Guus Hiddink hanno avuto la meglio, ieri, sull'Arsenal per 2-1, rimontando lo svantaggio firmato Walcott con i gol di Malouda e Drogba (nella foto qui sotto, la sua esultanza dopo il gol decisivo). Nell'altro match, i Toffees di David Moyes, invece, hanno battuto ai calci di rigore un Manchester United sceso in campo con una formazione giovanissima (Anderson, i gemelli Da Silva, Gibson, Welbeck e Macheda titolari) che, comunque, è riuscita a tenere in piedi la gara fino al momento dei penalties. Mi fa particolarmente piacere, quattordici anni dopo l'ultima finale disputata (e vinta), l'approdo in finale dell'Everton, squadra di grande tradizione e dignità;
9) La Bundesliga continua a proporre un'affascinante "ammucchiata" ai vertici della classifica: Wolfsburg primo, Bayern e Amburgo secondi, poi Herta Berlino e Stoccarda. Tutte in soli sei punti;
10) In Olanda, L'AZ Alkmaar di Louis Van Gaal ha conquistato il campionato - letteralmente dominato, dall'inizio alla fine - con ben tre giornate di anticipo, nonostante l'incredibile sconfitta casalinga di sabato contro il Vitesse Arnhem. Le altre due presunte contendenti per il titolo, il Twente e l'Ajax allenata da Marco Van Basten, hanno perso, infatti, le loro partite, restando rispettivamente a undici e dodici punti. In particolare, l'Ajax è stata letteralmente distrutta (6-2!) dai campioni uscenti del PSV Eindhoven, che così si sono scuciti lo scudetto dal petto con la soddisfazione di giocare un brutto scherzetto agli storici rivali.

sabato 18 aprile 2009

f.a. cup: è l'ora delle semifinali


Assodato che la supersfida italiana tra Juventus e Inter si è trasformata in poco più di una amichevole di lusso, i momenti più attesi del fine settimana sono, certamente, quelli legati alle semifinali della Coppa d'Inghilterra, tutte e due in programma a Wembley. Tra meno di un paio d'ore si affronteranno Arsenal e Chelsea, mentre domani pomeriggio toccherà a Manchester United ed Everton. Qui di seguito, la dettagliata presentazione delle due partite in uno stralcio dell'articolo di Silvio Di Fede tratto dal suo blog. (d.d.p.)
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Di Silvio Di Fede (17 aprile 2009)
"[...] Sarà un weekend di fuoco quello del calcio inglese, visto che verranno aperte le porte di Wembley per ospitare le due semifinali di FA Cup: in realtà, non tutti apprezzano la scelta di ospitare a Wembley anche le due semifinali e non soltanto la finale, rimpiangendo le semifinali giocate in campi neutri come Villa Park o Old Trafford (due stadi molto spesso utilizzati per il penultimo atto della competizione).
Ad aprire il quadro delle semifinali sabato pomeriggio sarà il derby londinese tra due squadre piuttosto soddisfatte dalla settimana che le ha portate ad un'altra semifinale, quella di Champions League. L'Arsenal gioca la sua 26esima semifinale di FA Cup, un record che divide con il Manchester United, e punta a disputare la sua 18esima finale in questa competizione, ma prima deve confermare la tradizione che lo vede vincente contro il Chelsea da sei sfide consecutive di FA Cup (escludendo i pareggi che poi hanno portati ai replay dei vari turni): infatti, l'ultima volta che i Blues ebbero la meglio sui Gunners in FA Cup fu nel lontano 1947, grazie ad una doppietta di Tommy Lawton nel secondo replay di quel terzo turno.
Si affrontano però due squadre che recentemente hanno mostrato grande confidenza con questa competizione, visto che negli ultimi 12 anni ben 7 volte il trofeo è stato alzato da una di queste due squadre: i Blues vinsero la prima finale di FA Cup disputata nel nuovo Wembley, quella del 2007 contro il Manchester United, mentre i Gunners hanno conquistato la coppa per l'ultima volta nel 2005 (proprio battendo il Manchester United in finale ai calci di rigore) e proprio questo rimane l'ultimo trofeo messo in bacheca dalla squadra di Wenger. Il manager alsaziano però ci tiene a diventare il manager più vincente nella storia della competizione, visto che un eventuale cammino vincente lo porterebbe a conquistare la FA Cup per la quinta volta, raggiungendo il record di quell'Alex Ferguson che affronterà più volte in questo finale di stagione.
L'Arsenal allora vuole confermare i progressi mostrati negli ultimi match e chiudere in crescendo una stagione partita malissimo, ma dovrà affrontare questa semifinale in piena emergenza difensiva: con le assenze confermate dei vari Almunia, Gallas, Djourou e Clichy, altri due difensori sono in dubbio visto che Gibbs è alle prese con un problema all'inguine mentre Sagna non ha ancora messo alle spalle quell'influenza che gli ha impedito di scendere in campo mercoledì sera contro il Villarreal e allora in caso di assenza di entrambi la soluzione di emergenza sarebbe l'arretramento in difesa di Song, con Silvestre terzino sinistro. Dovrebbe esserci anche una leggera rotazione negli altri ruoli, con Eduardo che spera in un posto da titolare, mentre pare certa la presenza dal primo minuto di Andrei Arshavin, che se la vedrà contro quel Guus Hiddink che è il suo ct in Nazionale.
Il Chelsea non ha grandi problemi di infortuni e dovrebbe apportare pochi cambi alla formazione che ha pareggiato 4-4 contro il Liverpool in settimana, con le uniche novità che potrebbero esser rappresentate dal rientro gradito di Terry (che era squalificato in Champions League) e dall'utilizzo dell'ex di giornata Anelka, con Alex e Kalou che dovrebbero scivolare in panchina. Sicuramente in campo invece Ashley Cole, ex molto polemico e non certo stimato dai supporters dell'Arsenal.
La seconda semifinale di FA Cup si giocherà domenica pomeriggio e avrà un certo sapore di dolce deja-vu per l'Everton: Wembley e il Manchester United non possono che far ritornare alla mente la finale del 1995, quando una rete di Paul Rideout regalò ai Toffees la loro quinta FA Cup della storia. Da quel momento in poi l'Everton ha abbastanza faticato in questa competizione, arrivando al massimo ai quarti di finale nel 1999 e nel 2002 prima di intraprendere questo gran cammino nella competizione di quest'anno, visto che per arrivare al varco della semifinale la squadra di Moyes dopo un terzo turno soft (ma neanche tanto alla fin fine) contro il Macclesfield ha dovuto superare squadre importanti come il Liverpool e l'Aston Villa, per poi avere la meglio nei quarti di finale sul Middlesbrough. La 24esima semifinale di FA Cup della storia dei Toffees è anche il match più importante della carriera di Moyes, come lo stesso manager ha dichiarato nelle dichiarazioni prepartita che, insolitamente per quanto riguarda il calcio inglese, hanno visto molto discussa anche la designazione arbitrale per questo match: in primo luogo ad arbitrare questo match doveva essere Steve Bennett, che però è influenzato e ha costretto la Federazione ad una nuova designazione che ha riguardato Mike Riley, non certo un arbitro con precedenti confortanti per l'Everton.
Più che dell'arbitro, però, i Toffees avranno da preoccuparsi di un Manchester United apparso più vicino ai propri livelli nell'ultimo match contro il Porto e pronto a non lasciare nulla di intentato anche in FA Cup, in quella che è la 26esima semifinale della storia dei Red Devils, un record (diviso con l'Arsenal) per una squadra che d'altronde ha alzato questo trofeo per il maggior numero di volte, ben 11 volte, cinque delle quali con Ferguson in panchina.
Ad aiutare la causa del Manchester United c'è sicuramente la ricomposizione della coppia centrale Ferdinand-Vidic, che contro il Porto ha dato la sensazione di aver ridato solidità alla fase difensiva e che dovrebbe essere confermata anche in questo match, nonostante appaia probabile una certa rotazione di Ferguson che difficilmente riconfermerà un Berbatov rientrato di recente da un infortunio e che ha giocato da titolare entrambe le ultime due partite. Sarà ancora assente Fletcher per un problema agli adduttori e allora è probabile la conferma da titolare di Anderson, probabilmente al fianco di Paul Scholes anche per dare un po' di riposo a Michael Carrick. Possibile anche il ritorno da titolare di Rafael Da Silva, mentre Ferguson potrebbe dare una nuova chance importante a Tevez.
Nella sua prima apparizione al nuovo Wembley, l'Everton dovrebbe confermare la formazione che tanto bene sta facendo nelle ultime settimane, con Fellaini alle spalle dell'unica punta e Cahill a fungere da interno di centrocampo, anche se Moyes dovrà fare a meno di un Jo ineleggibile per la competizione e dovrà puntare sull'ex di giornata Saha. Importante però è il recupero di Yobo per la panchina, dove potrebbe esserci un posto anche per Vaughan, che quest'anno non s'è mai visto per un grave problema alla cartilagine [...]".

venerdì 17 aprile 2009

geografia del calcio all'università: garagulp!?!


Questa è straordinaria e davvero meritevole di essere segnalata anche in questa sede. Riprendo la notizia - purtroppo vera - dal blog Indiscreto di Stefano Olivari. (d.d.p.)
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Di Stefano Olivari (Indiscreto - 16 aprile 2009)
Chi l'ha detto che l'università italiana è solo un parcheggio per medio borghesi che non si vogliono sporcare le mani? Chiunque sia stato, si sbagliava. Potremmo citare gloriosi episodi del passato, come quando alla Bocconi nel 1988 partecipammo ad un incontro con Filippo Galli e Giulio Nuciari come relatori (il tema era 'fare squadra', cosa che oggi è stata trasformata in 'team building') o a seminari sul design Fiat della durata di dieci minuti (comunque sempre troppi per il design Fiat dell'epoca), ma preferiamo il presente. La risposta è arrivata oggi da La Sapienza di Roma, dove presso l'aula di Geografia della Facoltà di Lettere e Filosofia è stato inaugurato alla presenza di Abete l'indispensabile corso di 'Geografia del Calcio'. Non siamo ancora in possesso del programma, ma siamo in grado di anticipare che l'Atalanta è di Bergamo e la Torres di Sassari (solo nel corso avanzato viene affrontato lo spinoso tema Rondinella-Firenze). L'aggravante del tutto è che questo corso non è una semplice perdita di tempo e di soldi, ma darà anche agli 'studenti' due crediti formativi. Non solo: nel quadro del corso è anche prevista anche un'escursione di mezza giornata presso uno dei centri tecnici della Figc presenti a Roma (magari con colazione al sacco). Vorremmo dire che ai nostri tempi l'università era una cosa seria, ma non è vero.

giovedì 16 aprile 2009

champions: tre inglesi contro il barcellona

Di Diego Del Pozzo

Il ritorno dei quarti di finale della Champions League ha ribadito la netta superiorità del calcio inglese su quello del resto del Continente. Tre semifinaliste su quattro, infatti, vengono da oltre Manica: Chelsea, Arsenal e i campioni uscenti del Manchester United, che - come avevo pronosticato anch'io - riescono a espugnare lo stadio del Porto e a eliminare i lusitani che tanto li avevano fatti soffrire all'andata. L'unica superstite del resto d'Europa è il Barcellona stellare di Pep Guardiola, squadra che, a questo punto, si divide i favori del pronostico proprio assieme ai Red Devils di sir Alex Ferguson.
Tra fine aprile e inizio maggio, dunque, ci aspettano due semifinali di grande fascino: da un lato, Chelsea - Barcellona; dall'altro, Manchester United - Arsenal. E proprio i Gunners - tra campioni e vicecampioni uscenti e spagnoli che hanno incantato tutti con il loro gioco sontuoso ed efficace - saranno la "mina vagante" del turno di semifinale: gli uomini di Arsène Wenger, infatti, arrivano a questo momento della stagione sospinti da una straordinaria condizione fisico-atletica e psicologica (nella foto qui sopra, il balletto di festeggiamento dopo uno dei tre gol con i quali hanno sconfitto il Villareal), avendo peraltro recuperato tutti i loro illustri infortunati (Fabregas, Adebayor e Walcott, tutti decisivi in queste settimane). Fossi in Ferguson, dunque, non sarei troppo soddisfatto dell'accoppiamento con l'Arsenal, anche se arrivati alle semifinali, ormai, un avversario vale l'altro.
Certo che, per come concepiscono il calcio e poi lo mettono in pratica, una finale tra Barcellona e Arsenal sarebbe davvero un inno al bel gioco. Con i Gunners, tra l'altro, che in questo caso avrebbero la ghiotta occasione di "vendicare" la sconfitta del 2005-2006, 2-1 nella finale giocata a Parigi, proprio contro i Blaugrana catalani.

mercoledì 15 aprile 2009

hillsborough... vent'anni fa...

Di Diego Del Pozzo

Certo che il Liverpool è davvero una squadra straordinaria e unica al mondo, per il rapporto viscerale che ha con la propria storia, con i propri tifosi e col territorio di riferimento: un rapporto - come ha fatto notare molto bene Paolo Condò, sulla Gazzetta dello Sport di ieri - basato su un irripetibile "impasto di sangue, calcio, favola e incubo che ne impregna la maglietta".
E ieri sera, in nome di questo rapporto, i Reds hanno rischiato di realizzare un'impresa che avrebbe rivaleggiato con quella, fantastica, di qualche anno fa nella finale di Champions di Istanbul, quando rimontarono il Milan da 0-3 per poi batterlo ai rigori. Ieri sera, dunque, il Liverpool ha deciso di onorare i suoi morti di Hillsborough come meglio non avrebbe potuto fare: ha quasi recuperato, infatti, lo svantaggio casalingo di 1-3 contro il grande Chelsea di Guus Hiddink, sfiorando l'impresa esterna a Stamford Bridge e chiudendo, anche con un po' di sfortuna, sull'epico punteggio di 4-4!
Hillsborough, si diceva: la più grande tragedia di sempre nella storia del calcio britannico, con i 96 tifosi che persero la vita schiacciati contro la recinzione di una tribuna dello stadio dello Sheffield Wednesday, in occasione della semifinale di F.A. Cup contro il Nottingham Forest. Era il 15 aprile 1989, esattamente vent'anni fa. Oggi, squadra e staff tecnico del Liverpool si ritroveranno di fronte a quella tribuna a onorare e piangere le tante, troppe vittime della follia e della disorganizzazione; vittime alle quali, con tutto il loro cuore, avrebbero voluto dedicare un'impresa ieri sera contro il Chelsea.
Qui di seguito, per rievocare in modo più approfondito quel tragico evento di vent'anni fa, riprendo un dettagliato articolo di Luca Manes, tratto dal suo blog UK Footy. Buona lettura.
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Di Luca Manes (dal blog UK Footy - 15 aprile 2009)
Gli anni Ottanta hanno rappresentato il decennio più nero della storia del calcio inglese. La violenza dei tifosi, che ebbe il suo culmine con i fatti dell'Heysel nel maggio del 1985, e l'inadeguatezza degli stadi e dell'intero sistema di gestione del football d'oltre Manica finirono per punteggiare di lutti un periodo di per sé ricco di tensioni sociali.
Il beautiful game trova il suo nadir un sabato d'aprile a Sheffield, dove è in programma la semifinale di FA Cup tra Liverpool e Nottingham Forest.
Quel fatidico 15 aprile del 1989 fin dal mattino l'autostrada M62 è un'unica lunga fila di macchine, il traffico è congestionato a causa di una serie di lavori in corso, per cui l'arrivo a Sheffield per moltissimi tifosi avviene più tardi del previsto. In tanti allora si accalcano a ridosso delle entrate dell'Hillsborough Stadium, l'impianto del Wednesday scelto come sede del match. Il servizio d'ordine latita. Come se non bastasse, per accedere alla Leppings Lane, la gradinata destinata ai supporter dei Reds, ci sono solo sette tornelli.
In via del tutto ipotetica quel settore di Hillsborough dovrebbe contenere fino a 10mila tifosi, sebbene la suddivisione in sette spicchi recintati, voluta anni prima dalla polizia per controllare meglio i flussi della folla, riduca la capienza, contribuendo a creare delle specie di lugubri e gigantesche gabbie. Ma questo elemento, allorché furono venduti i biglietti, non fu preso in considerazione. La gradinata inizia a ingrossarsi come un fiume in piena ma colpevolmente nessuno pensa a convogliare i tifosi lì dove c'è maggiore spazio e disponibilità di posti. Man mano che passano i minuti in tanti finiscono per essere schiacciati contro la rete di protezione. La trappola mortale è scattata. Nonostante la situazione già fuori controllo, le forze dell'ordine non trovano niente di meglio da fare che chiudere una porticina che dà un minimo di accesso al campo, aperta in qualche modo da alcuni tifosi. I poliziotti sono accecati dalla paura degli hooligans e inizialmente spingono indietro i gruppetti di fan del Liverpool che sono riusciti a salvarsi entrando sul terreno di gioco, a partita iniziata da una manciata da minuti. Solo in un secondo momento un agente si rende conto dell'immane tragedia che si sta consumando davanti ai suoi occhi e facilita l'ingresso in campo di decine di disperati, il cui intento è tutt'altro che bellicoso. Cercano solo di salvarsi la vita. Qualcuno viene tirato su a braccia verso il secondo piano della Leppings Lane, evitando il peggio. Molti non ce la fanno, morendo soffocati in un magma infernale di corpi. Scorrendo l'elenco delle vittime ciò che colpisce di più è la giovane età di tanti dei 96 che persero la vita in quella maledetta curva.
Le colpe della mattanza sono da ascrivere alla mancanza di sicurezza dello stadio e alla pessima gestione dell'ordine pubblico da parte della polizia e degli addetti ai lavori. Oltre, ovviamente, alla vetustà e all'inadeguatezza dell'impianto, fornito di recinzioni in ferro che segnarono per sempre il destino di quasi cento persone.
La Green Guide del 1973, realizzata dopo il disastro di Ibrox Park del 1971, obbligava i club ad avere un certificato di sicurezza per gli stadi. Quello dello Sheffield Wednesday per Hillsborough era scaduto da dieci anni, senza che nessuno tra i dirigenti delle Owls se ne fosse fatto un cruccio. Eppure c'era già un precedente inquietante di soli otto anni prima, quando durante la semifinale di FA Cup tra Tottenham e Wolverhampton alcuni tifosi rimasero feriti a causa della ressa su quelle stesse gradinate.
Alcuni alti dirigenti delle forze dell'ordine provarono ad influenzare l'esito dell'indagine, coprendo così le loro colpe. Alla fine nel 1991 la giuria stabilì che l'incidente era occorso per cause accidentali; le manchevolezze del club e dei vertici della polizia furono stigmatizzate solo in maniera molto blanda. A nulla servirono i ricorsi contro la sentenza e le richieste inoltrate al governo affinché fossero riaperte le indagini. La Hillsborough Justice Campaign, costituita dai parenti delle vittime e dai sopravvissuti, sta ancora combattendo strenuamente affinché sia fatta piena luce su quei terribili fatti. Ma ogni anno che passa le speranze si assottigliano.
Nel 1989 il dramma di Sheffield mise sotto shock un Paese intero. La solidarietà e la partecipazione della grande famiglia dei tifosi fu unanime. Per molti giorni il manto erboso e le tribune di Anfield Road furono ricoperte da un tappeto multicolore di sciarpe e bandiere di centinaia di squadre britanniche, a riprova di un lutto sentito e condiviso da tutta la comunità del football.
Dopo però si dovette tornare a giocare. Il Liverpool si sbarazzò del Nottingham e raggiunse la finale di Wembley dove, ironia della sorte, ad attendere i Reds c'erano i cugini dell'Everton. Per una volta le due tifoserie, divise dalla classica rivalità stracittadina, si univano nel ricordo di un pomeriggio di dolore che aveva colpito Liverpool, a prescindere dai colori che si indossavano. Come è ovvio che fosse, quel derby fu un match molto, molto particolare. Sugli spalti dell'Empire Stadium tra i 100.000 presenti regnava un'atmosfera dimessa, di grande commozione. In campo le due squadre fecero di tutto per onorare la memoria di chi non c'era più. La sfida fu bella, vibrante, piena di capovolgimenti di fronte, con l'Everton sempre a rincorrere, per poi finire sconfitto 3-2 nei supplementari. L'eroe di quella strana partita fu Ian Rush, che segnò una doppietta partendo dalla panchina. Suo fu anche il gol decisivo marcato al 103'.
Poi quel Liverpool, che stava per imboccare la via del declino dopo aver dettato legge per tutti gli anni Ottanta, fallì l'impresa del double, la doppietta coppa-campionato, perdendo ad Anfield nel famosissimo match con l'Arsenal immortalato da Nick Hornby nel suo Fever Pitch (Febbre a 90', N.d.a.). Michael Thomas divenne The History Man allorché trafisse Bruce Grobbelaar a pochi secondi dal fischio finale, così da regalare ai Gunners la più incredibile delle vittorie in campionato. Ma per i kopites, coloro che avevano eletto come domicilio della loro fede la Kop, e tutti gli altri fan del Liverpool quella non fu una sciagura. Le sciagure, purtroppo, erano ben altre.

martedì 14 aprile 2009

pensiero della settimana: prandelli e pazzini

Di Diego Del Pozzo

Cesare Prandelli rischia seriamente di essere ricordato dai posteri come l'allenatore che faceva giocare Pazzini spalle alla porta.
I tanti gol segnati dall'attaccante da quando è passato dalla Fiorentina alla Sampdoria, infatti, non si spiegano unicamente col fatto di giocare accanto al miglior assistman italiano - cioè Antonio Cassano - ma anche, o soprattutto, con l'elementare intuizione dell'allenatore blucerchiato Walter Mazzarri, che ha fatto girare il giovane e promettente centravanti verso la porta facendogliela puntare con regolarità e maggiore decisione. Apparentemente banale, eppure a Firenze nessuno ci aveva pensato...

lunedì 13 aprile 2009

il famigerato "modello inglese"


In queste ultime settimane si è fatto un gran parlare, sui media italiani, dei motivi del dominio inglese sul calcio del Vecchio Continente e, in particolare, su quello italiano. Tra i tanti, l'intervento più lucido e completo m'è sembrato quello di Luca Manes, pubblicato sul numero di questo mese della rivista Calcio 2000 e ripreso anche sul blog dell'autore, UK Footy. Ecco l'articolo. (d.d.p.)
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Di Luca Manes (Calcio 2000 - Aprile 2009)
Stadi fatiscenti, la violenza dilagante degli hooligans, un campionato mediocre e le squadre escluse dalle competizioni europee. Alla fine degli anni Ottanta questo era lo sconfortante panorama del calcio inglese. Dopo la tragica notte dell’Heysel, nel 1985, il nadir si toccò in un caldo sabato della metà di aprile di 20 anni fa, a Sheffield. In occasione della semifinale di Coppa d’Inghilterra tra Liverpool e Nottingham Forest, 96 tifosi dei Reds persero la vita nella Leppings Lane dell’ormai tristemente noto Hillsborough Stadium. Le cause del più grande dramma della storia del calcio britannico? Un impianto obsoleto, una pessima gestione del servizio d’ordine e una condotta inadeguata da parte delle forze dell’ordine, ossessionate dal pericolo hooligans e incapaci di comprendere quale immensa tragedia si stesse svolgendo davanti ai propri occhi (il disastro di Hillsborough, nella foto qui sotto). Peggio di così il football dei Maestri non poteva proprio andare, tanto che risalire la china sembrò a tutti impresa improba. Eppure si compì nell’arco di pochi anni.
Quello che, banalizzando all’estremo, noi italiani definiamo il “modello inglese” si realizzò attraverso un processo di stratificazione non sempre omogenea e lineare. La sostanza è che ora (alcune) squadre dominano in Europa, gli stadi sono nuovissimi, sicuri e quasi sempre pieni, la violenza ridotta al minimo e il prodotto “english football” esportato in tutto il mondo.
I sudditi della regina hanno saputo imparare dai marchiani errori del passato. Il rapporto che fece seguito al dramma dell’Hillsborough, ormai conosciuto come Taylor report dal nome del giudice che presiedeva la commissione d’inchiesta, stabilì una serie di regole auree su come rimodernare gli stadi e gestire l’ordine pubblico prima, durante e dopo un match. Nelle arene dei team delle prime due divisioni professionistiche dovevano scomparire le terraces, le folkloristiche gradinate, e tutti i posti dovevano essere a sedere. Via anche le recinzioni, una delle cause dei fatti di Sheffield.
Il governo si mosse su diversi fronti, mettendo a disposizione un fondo per il restyling degli impianti e promulgando delle normative molto severe contro la violenza nel calcio. In merito a questo ultimo punto in tanti pensano che sia stata la signora Thatcher quella che più ha usato il pugno di ferro contro il teppismo negli stadi, ma in realtà le leggi più repressive le ha adottate il primo esecutivo Blair, in particolare con il Football Disorder Act (2000). La normativa garantisce alle forze dell’ordine il potere di chiedere a un magistrato di impedire in via preventiva, ovvero anche in mancanza di una precedente condanna, che un tifoso possa andare a vedere a una partita di calcio, sia sul territorio inglese che all’estero. Il nodo cruciale del dettato normativo sta tutto nell’ampio margine di discrezionalità conferito ai tutori della legge.
La repressione delle forze dell’ordine, le normative draconiane, gli stewards ben addestrati e sufficientemente responsabilizzati, l’occhio sempre attento delle telecamere a circuito chiuso, la scomparsa delle gradinate e, in maniera secondaria, l’innalzamento del costo dei biglietti. Questi, per riepilogare, gli ingredienti della ricetta impiegata per estirpare l’erba cattiva dell’hooliganismo.
In presenza di stadi più moderni e sicuri e dove i violenti non facevano più il bello e il cattivo tempo, i tifosi tornarono ad affollare gli spalti. La stagione 1985-86, quella del post Heysel, fece registrare la media spettatori più bassa dal secondo dopo-guerra. In totale si contarono solo 16,5 milioni di presenze. Ma già nel 1996 i tifosi negli stadi furono 21,8 milioni, con un incremento del 32%, mentre nel 2004 si arrivò a 29 milioni.
In via di risoluzione le questioni stadi e violenza, bisognava risollevare le sorti sportive delle squadre inglesi, riammesse in Europa nel 1990 dopo quattro stagioni di bando totale. L’annoso conflitto tra la Football Association e la Football League fece da sfondo alla nascita della Premier League, la lega dei più forti e, di lì a breve, dei più ricchi.
Approfittando del revival in atto, i vertici della Premier spuntarono un lucroso contratto televisivo con la rete satellitare di Rupert Murdoch, che con il football riuscì a decollare dopo i primi anni di vacche magre. Al primo accordo quinquennale ne hanno fatti seguito altri quattro, con le cifre che sono quasi sempre cresciute in maniera esponenziale, passando da 191 milioni di sterline fino alla recentissima intesa per il periodo 2010-2013 che prevede un ammontare di 1,7 miliardi di sterline. I milioni di Sky, e dal 2006 anche di Setanta Sport, a tutt’oggi vanno divisi per il 50% in parti uguali, per il 25% in base alle apparizioni televisive (da scegliere secondo l’andamento del campionato), mentre il restante 25% dipende dal piazzamento finale in classifica. Un buon incentivo per giocarsi anche un’apparentemente inutile ultima di campionato per decidere un decimo piuttosto che un undicesimo posto.
Così come nel resto d’Europa, anche in Inghilterra spesso i frequentatori di stadi si sono abituati a dover rinunciare all’orario canonico d’inizio match. Ora c’e’ il calcio d’inizio all’ora di pranzo del sabato, ma non solo. Il turno si completa con altri posticipi rarefatti tra il tardo pomeriggio del sabato stesso, la domenica e la sera del lunedì – anche se il Monday Night non è una regola fissa. Eppure c’è un dettaglio che forse troppo spesso viene ignorato o sottovalutato: a fronte di quattro, massimo cinque partite della Premier trasmesse in diretta televisiva, per vedere tutte le altre non rimane che munirsi di biglietto di ingresso allo stadio. Alle 15 di sabato pomeriggio Sky, Setanta, la BBC o chi per loro non mandano in onda alcun match di nessuna divisione professionistica inglese. Un’altra buona ragione per cui gli impianti di provincia o delle grandi città sono tutti o quasi pieni.
Non è un caso, infatti, che per la maggioranza dei club inglesi le tre principali fonti di guadagno, ovvero tv, biglietti e merchandising, sono alquanto bilanciate, mentre ad esempio in Italia alcuni club dipendono fin troppo dagli introiti derivanti dai diritti televisivi. Non ci vuole un genio per capire che così le società sono meno soggette agli sbalzi d’umore del mercato. Nello sfruttamento del merchandising, poi, il calcio d’oltre Manica è sempre stato all’avanguardia, occupando subito le consistenti fette del mercato asiatico – dove la Premier può contare su milioni di appassionati.
Sul campo le squadre di Premier, o meglio le Top Four (Manchester United, Chelsea, Liverpool e Arsenal), dominano perché possono disporre di rose di altissimo livello grazie all’immensa disponibilità economica che garantisce un campionato come la Premier. Però va tenuto in debita considerazione il fattore giovani. Compagini come Arsenal e Manchester United – ovvero le più vincenti degli ultimi 15 anni – puntano moltissimo sui talenti in erba, siano essi “prodotti locali” o importati in tenerissima età dall’estero. Negli anni Novanta il primo United vincente di Sir Alex puntava sì sulla classe di Eric Cantona, ma anche su gente come Ryan Giggs, Paul Scholes, i fratelli Neville, David Beckham, tutti usciti dall’Academy. Ora le promesse si chiamano Danny Welbeck, Jonny Evans e Darron Gibson, questi ultimi due già protagonisti anche in Champions League. I Gunners dispongono forse della miglior batteria di talent scout del pianeta, e si vede. Il club di Londra Nord è stato così bravo da riuscire a strappare un talento come Cesc Fabregas niente meno che al Barcellona. Affidandosi ai giovani, l’Arsenal ha potuto costruirsi uno stadio più grande del mitico ma vetusto Highbury e in prospettiva i suoi introiti aumenteranno in maniera sensibile. Gli stessi Liverpool e Chelsea hanno come giocatori più rappresentativi alcuni prodotti del vivaio (Jamie Carragher, Steven Gerrard da una parte, John Terry dall’altra).
Un ruolo fondamentale nella qualità del gioco dei team inglesi, è innegabile, lo svolgono i calciatori stranieri. La Premier ne importa ogni anno decine, ma se negli anni Novanta oltre Manica approdavano campioni un po’ bolliti, o comunque sul viale del tramonto come Fabrizio Ravanelli, Marcel Desailly e Ruud Gullit, ora si punta forte sui “prospetti” di qualità. Discorso valido per i vari Cristiano Ronaldo, Michael Essien e in parte anche per Fernando Torres, che ha avuto la sua definitiva affermazione dalle parti di Anfield Road.
Quasi più dei calciatori hanno inciso nella mentalità e nel gioco i tecnici stranieri. Arsene Wenger, Josè Mourinho, Rafa Benitez, ma anche Claudio Ranieri, Gerard Houllier e Luca Vialli. Tutta gente che ha fatto crescere il livello tattico dei team inglesi, spesso cooptando le “parti buone” del football locale. Inoltre hanno introdotto migliorie significative nei metodi di allenamento e rivoluzionato in positivo i criteri di alimentazione. Niente più overdose di bistecche e hamburger, ma tanta pasta, siamo inglesi! Manager britannici come Sir Alex Ferguson hanno iniziato ad adottare tattiche più “continentali” (per non dire catenacciare), soprattutto in Champions League – vedi la semifinale di andata dello scorso anno contro il Barcellona.
Gli stranieri, intesi come proprietari, sono arrivati per ultimi e sulla scia del successo planetario della Premier. I soldi di Roman Abramovich hanno fatto grande il Chelsea, mentre quelli degli sceicchi forse faranno finalmente vincere il Manchester City, ma non sono il motivo principale del successo del movimento inglese.
Il prodotto Premier ha le sue controindicazioni, i suoi effetti collaterali. Il più discutibile è quello che riguarda la nazionale. I Tre Leoni falliscono a causa dei troppi stranieri? La situazione degli anni Settanta era speculare all’attuale: la nazionale non si qualificò per i mondiali del 1974 e del 1978, mentre i club inglesi dominavano in Europa, con la differenza che nelle loro fila non avevano stranieri (sebbene abbondassero scozzesi, gallesi e irlandesi). Il team attualmente guidato da Fabio Capello dispone di grandi talenti e molti giovani, sebbene sia scoperto in qualche ruolo, come il portiere. I precedenti flop della nazionale sono spesso stati causati dall’inadeguatezza degli allenatori locali, vero punto debole del calcio inglese negli ultimi decenni.
Altro aspetto controverso: vincono sempre le stesse. Per la verità anche negli anni Settanta e Ottanta c’era una squadra dominante (il Liverpool) e alle altre non rimanevano che le briciole, però c’era più equilibrio. A contendersi il titolo potevano essere QPR e Watford, piuttosto che Arsenal e Manchester United. E poi a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta ci fu la favola del Nottingham, neopromossa prima capace di vincere la vecchia Division One e poi due Coppe dei Campioni consecutive. Ieri, come oggi, gli inglesi dominavano in Europa.
Forse la spiegazione più semplice e allo stesso tempo veritiera di tutti questi trionfi l’ha fornita di recente Paolo Di Canio in un’intervista rilasciata al Giornale: “vincono perché sono normali”. Intendiamoci, la pressione esiste anche al di là della Manica e i media parlano sempre più di football, specialmente dopo la comparsa in forze di Sky all’inizio degli anni Novanta. Solo, gli inglesi hanno un maggiore senso della misura e una cultura sportiva che altrove si sognano, per cui una partita di calcio non acquisisce significati che trascendono l’ambito sportivo. Seppure con troppe venature “commerciali”, da loro il football è ancora “the beautiful game”.

domenica 12 aprile 2009

che noia questo napoli di donadoni...

Di Diego Del Pozzo

Mamma mia, che noia questo nuovo Napoli di Roberto Donadoni! E' vero che a centrocampo mancano, da tempo, per infortuni gravi due titolari certi come Maggio e Gargano. Ed è vero anche che ieri, contro l'Atalanta, c'erano pure altre assenze di giocatori importanti. Però, però...
Però, non è ammissibile disputare una partita abulica come quella di ieri, bruttissima - va detto - anche per l'atteggiamento analogo mostrato dai giocatori bergamaschi. Un match, quello di ieri pomeriggio, che è stato persino offensivo nei confronti del pubblico napoletano, il quale aveva riempito come sempre lo stadio San Paolo, anche per raccogliere più soldi possibile da destinare ai terremotati abruzzesi.
Lo spettacolo (?) è stato davvero penoso, con le due squadre che, assieme, non sono riuscite a produrre nemmeno una nitida occasione da gol, un sussulto, una emozione per quei quarantamila che li stavano seguendo sugli spalti e per i tanti altri che guardavano da casa.
La stagione partenopea è, ormai, finita da tempo. Ma mi auguro che nelle amichevoli che restano da disputare - perché tali sono, per il Napoli, le rimanenti partite di campionato... - si riesca a offrire, almeno, uno spettacolo decente a chi viene allo stadio e paga il biglietto.
Poi, a fine stagione, bisognerà necessariamente tirare le somme...

venerdì 10 aprile 2009

champions league: dopo l'andata dei quarti

Di Diego Del Pozzo

Due giorni dopo le partite di andata dei quarti di finale di Champions League, mi sembra utile fare un punto della situazione, a mente fredda, in vista dei match di ritorno in programma già la prossima settimana.
In particolare, ho voluto isolare alcuni spunti per ciascuna squadra, passandole rapidamente in rassegna una dopo l'altra:
1) I detentori del Manchester United sembrano aver pagato oltremisura l'enorme sforzo psico-fisico al quale li ha sottoposti l'Inter di Josè Mourinho nel turno precedente: da allora, infatti, i Red Devils hanno perso due partite di campionato, ne hanno vinto una all'ultimo secondo grazie a un gol dell'esordiente ragazzino italiano Macheda, soprattutto hanno pareggiato 2-2 all'Old Trafford con un Porto che li ha letteralmente dominati (sul piano mentale prim'ancora che su quello del gioco). Ma i campioni di sir Alex, si sa, non muoiono mai...
2) I vicecampioni del Chelsea sono stati completamente trasformati da quel santone che è Guus Hiddink. L'allenatore olandese ha restituito ai Blues forza, velocità e, soprattutto, enorme sicurezza e convinzione nei propri mezzi (che sono enormi). Soltanto con questi ingredienti, infatti, poteva essere possibile andare a giocare in quel modo ad Anfield contro il Liverpool in forma di queste settimane.
3) Per quanto riguarda i Reds di Rafa Benitez, c'è poco da dire: probabilmente sono incappati in una squadra più forte di loro. E, contemporaneamente, hanno pagato il dispendio di energie necessario per una rimonta in Premier League alla quale credono ancora fortissimamente e che si sta trasformando sempre più nell'obiettivo principale dell'annata.
4) L'Arsenal di Wenger, da parte sua, potrebbe produrre un finale di stagione assolutamente sorprendente: le settimane degli 0-0 casalinghi sembrano, infatti, definitivamente alle spalle; gli infortunati illustri (Fabregas, Adebayor, Walcott) sono tutti recuperati e hanno già lasciato il loro segno sia in Premier che in Champions; il gioco disegnato dal maestro alsaziano ha ripreso a scorrere fluido come ai bei tempi; la condizione atletica e quella mentale sembrano al loro massimo. Ci fosse stato anche Arshavin nelle partite europee...
5) Il Barcellona visto all'opera mercoledì sera è stato davvero impressionante, anche se ingigantito dalla pochezza di un Bayern improponibile. I Blaugrana, però, stanno producendo una stagione fenomenale e sono quanto di più vicino all'arte il calcio possa attualmente proporre, grazie a tre solisti micidiali in attacco (Eto'o, Henry e il fuoriclasse Messi), pressing sulla trequarti avversaria per recuperare palla prima possibile, ritmo elevatissimo, palla che viaggia veloce e quasi sempre di prima, un gruppo coeso e motivatissimo, un allenatore giovane e ambizioso. Se continua così, è certamente la favorita per la vittoria finale.
6) Il Porto di Jesualdo Ferreira può concretamente eliminare il Manchester United: e già nell'enormità di questa affermazione risiede tutta la grandezza della squadra lusitana. Il 2-2 dell'Old Trafford segue la bellissima prestazione in trasferta contro l'Atletico Madrid nel turno precedente. E anche a Manchester se c'era una squadra meritevole della vittoria era quella con la maglia a strisce verticali biancoblu. Adesso c'è soltanto da tenere alta la concentrazione, non sottovalutare l'avversario e mostrare le stesse "palle" e la medesima sfacciataggine viste martedì sera in Inghilterra.
7) Il Bayern Monaco potrà essere commentato meglio quando sarà allenato da un tecnico più capace, dato che Jurgen Klinsmann mercoledì sera non ha capito praticamente nulla contro Guardiola e il suo Barcellona. Lo spettacolo offerto è stato imbarazzante e offensivo per la storia dei bavaresi. E poiché, nel corso della stagione, le goleade subite sono state numerose, a questo punto la logica e la decenza imporrebbero un immediato cambio alla guida tecnica, almeno per salvare il salvabile.
8) Manuel Pellegrini e il suo Villareal hanno tenuto ottimamente il campo contro un Arsenal che, nel secondo tempo, ha rischiato di sbancare il Madrigàl: la squadra è solida, onesta e con alcune individualità di spicco; ma i quarti di finale rappresentano già un lusinghiero risultato.
Per concludere, mi lancio in un pronostico, in vista dei match di ritorno della settimana prossima: passeranno Barcellona, Chelsea, Arsenal e... Manchester United.

giovedì 9 aprile 2009

pensiero della settimana: le squadre italiane

Di Diego Del Pozzo

Tranne l'Inter, le altre due squadre italiane avrebbero potuto superare le rispettive avversarie inglesi, con un po' di fortuna, nel precedente turno di Champions League: è questa la versione più gettonata tra gli addetti ai lavori del nostro Paese.
In questa affermazione, in effetti, un fondo di verità può anche esserci. Il problema, però, è un altro: seppure Roma e Juventus fossero riuscite a eliminare Arsenal e Chelsea e arrivare ai quarti di finale, come avrebbero potuto realisticamente pensare di vincere una manifestazione che, tra ieri e l'altro ieri, ha messo in scena le scintillanti prestazioni del Porto di Jesualdo Ferreira e, soprattutto, del mostruoso Barcellona di Pep Guardiola?
In particolare, i portoghesi sono andati all'Old Trafford come avrebbe dovuto fare l'Inter se avesse avuto più "palle", mentre i catalani hanno letteralmente distrutto un Bayern Monaco che avrebbe potuto chiudere il match di ieri sera con dieci-dodici gol al passivo. In più, per le eventuali italiane qualificate ai quarti, ci sarebbero state, comunque, pure Liverpool e Manchester United (che è ancora vivo...) con i quali fare i conti.
Insomma, per puntare al successo finale di una italiana si prega di rimboccarsi le maniche e riprovare il prossimo anno...

mercoledì 8 aprile 2009

una squadra un po' "appannata"...

Di Diego Del Pozzo

Molti osservatori vanno ripetendo da un po' di tempo la storiella dell'Arsenal che, quest'anno, si sarebbe "appannato" e che, ancora una volta, sarebbe destinato ad arrivare a fine stagione con - per dirla alla Mourinho - "zero tituli".
In particolare, le tesi di questi attenti osservatori hanno trovato maggiore conforto nella inedita - per i Gunners - sequenza di 0-0 che, fino ad alcune settimane fa, aveva un po' rallentato la corsa della squadra di Wenger in Premier League.
Ebbene, in realtà, bisogna sottolineare come l'Arsenal sia l'unica squadra ancora imbattuta in campionato nel 2009 e come non perda una partita di Premier da quasi quattro mesi. Inoltre, è semifinalista in F.A. Cup e brillante qualificata ai quarti di finale di Champions League.
Le Cassandre, dunque, hanno iniziato a ricredersi da un paio di settimane a questa parte, per poi tacere definitivamente in coincidenza con lo scorso week-end, che ha visto il contemporaneo rientro dai loro gravi infortuni di Cesc Fabregas ed Emmanuel Adebayor: e nelle due partite disputate da allora (Arsenal - Manchester City 2-0 e Villareal - Arsenal 1-1: nella foto qui sopra, lo splendido gol del centravanti togolese), i due hanno timbrato, rispettivamente, tre assist e tre gol, a conferma di quanto decisiva sia la loro presenza, al pari di quella di Walcott, altro rientrante da un lungo stop.
Nessun appannamento, quindi, ma semplice rallentamento dovuto alle tante assenze. Per fortuna, però, adesso l'Arsenal procede ancora spedito sia in Inghilterra che in Europa. E il finale di stagione, una volta tanto, lascia davvero ben sperare...

Ps: Questo è l'articolo numero 100 pubblicato su Calciopassioni. Grazie a tutti i lettori che continuano a seguirci quotidianamente. Appuntamento ai prossimi 100!!!

martedì 7 aprile 2009

off topic: basket ncaa, north carolina campione!!!

Di Diego Del Pozzo

Ciò che gli osservatori più avvertiti temevano si è puntualmente verificato, stanotte a Detroit, nella finale del torneo Ncaa 2009: il grande cuore e la grinta di Michigan State non sono bastati ad arginare la classe e la fisicità superiori di North Carolina, che ha letteralmente dominato un match che, fin dai primi minuti di gioco, si è trasformato in una autentica passerella trionfale, fino al 89-72 finale (ma UNC aveva avuto anche più di venti punti di vantaggio già a metà primo tempo!).
Ecco, qui di seguito, il racconto "live" di Roberto Gotta, direttamente dagli Stati Uniti e direttamente dal suo blog Vecchio23. "Quando Carolina gioca con una fluidità simile, quando Michigan State riprende la sua abitudine ormai biennale di buttare palloni - scrive Gotta, che da qualche mese è anche direttore di American Superbasket - e inizia con percentuali tragiche al tiro, va a finire come questa sera, cioè che la squadra più forte - North Carolina, appunto - mette subito zitto il pubblico teoricamente neutrale ma fortemente (diciamo 45.000 su 72.000?) sbilanciato verso il tifo per gli Spartans, e la partita diventa tra le più prevedibili e scontate degli ultimi anni, manco fosse in campo UCLA. Il fattore campo conta poco in impianti così larghi e spaziosi, ma quel poco che poteva esserci è stato smontato subito dalla grande partenza dei Tar Heels, che hanno poi controllato. Danny Green ad una mia precisa domanda ha risposto che all'intervallo coach Roy Williams ha chiesto ai suoi giocatori semplicemente di controllare il ritmo e non perdere la concentrazione, pericolo plausibile visto il +21 del primo tempo. Mi è piaciuto molto Ed Davis, che è solo freshman, al primo anno, e diventerà protagonista già nella prossima stagione: attento, reattivo, preciso, atletico, capace di saltare due volte di fila quasi senza caricare le gambe".
La vittoria di North Carolina ha trovato ampio spazio su tutti i mass media mondiali, anche per il fatto che la squadra allenata da coach Roy Williams (al secondo titolo in carriera) era stata pronosticata vincente addirittura dal presidente Barack Obama in persona, in diretta televisiva nazionale. Nella finale di stanotte, dunque, i Tar Heels hanno rispettato pure il pronostico presidenziale. Protagonisti del match sono stati la point guard Ty Lawson (21 punti), Tyler Hansbrough (18) e Wayne Ellington (19, eletto mvp delle Final Four). Per la squadra di coach Tom Izzo, invece, il miglior realizzatore è risultato essere Goran Suton con 17 punti.
Per North Carolina si tratta del quinto titolo Ncaa della storia, il secondo negli ultimi cinque anni.

domenica 5 aprile 2009

off topic: le semifinali ncaa vanno a msu e unc


La prima, entusiasmante nottata delle Final Four del torneo Ncaa di basket ha visto trionfare la favorita North Carolina su Villanova e, più a sorpresa, una motivatissima Michigan State sull'irriconoscibile Connecticut. Nella cronaca di Roberto Gotta, tratta dal suo blog Vecchio23, il racconto delle due partite da chi le ha seguite di persona negli Stati Uniti. (d.d.p.)
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Di Roberto Gotta
In molti l'avrete vista, la prima semifinale NCAA che ha visto il trionfo di Michigan State, 82-73, su Connecticut. Trionfo, perché gli Spartans hanno prevalso su tanti fronti: quello tattico, in cui Tom Izzo ha battuto il suo avversario diretto Jim Calhoun ordinando ai suoi di correre ad ogni occasione ed ottenendo così ben 22 punti in contropiede. In più, MSU ha dominato a rimbalzo d'attacco, prendendone 18 (16 però li ha presi anche UConn) e ovviando così all'inizio a quelle percentuali basse che secondo le previsioni dovevano essere evitate a tutto costo, proprio per la difficoltà ad andare dentro. Restano molti misteri: UConn ha più talento ma solo a tratti ha cercato di innescare Thabeet (qui a lato, disperato dopo la sconfitta) che in uno contro uno su Suton - che era invece marcato da Adrien, così che Thabeet non fosse costretto a seguirlo sul perimetro - poteva fare quel che voleva, e non ha avuto buoni rientri in difesa concedendo tutti quei canestri facili. La fisicità di Michigan State ha fatto ricordare che UConn aveva perso due volte su due con Pittsburgh, guarda caso altra squadra dura, ma l'impressione che Izzo abbia davvero sbaragliato Calhoun resta, al di là dei meriti degli Spartans.
La seconda gara è stata deludente, e ha fatto chiedere a molti come mai CBS ed NCAA abbiano capovolto i normali termini televisivi trasmettendo prima la partita più di atmosfera e successivamente quella meno attraente. North Carolina ha vinto 83-69 e nonostante alcuni buoni momenti di Villanova non ha mai seriamente corso alcun pericolo, concedendo solo qualche distrazione. Villanova ha tirato con il 31% nel secondo tempo rendendo completamente inutile la piccola rimonta della parte terminante del primo, ha avuto un Cunningham tremendo per energia (7 rimbalzi offensivi) ma non ha saputo contenere Ty Lawson, che è andato in lunetta per 17 dei 37 tiri liberi conquistati da UNC. Ma ripeto, partita soffice, in un ambiente spento dopo le emozioni della prima, e con migliaia di persone, i tifosi di Michigan State, che erano già fuori a festeggiare.

sabato 4 aprile 2009

off topic: stanotte c'è la final four della ncaa

Di Diego Del Pozzo

Finalmente ci siamo: la "March Madness" arriva al suo momento culminante. Da stanotte, infatti, Detroit ospita la Final Four del torneo Ncaa di basket, uno degli eventi più significativi e attesi dell'intero panorama sportivo statunitense (e non soltanto...).
Alle finali a quattro sono giunte le due favorite Connecticut e North Carolina e due agguerritissime outsiders - piuttosto relative, in quanto pur sempre terza e seconda dei rispettivi Regionals - come Villanova e Michigan State, da considerare come la squadra di casa, quest'ultima, poiché il suo campus di East Lansing dista poco più di novanta miglia dalla sede delle Final Four.
Come al solito, lo spettacolo sarà di primo livello, soprattutto dal punto di vista emotivo e della suspence. L'appuntamento è alla mezzanotte, con le due semifinali in sequenza una dopo l'altra: s'inizia con Connecticut - Michigan State (ore 00.07 italiane), seguita da North Carolina - Villanova (ore 2.47 italiane). Le due squadre vincenti si affronteranno in finale nella notte italiana tra lunedì e martedì.
Gli appassionati italiani potranno seguire lo spettacolo delle Final Four in lingua originale su Espn America (canale 213 del pacchetto Sky) oppure col commento italiano su Sky Sport 2 e Sky Sport 16:9 nell'imperdibile formato panoramico. Chi non fosse dotato di televisione satellitare potrà tranquillamente usufruire dello strepitoso servizio di streaming gratuito fornito dalla Ncaa sul proprio sito ufficiale.
Qui di seguito, come degna introduzione alle Final Four, riporto i due articoli scritti in questi giorni da Stefano Olivari sul suo blog Indiscreto.
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Di Stefano Olivari
Dal punto di vista fisico Connecticut sarebbe una squadra NBA, nemmeno delle peggiori: un suo allenamento è probabilmente più intenso dei primi tre quarti delle partite degli Wizards o dei Clippers. Se Hasheem Thabeet e Jeff Adrien arrivano nel finale di partita senza problemi di falli nessuna squadra NCAA può pensare di prendere un tiro comodo, né tantomeno un rimbalzo, contro i lunghi di Calhoun. UConn può vincere partite sia dal ritmo controllato, grazie anche ai break aperti da A.J. Price, che a guardia abbassata. Ma può essere battuta solo in quelle del primo tipo, specie da quando in febbraio ha dovuto fare a meno di Jerome Dyson: nei minuti da vincere o morire l'unico tiratore da tre punti affidabile rimane Price.
Nella prima delle semifinali di Detroit se la vedrà con la Michigan State di Tom Izzo, reduce dalle due tiratissime battaglie con Kansas e la Louisville di Pitino. Le modalità di vendita dei biglietti dovrebbero rendere bar le considerazioni sul fattore campo (East Lansing è a soli 150 chilometri da Detroit), mentre più concreta è la natura tattica degli Spartans: difensiva, con grande pressione messa sugli esterni avversari e un'ossessione per i rimbalzi lunghi o sporchi. Quando gli avversari segnano meno di 70 punti, il loro record stagionale è di 26 vittorie e zero sconfitte. Da tenere d'occhio la guardia senior Travis Walton, defensive player dell'anno nella Big Ten, ma soprattutto a nostro becero avviso (in televisione si nota soprattutto chi segna) la guardia sophomore Kalin Lucas, che nella Big Ten è stato il miglior giocatore in assoluto.
Equilibrio in panchina: sia Calhoun che Izzo hanno già vinto il torneo (il primo nel 1999, con una squadra media più Rip Hamilton, e nel 2004, con lo squadrone di Ben Gordon, Villanueva e Okafor; il secondo nel 2000 con Jason Richardson, Morris Peterson, Charlie Bell, più il 'romano' Andre Hutson), non hanno scimmie da togliersi dalla spalla, raramente abbandonano la loro filosofia.
Previsione: Connecticut è più forte sommando i singoli, ma nella partita che probabilmente verrà fuori gli Spartans hanno qualche arma in più.
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Di Stefano Olivari
La seconda semifinale di Detroit (notte fra sabato e domenica, poco prima delle nostre tre) sembra un po' più scritta della prima, non solo per il modo in cui North Carolina ci è arrivata. Cioè asfaltando avversari modesti (Radford), medio-buoni (LSU e Gonzaga) e buonissimi come Oklahoma nella finale del South Regional. Non inganni il punteggio, 72-60, con cui sono stati rimandati a casa i fratelli Griffin: la partita è stata in ogni sua fase una dimostrazione di equilibrio tattico e di superiorità mentale del 'perdente' (perché non grida) Roy Williams. Il recuperato Ty Lawson è l'uomo del destino: playmaker che sa usare marce diverse, buon tiratore, penetratore sempre sotto controllo. Tyler Hansbrough ha intensità sacchiana, senso del rimbalzo offensivo, buona difesa ed in generale sembra fatto apposta per la NCAA, ma più decisivi saranno Danny Green, altro senior, che quest'anno ha molte più responsabilità (soprattutto tiri in momenti caldi) del passato e l'elegante Wayne Ellington.
La Villanova di Jay Wright ha due uomini di riferimento, il realizzatore super Scottie Reynolds ed il solido Dante Cunningham (senior anche lui), e rispetto ai Tar Heels un maggiore dinamismo. Emozionante nella finale dell'East Regional con la favoritissima Pittsburgh, il college di Philadelphia avrà una filosofia tattica ben precisa: correre, muovere la palla e non subire la buone difese vicino al tabellone di Hansbrough (che in questa fase del gioco è piaciuto anche contro Blake Griffin) e di Deon Thompson.
Anche questa semifinale conferma la tendenza attuale del college basketball: nella maggior parte dei casi (poi è facile citare gli esempi contrari di Derrick Rose o Greg Oden) si arriva alle Final Four con gruppi che crescono nel tempo e non con il freshman fenomeno che ha la NBA già nella testa. Senior non vuol dire sfigato, anche se con queste regole non si può impedire ad un diciannovenne di guadagnare adesso quello che forse, infortuni permettendo, guadagnerebbe fra tre anni.