sabato 16 marzo 2013

al cervantes di napoli un workshop fotografico sulle tracce di maradona

Di Diego Del Pozzo
(Il Mattino - 16 marzo 2013)

Se il calcio è la religione laica del terzo millennio, Diego Armando Maradona può essere considerato il suo dio: d’altra parte, a Buenos Aires esiste persino una chiesa maradoniana. Ma è soprattutto a Napoli, più che altrove, che le tracce del passaggio del “pibe de oro” – sette intensissimi anni tra il 1984 e il 1991 – sono ancora ben visibili e continuano a marchiare a fuoco l’animo stesso della città, come dimostrato anche dal ribollente affetto tributatogli durante la recente visita-lampo dopo anni di assenza.
Da queste suggestioni tra sacro e profano, calcio e antropologia, mito e identità culturali glocal è partito alla fine dello scorso anno il fotografo argentino César Lucadamo per mettere in piedi un progetto di ricerca artistica che rintracciasse e rielaborasse i segni della presenza di Maradona nelle tre città-simbolo della sua vita e della sua carriera sportiva: Buenos Aires, Barcellona, Napoli. La prima tappa, a dicembre scorso, è stata proprio all’ombra del Vesuvio, dove Lucadamo ha già realizzato numerosi scatti, destinati a confluire in un percorso più articolato che, grazie al supporto dell’Instituto Cervantes partenopeo, avrà il suo momento culminante in un workshop di fotografia – le cui iscrizioni si sono aperte la settimana scorsa – in programma dal 2 al 5 maggio e intitolato “Sulle orme di Maradona a Napoli”.
Assieme al fotografo argentino, residente da 25 anni a Barcellona, sarà in città anche il filosofo Daniel Gamper, docente presso la Universidad autónoma de Barcelona e nipote di Joan Gamper, il mitico fondatore del Barça. A lui e a Marco Ottaiano saranno affidati i momenti teorici del workshop (tra football, opera d’arte e creazione letteraria), mentre Lucadamo guiderà gli iscritti tra le strade di Napoli “per provare a raccontare per immagini – anticipa il fotografo – il rapporto, ancora oggi fortissimo, fra la città e il campione argentino: un legame che si manifesta non soltanto nella passione sportiva ma anche e soprattutto nella vita quotidiana e persino nel sentimento religioso del popolo napoletano”. A workshop ultimato, una selezione dei migliori scatti diventerà materiale di una mostra fotografica al Cervantes.
Ma perché Maradona? “Perché – spiega César Lucadamo – è il personaggio “bigger than life” per eccellenza della nostra epoca: campione straordinario ma anche leader populista autoproclamato, idolo globale ipermediatico e simbolo vivente del riscatto dalla povertà, persona contraddittoria dall’ego smisurato ma anche talento unico e inimitabile della storia del calcio, santo ed eroe e al tempo stesso dannato e ribelle. E l’indagine fotografica sui mille volti di Maradona e su ciò che ha lasciato nei luoghi e nelle persone della sua vita mi ha portato inevitabilmente a Napoli”. Dove Lucadamo ha deciso di iniziare il suo percorso. “Mi sembrava appropriato, perché è qui – prosegue – che Maradona ha il radicamento più profondo, ancora oggi a più di vent’anni di distanza da quando giocava nel Napoli. In Argentina, infatti, è amato e odiato, idolatrato come calciatore ma anche discusso per gli errori commessi. A Barcellona, poi, la cultura borghese catalana lo ha respinto come un corpo estraneo. Soltanto Napoli, invece, ha saputo immedesimarsi in lui e nella sua voglia di rivalsa verso i potenti di turno, simboleggiati da rivali calcistiche settentrionali come Juventus o Milan. A Napoli, più che altrove, Maradona si è fatto dio e simbolo, fino a fondersi con l’architettura stessa della città, come ancora dimostrano i murales presenti su molti muri del centro e della periferia”.
Prima di affermarsi come fotografo, César Lucadamo è stato a sua volta calciatore professionista in Argentina, vestendo per due stagioni, 1983 e 1984, la gloriosa “camiseta” del Velez Sarsfield di Buenos Aires. “Ero un’ala sinistra agile e scattante. Poi, purtroppo, un brutto infortunio al ginocchio mi ha fatto smettere quasi subito. Non ho incontrato Maradona in campo, perché al tempo dei miei due anni nel campionato argentino lui si era trasferito al Barcellona. Però, ne ero letteralmente innamorato mentre ero nelle giovanili e lui infiammava le folle con le maglie dell’Argentinos Juniors e del Boca”. Probabilmente, è da allora che Lucadamo insegue il fantasma del campione che seppe farsi più napoletano dei napoletani.

il papa che ama il calcio: così jorge divenne tifoso del san lorenzo

Di Martin Mazur
(La Gazzetta dello Sport - 15 marzo 2013)

BUENOS AIRES - Dopo la sorpresa e l'emozione immensa, gli argentini escono di casa ed esultano nelle strade. Il Papa è argentino. La Cattedrale sulla Plaza de Mayo di Buenos Aires si riempie in pochi minuti. Suonano i clacson a Rosario e Tucuman. Nel centro di Cordoba si mescolano bandiere argentine e vaticane. A La Plata i bambini cantano davanti al Duomo: «Francisco Primero, te ama el mundo entero». La Villa 31, il quartiere strapovero vicino al lusso di Recoleta e Puerto Madero, piange davanti alla tv. Il Papa percorreva spesso quelle strade di fango e miseria. Parlava con i bambini e esultava ai loro gol nei potreros, i campetti di calcio. Ammiratore del bel gioco, ai colleghi spagnoli dichiarava la sua ammirazione per il Barcellona. Ma la sua grande passione, vissuta in termini moderati ma senza interruzioni, è sempre stata il San Lorenzo.
Corvi e santi, cuervos y santos: ecco i due soprannomi del San Lorenzo, la squadra fondata dal prete Lorenzo Massa per allontanare dalla strada i bimbi poveri. Il rossoblù della maglia è un omaggio a Maria Ausiliatrice. Almagro, Boedo e Flores sono i quartieri vicini dove si sviluppa il tango, la vera identità portegna. È lì che nasce Jorge Mario Bergoglio. I suoi genitori si erano conosciuti in chiesa. Entrambi tifavano per il San Lorenzo, il club del barrio. La scelta di una squadra, momento chiave nella vita di ogni ragazzo di Buenos Aires, per lui sarebbe diventata semplicissima. Nel club giocava a pallacanestro il papà che lo portava allo stadio - il Vecchio Gasometro - a godere con la squadra campione d'Argentina nel 1946. Ma il suo attacco favorito, che fino a poco tempo fa ancora recitava a memoria, è quello del '54: Berni, Col, Benavídez, Sanfilippo e Seoane. Lo racconta il giornalista che gli ha regalato il libro con la storia del San Lorenzo, Walter Nieto. «Eravamo andati a trovare un arcivescovo e io mi vergognavo del nostro regalo banale. Ma lui invece lo prese con affetto e parlò come un tifoso qualsiasi». Francesco finì l'incontro con una battuta: «Lo leggerò con tanta attenzione, sarà quasi come una seconda Bibbia».
Nel 2008, Bergoglio ha officiato la messa per i cent'anni del club. Ed è stato lui a benedire la nuova cappella del campo sportivo, pagata da Viggo Mortensen, il tifoso del San Lorenzo più famoso fino a mercoledì. In quella cappella ha cresimato due ragazzi che oggi fanno parte della rosa, Jonathan Pacheco e Angel Correa. Papa Francesco è tesserato del San Lorenzo da marzo 2008. Mercoledì, mentre il gabbiano si posava sul comignolo, al lotto argentino è uscito il numero 8235. La tessera di Bergoglio porta il numero 88235 (nella foto). È stato l'ultimo grande segno divino. Quattro mesi fa, Buenos Aires ha approvato la restituzione al club del terreno su cui sorgeva il Vecchio Gasometro. Lì verrà costruito il futuro stadio, con i soldi dei tifosi. Sarà il primo vero stadio del popolo. E secondo le voci, ora verrà chiamato Jorge Bergoglio.

martedì 5 marzo 2013

terra mia!!!

La spettacolare scenografia dei tifosi del Napoli allestita prima del match con la Juventus di venerdì scorso: il profilo del Vesuvio in eruzione, accompagnato dalla lapidaria scritta "Terra mia!!!". Ecco la migliore risposta agli odiosi cori razzisti che si sentono con sinistra regolarità in troppi stadi settentrionali, tra i quali quello dei bianconeri.