domenica 31 maggio 2009

il primo tiro in tre mesi

Di Diego Del Pozzo

Nella triste domenica conclusiva del mediocre campionato disputato dal Napoli - triste domenica nonostante la vittoria per 3-0 contro le riserve di un Chievo ormai salvo e appagato - c'è una notizia che merita di essere segnalata. No, non mi sto riferendo alla contestazione da parte dei tifosi o a nuove voci riguardanti il mercato degli azzurri, bensì a un piccolo grande evento che si è verificato al ventiseiesimo minuto del primo tempo.
Ebbene, allo scoccare di quel minuto è successa una cosa che avrà lasciato di stucco anche gli osservatori più distaccati delle vicende partenopee: il centrocampista slovacco Marek Hamsik (qui nella foto), su una veloce azione di mezzo contropiede, ha effettuato un tiro verso la porta avversaria; un tiro, peraltro, anche piuttosto pericoloso. Erano ben tre mesi che, in casa e in trasferta, non si verificava una cosa simile (non è né una battuta né una mia esagerazione). E direi che, per un centrocampista che nel solo girone d'andata aveva già segnato nove gol, la cosa si commenta da sola e non può che destare più di un sospetto su ciò che realmente si cela dietro un così scarso impegno da parte di un giocatore ancora giovane e perciò desideroso di emergere.
Spero per lui che, crescendo, Hamsik possa maturare come uomo e come calciatore.
Ps: Nella puntata di ieri della divertente trasmissione di Gene Gnocchi su Sky Sport 1, Marek Hamsik ha conquistato l'ironico (ma non troppo) "Premio Brunetta 2009", assegnato al calciatore più "fannullone" del campionato. Mai riconoscimento fu più meritato...

la coppa d'inghilterra va al chelsea

Di Stefano Cantalupi
(www.gazzetta.it - 30 maggio 2009)

Il bello di avere in squadra uno come Frank Lampard è sapere che, in qualsiasi momento, un suo tiro può risolvere la partita. Il brutto di avere in squadra uno come Tim Howard è sapere che anche lui può decidere il match, ma non necessariamente in positivo. La 128ª edizione della Coppa d'Inghilterra comunica il suo verdetto al minuto 27 della ripresa: Chelsea ed Everton sono sull'1-1 quando Lampard si avvicina all'area di rigore, scivola, si rialza e calcia dal limite, trovando impreparato il portiere americano dei Toffees. E così Howard, che in semifinale aveva parato rigori su rigori agli ex compagni del Manchester Utd, affonda l'Everton dopo averlo trascinato in finale.
Il successo del Chelsea (nella foto, la gioia dei giocatori), va detto subito, è più che meritato. Sia per quanto visto in campo, sia per il rendimento della squadra durante la gestione Hiddink. La rabbia che i Blues avranno di certo provato mercoledì scorso, quando il Barcellona ha trionfato in una finale di Champions League di cui Drogba e compagni si sentono defraudati, la riversano sul prato di Wembley. Colpiti a freddo da un gol-lampo di Saha dopo appena 25 secondi di gioco, dominano la gara e attaccano a testa bassa, alla ricerca del pareggio. Aggancio che riesce al 21': cross di Malouda e stacco maestoso del solito Drogba, che di testa anticipa un grande saltatore come Lescott e fa 1-1. Il Chelsea continua a spingere, soprattutto con i tentativi di Lampard e Malouda. E se l'inglese, come detto, risolve la sfida col suo 20° gol stagionale, il francese trova modo di essere protagonista due volte: prima si mangia un gol fatto, poi ne segna uno valido con una cannonata dalla distanza, ma l'arbitro e gli assistenti non si accorgono che il pallone, dopo aver colpito la traversa, ricade all'interno della linea di porta.
Il risultato, comunque, non cambia più. Hiddink può festeggiare il primo titolo vinto con un club che sta per lasciare, presumibilmente nelle mani di Carlo Ancelotti. Giusto premio per il mago olandese, che ora tornerà a concentrarsi sulla nazionale russa. E giusta soddisfazione anche per i Blues, che portano a Stamford Bridge la quinta FA Cup nella storia del club. Ora tocca ad Abramovich, che ha già in canna quattro o cinque maxi-colpi di mercato per rafforzare la sua corazzata e tornare a dominare in Inghilterra. Ma questo è il futuro: per ora il calcio inglese va in vacanza.

sabato 30 maggio 2009

everton e chelsea per la f.a. cup

Di Diego Del Pozzo

Nonostante la Premier League abbia chiuso i battenti qualche giorno fa (emettendo gli ultimi verdetti) e il Manchester United, nella finale di Champions League, sia stato sconfitto dal Barcellona la stagione del calcio inglese non è ancora finita, poiché all'appello manca l'ultimo titolo dell'annata, quello relativo alla competizione calcistica più antica del mondo.
Oggi pomeriggio, infatti, nello scenario dell'Imperial Stadium di Wembley, è in programma la finale numero 128 della F.A. Cup, la "mitica" Coppa d'Inghilterra. Si contenderanno il trofeo due squadre in blue, cioè Chelsea ed Everton, con quest'ultimo già sicuro di partecipare alla prossima Europa League in virtù della qualificazione degli uomini di Hiddink alla massima competizione europea.
I favori del pronostico vanno, naturalmente, al Chelsea, che vuole portare a casa il primo trofeo della stagione, anche per dare un senso compiuto al breve "regno" di Guus Hiddink. Dall'altra parte, però, l'Everton di David Moyes non mollerà di un centimetro, con la consueta grinta e l'adrenalina a mille per quella che è la partita più importante del club negli ultimi 14 anni.
La tensione sarà altissima, ma lo spettacolo non dovrebbe comunque mancare, se non altro grazie all'inimitabile cornice che rende ancora unica questa manifestazione.
L'appuntamento per gli appassionati italiani è sui canali sportivi di Sky a partire dalle ore 15.30, col fischio d'inizio fissato per le 16. E allora, buon divertimento!

venerdì 29 maggio 2009

pensiero della settimana: procure da nazionale

Di Diego Del Pozzo

Marcello Lippi lo ha rifatto: non ha convocato Antonio Cassano né tra i 21 "sperimentali" per l'amichevole con l'Irlanda del Nord né tra i 13 già sicuri di partire per la Confederations Cup. In totale, dunque, per il commissario tecnico della nostra Nazionale vi sono ben 34 calciatori italiani più forti di Fantantonio.
Ma è davvero così, o questi "geni" del pallone - e penso a talenti del calibro di Mascara, Foggia, Pepe, Pellissier, Biagianti, Esposito - hanno i procuratori "giusti"? Ah, Calciopoli...

giovedì 28 maggio 2009

champions league: barcellona in trionfo

Di Diego Del Pozzo

La finale romana di ieri sera è stata, comunque, uno spettacolo per intenditori: non scoppiettante com'era lecito attendersi, ma comunque ottimo esempio di calcio propositivo e moderno, soprattutto per merito del Barcellona neo-campione d'Europa. I Blaugrana di Pep Guardiola, infatti, hanno praticamente dominato la partita, chiudendola col classico 2-0 - gol di Eto'o al 10' e Messi (nella foto qui sotto) al 70' - e lasciando al Manchester United soltanto i primi dieci minuti di gara. E se la finale della Champions League 2009 non è stata ancora più bella, la responsabilità è da attribuire certamente agli uomini di sir Alex Ferguson, abbastanza deludenti soprattutto sul piano del ritmo e dell'intensità, anche perché ottimamente imbrigliati nella ragnatela di passaggi e nel "gioco controllato" dei catalani. E deludenti sono apparse anche le "stelle" del team inglese: da Cristiano Ronaldo a Rooney a Giggs.Il senso della finale di Champions League di ieri sera può essere racchiuso nelle dignitose parole di Patrice Evra, l'ottimo terzino sinistro del Manchester United, pronunciate nel dopogara ai microfoni delle televisioni italiane: "Il Barcellona ha meritato di vincere, perché ha giocato meglio di noi. Anche se noi non siamo stati il solito United. Guardiola - ha aggiunto Evra - è stato proprio forte tatticamente: non ci aspettavamo alcune sue mosse, che ci hanno messo molto in difficoltà". Il giocatore francese si riferisce, in particolare, all'idea del giovane tecnico di schierare largo a destra, nel tridente d'attacco blaugrana, Samuel Eto'o invece di Leo Messi: mossa che ha impedito al laterale sinistro dei Red Devils di attaccare con continuità, dovendosi preoccupare di due fasi di gioco (difensiva e offensiva) contro lo strapotere fisico del camerunense. Allo stesso tempo, Guardiola (nella foto qui a lato, portato in trionfo dai suoi giocatori) ha spostato Messi al centro dell'attacco, rovesciando a favore della sua squadra il gap fisico rispetto ai centrali difensivi dello United, Ferdinand e Vidic, andati costantemente in difficoltà in quanto attaccati sempre in velocità dalla "pulce atomica" e sbilanciati dai suoi scambi stretti con i due "signori del centrocampo" Xavi e Iniesta.
Il Barcellona di ieri sera, dunque, ha sgombrato il campo anche dalle perplessità di coloro che lo ritenevano capace di battere i Red Devils unicamente grazie a una partita perfetta. Gli è bastata, infatti, una gara di buon livello, ordinata e corretta, nella quale comunque si sono messe in evidenza le straordinarie individualità di una squadra che, quest'anno, ha battuto tutti i record: da un Leo Messi ormai avviato alla conquista del meritato Pallone d'Oro a uno Xavi per il quale non ci sono aggettivi possibili, dall'uomo della provvidenza Andrés Iniesta al sempre rapace Samuel Eto'o, da un sorprendente e sempre più sicuro Gerard Piqué al commovente capitano Carles Puyol (notevole nell'interpretazione dell'originario ruolo di terzino destro). Tutti guidati dalla mano sicura, dal carisma, dall'acutezza tattica - ha avuto la meglio su sir Alex! - di un Pep Guardiola che, al suo anno d'esordio come allenatore della prima squadra, ha saputo conquistare - unico nella storia del club - un memorabile e inedito "triplete" (Coppa del Re, Liga e Champions League), entrando di diritto nel ristretto novero dei tecnici più vincenti dell'epopea blaugrana oltre che nella cerchia degli allenatori di punta dell'attuale panorama internazionale. Di Guardiola, tra l'altro, continua a colpire anche la straordinaria sportività e raffinatezza, ben simboleggiate dalla sentita dedica al calcio italiano e a Paolo Maldini fatta "a caldo", con la coppa ancora stretta tra le mani.
Adesso per il Barcellona (qui sopra, esultante, nella foto) inizierà il difficile: cioè provare a ripetersi a livelli tanto alti. Il Manchester United, invece, già dal fischio finale di ieri sera ha cominciato a pensare alla possibile rivincita del prossimo anno, a riprova dello spirito indomabile di una squadra capace di conquistare - come il suo allenatore - ben trentadue trofei negli ultimi ventitré anni.
Un plauso finale va necessariamente fatto per la magnifica cornice romana della finale di Champions League e - perché no? - per la qualità dell'accoglienza - orrende "puncicature" escluse - da parte della città e delle sue istituzioni.

triplete!!!


mercoledì 27 maggio 2009

champions league: sarà una grande finale

Di Diego Del Pozzo

Quella di stasera allo stadio Olimpico di Roma, tra Barcellona e Manchester United, sarà davvero la finale di Champions League più bella che un tifoso si potesse augurare.
Sì, perché - a differenza di quanto accaduto fin troppe volte - mette l'una di fronte all'altra le due squadre che, in questo momento, praticano meglio di tutte l'arte del pallone (e il termine "arte" non è usato per caso). Insomma, nonostante le recriminazioni del Chelsea, se si guarda all'intera stagione e alla qualità del calcio espresso, Barcellona - Manchester United è davvero il massimo che un appassionato potesse sognare.
Tra l'altro, va sottolineato un dato numerico che rafforza ulteriormente l'impressione qualitativa: Blaugrana e Red Devils, infatti, si giocheranno la prima finale dal 1999 (l'anno della leggendaria Manchester - Bayern Monaco 2-1) disputata da due club vincitori dei rispettivi campionati nazionali, a dimostrazione di quanto sia complicato arrivare fino in fondo sul fronte interno e su quello europeo (come sa bene il buon Josè...) e di quanto siano forti queste due squadre.
Quindi, comunque la si voglia valutare, quella di stasera sarà una grande finale: troppo elevato, infatti, appare il livello di classe e talento individuali nonché quello del gioco collettivo espresso dalle due compagini. E, in caso di match tattico e più "bloccato", basterà la sapienza tattica dei due allenatori, sir Alex Ferguson e il debuttante di lusso Pep Guardiola, per non far comunque annoiare i veri appassionati di calcio.
Quella tra Barcellona e Manchester United sarà anche una sfida tra due scuole calcistiche dominanti (una a livello di club, l'altra con la Nazionale): da un lato, l'esperienza, la compattezza, la velocità e la classe degli inglesi, peraltro campioni uscenti; dall'altro, la tecnica sopraffina, la spettacolarità, la manovra avvolgente e il pressing altissimo dei catalani. E sarà anche la sfida tra il Pallone d'oro in carica e l'aspirante successore, cioè tra Cristiano Ronaldo e Leo Messi.
Ma sono davvero tanti i giocatori in grado di decidere il match di stasera: dallo straordinario Wayne Rooney di questa stagione all'eterno Ryan Giggs, fino agli altri due vertici del "triangolo delle meraviglie" blaugrana (il redivivo Thierry Henry e il sempre rapace Samuel Eto'o); oppure "signori del centrocampo" come Anderson e Park o come Iniesta e Xavi. E si potrebbe continuare a lungo...
Insomma, quando manca soltanto qualche ora al fischio d'inizio, una sola certezza mi accompagna verso questa serata di grande calcio: ci sarà senz'altro da divertirsi.

bentornato burnley!

Di Diego Del Pozzo

Dopo lo Stoke City dello scorso campionato, anche quest'anno una nobile decaduta del calcio inglese - sì, proprio una tra le dodici squadre fondatrici dell'ottocentesca Football League - riesce a conquistare la promozione nella massima serie, a distanza di decenni dalla sua ultima apparizione. Si tratta del Burnley, che trentatré anni dopo (era il 1976) ritorna nel campionato inglese di vertice, quello che una volta si chiamava First Division e oggi è noto come Premier League. Per inciso, va ricordato che il Burnley può vantare, nella sua bacheca, due titoli di campione d'Inghilterra (1921 e 1960) e una F.A. Cup (1914).
La promozione dei Clarets è arrivata lunedì pomeriggio, al termine di una bella finale dei play-off promozione di Championship, disputata secondo tradizione sul terreno di Wembley (nella foto sopra, i festeggiamenti), dove il Burnley ha avuto la meglio per 1-0 su un altro team storico del calcio inglese, cioè lo Sheffield United. Gli uomini del quarantatreenne manager Owen Coyle hanno ampiamente meritato la vittoria, al termine di un match praticamente dominato, condotto a ritmi elevati nonostante le ben 61 partite stagionali disputate tra campionato e coppe nazionali, dove il Burnley s'è costruito, negli ultimi due anni, una solida fama di "giant killer" grazie a eliminazioni eccellenti come quelle del trio londinese Fulham-Chelsea-Arsenal nella Coppa di Lega di quest'anno, nella quale i Clarets si sono fermati a due minuti dalla finale, incredibilmente rimontati da un Tottenham che si credeva già spacciato.
"Owen Coyle is God" hanno scritto su uno striscione i supporters della squadra del Lancashire al termine del vittorioso match di Wembley. E in effetti il giovane manager scozzese (qui sopra, nella foto) ha compiuto un autentico capolavoro nei suoi due anni alla guida del Burnley, riuscendo a dotare il suo team di una precisa identità e a fargli produrre un calcio piacevole e giocato prevalentemente con palla a terra e scambi in velocità. Il Burnley, infatti, va in Premier League attraverso il gioco, traendo il massimo in particolare da una caratteristica della sua proposta calcistica: la capacità di inserimento dei vari centrocampisti (Paterson, Eagles, Elliott), con azioni risultate decisive in tante partite, nel corso della regular season così come nei play-off.
Il Burnley, dunque, raggiunge in Premier League - dove potrà affrontare il Blackburn nell'accesissimo derby del Lancashire - le altre due promosse dalla Championship, Wolverhampton e Birmingham City, andando a costituire un terzetto di "matricole" di sicuro fascino e interesse; e arricchendo ulteriormente un campionato che, l'anno prossimo, si presenterà, se possibile, ancora più bello e spettacolare.

lunedì 25 maggio 2009

un paese di merda

Di Diego Del Pozzo

Non si capisce per quale motivo il movimento calcistico di un Paese non debba proporre le medesime caratteristiche del più generale contesto socio-culturale nel quale esso è inserito, ma ergersi ogni volta a "eccezione". In realtà, non può esservi alcuna eccezione, dato che i frequentatori degli stadi italiani sono prevalentemente italiani, così come la maggior parte dei giocatori che scendono in campo, degli allenatori che siedono in panchina e dei dirigenti che gestiscono l'affare da dietro la scrivania.
Dunque, mi hanno alquanto meravigliato le reazioni di sorpresa dei commentatori di fronte alle vergognose scene verificatesi ieri in diversi stadi italiani, in particolare la violenta rissa che ha concluso Torino-Genoa (nella foto, qui sotto) e l'allucinante contestazione degli ultras milanisti al loro capitano Paolo Maldini nel giorno della sua ultima partita a San Siro.
Per quale motivo, mi sono chiesto, tali episodi non si sarebbero dovuti verificare? Lo stadio Olimpico di Torino si trova forse in Inghilterra? E gli ultras milanisti guardano alla loro storia come fanno solitamente quelli madridisti? Certo che no! Perché Torino si trova in Italia e gli ultras milanisti sono italiani!
E ho volutamente citato Inghilterra e Spagna, in quanto Paesi complessivamente più civili del nostro. Nei rispettivi campionati, infatti, la giornata calcistica di ieri ha offerto, per fortuna, spettacoli ben più edificanti di quelli ai quali abbiamo dovuto assistere qui da noi.
Per la precisione, mentre a Torino succedeva il finimondo, per il solo fatto che il Genoa aveva "osato" giocarsi fino in fondo la propria partita, a Birmingham i sostenitori del Newcastle United appena retrocesso in Championship salutavano i propri giocatori - quest'anno francamente indifendibili - con cori di sostegno e applausi convinti, mentre gli stessi attraversavano il campo ringraziandoli a loro volta, applauditi anche dagli avversari dell'Aston Villa (squadra senza più nulla da chiedere al suo campionato, ma comunque vincitrice nell'ultima, "inutile" partita) e dai loro tifosi. Per inciso, sempre nella Premier League inglese le tre squadre impegnate nella lotta per non retrocedere - cioè, lo stesso Newcastle, il Sunderland e l'Hull City - hanno tutte perso le loro partite contro avversarie che, nella percezione italiota, avrebbero dovuto essere demotivate (il Villa già in Europa League, il Chelsea matematicamente terzo e il Manchester United ormai campione).
Trasferendoci in Spagna, poi, una nuova lezione di civiltà ci veniva impartita dalla platea del Santiago Bernabeu, durante l'ultima partita casalinga di un Real Madrid "stracciato" in campionato dal Barcellona stellare di Pep Guardiola. Ebbene, soltanto poche ore dopo la vergognosa contestazione degli ultras milanisti a Paolo Maldini, i tifosi madridisti - nonostante la delusione per la sconfitta che si stava concretizzando - salutavano con una commovente "standing ovation" Fabio Cannavaro, al momento della sostituzione (nella foto, qui sopra), regalandogli un ricordo indelebile della sua ultima partita disputata in quello stadio glorioso: Cannavaro tornerà alla Juventus dopo tre anni trascorsi al Real, col quale ha vinto due campionati di fila entrando a far parte, di diritto, della storia del club. E la propria storia si applaude, non si fischia...
Purtroppo, l'Italia di oggi è questa: un Paese di fischiatori, incattivito, vigliacco, incapace di valorizzare i propri punti di forza e ormai privo di speranza nel futuro. Perché il nostro calcio dovrebbe essere diverso?

l'ultimo striscione per maldini

Di Stefano Olivari
(http://nuovoindiscreto.blogspot.com/)

Un medio appassionato di calcio potrebbe non credere alla notizia che la curva del Milan abbia contestato Paolo Maldini (Paolo Maldini!!!) proprio nel giorno della sua ultima partita ufficiale a San Siro. E invece ci deve credere, prima di tutto perché eravamo lì e potremmo testimoniare. Poi perché in ogni realtà gli ultras rappresentano solo se stessi e non milioni di tifosi o di semplici ammiratori di Maldini. E infine perché Maldini, forse non tutti lo sanno, è uno di quei pochi giocatori importanti (sia in generale che a maggior ragione restringendo il discorso al Milan) a non essersi mai piegato alle logiche dell'andare a cena con quel capetto o con quel giornalista (anche se in qualche occasione non si è potuto sottrarre) per avere qualche favore o qualche mezzo voto in più: non ne ha mai avuto bisogno, e anche se magari la realtà ci smentirà non ha mai pensato di doversi costruire rapporti utili per il dopo-calcio.
Intimamente detesta questo mondo, anche se come tutti noi (noi nel sottoscala, ovviamente) forse non saprebbe vivere in un altro: ha velleità da imprenditore, qualche affare gli è anche andato bene, parla un bell'inglese, preferisce un viaggio alla discoteca con cinque alto del p.r., gli uomini di calcio non gli sono mai sembrati troppo interessanti.
Ma senza andare troppo sul filosofico, cosa c'è dietro lo striscione 'Sentiti ringraziamenti da chi hai definito mercenari e pezzenti'? C'è un episodio di quelli che non si raccontano mai, a metà fra la realtà e l'ingigantimento (non leggenda, però) metropolitano. Aeroporto di Istanbul, maggio 2005: il gruppo del Milan, con familiari al seguito, incrocia alcuni gruppi di tifosi. Il morale dei giocatori è sottoterra, per ovvii motivi, e cade ancora più in basso ascoltando in silenzio una raffica di insulti anche personali da parte di apparentemente tranquilli signori. Reagiscono però parenti ed amici, fra i quali la moglie di Maldini, Adriana, che avrebbe omaggiato gli urlatori del titolo di 'mercenari' e di 'pezzenti'.
Da qui il grande freddo fra il tifo organizzato (il paradosso è che quegli urlatori di Istanbul non erano ultras) ed il capitano rossonero, aggravato dal fatto che Maldini si è sempre fatto i fatti suoi. Per questo può vivere senza il gradimento di quelle poche migliaia, essendoci dieci milioni di persone che la pensano in modo diverso.
(Per gentile concessione dell'autore. Fonte: Indiscreto)

ancelotti preferisce "la coppa" (in che senso?)


Esilarante, il brano tratto dall'autobiografia di Carlo Ancelotti in uscita mercoledì. Lo ha pubblicato ieri La Gazzetta Sportiva (l'edizione domenicale della Gazzetta dello Sport). Eccolo. (d.d.p.)
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(La Gazzetta Sportiva - 24 maggio 2009)
Mercoledì esce in tutte le librerie "Preferisco la coppa" scritto da Carlo Ancelotti con il giornalista di Sky Alessandro Alciato. Il volume è edito da Rizzoli. Ecco, in anteprima, una parte del capitolo sul primo incontro tra Ancelotti e Galliani.
<[...] Nel 1987 il Milan aveva preso un allenatore giovane, Sacchi, che non so per quale motivo era fissato con me. Mi ha voluto a tutti i costi, più di Gullit e Van Basten che erano già stati comprati da altri. Ero arrabbiato, speravo che la trattativa andasse in porto subito ma ho dovuto aspettare un po': l'affare si è concluso l'ultimo giorno di mercato. Ero in vacanza in Sardegna, mi ha chiamato il segretario generale della Roma, Borgogno: "Ti abbiamo venduto. Vieni a Roma, ti do un indirizzo, vai e troverai un dirigente del Milan".
Palazzo al Velabro. Dovevo andare lì. Era un residence nella zona storica della città. Arrivo, entro, sono curioso. Il portiere non dice niente, mi dà la chiave della camera e mi fa l'occhiolino. Sul momento non so perché, il motivo l'avrei capito dopo. Salgo in stanza, apro la porta, il salone è grande. Sul tavolo ci sono champagne e pasticcini, lascio stare l'alcool ma il vassoio è spacciato. All'improvviso, a tradimento, spunta un dirigente del Milan, giovanile ma senza un capello in testa. Zero, neanche uno, ho controllato bene. È Adriano Galliani, l'amministratore delegato. Lo Zio. Penso al portiere, mi metto nei suoi panni e mi vengono i brividi: ha visto arrivare un signore senza capelli che prima di andare in stanza gli ha chiesto champagne e pasticcini, poi ha visto arrivare me, Carletto detto Il Bimbo. Capisco perché mi ha fatto l'occhiolino: ci ha preso per culattoni.
È la prima volta che vedo Galliani. Parliamo della sua filosofia, della società, di quello che vuole fare: "Abbiamo grandi ambizioni". Frase già sentita mille volte. "Vogliamo vincere il campionato l'anno prossimo, fare la Coppa dei campioni, vincere la Coppa dei campioni nel giro di due anni e la Coppa Intercontinentale il terzo". Ecco, questa è nuova. Guardo l'ora, dice cose da ubriaco ma è troppo presto perché sia già sfondato di alcool. Forse è completamente impazzito. Da lì a poco, avrei parlato al telefono con Silvio Berlusconi. Per la prima volta. "Pronto? Sono il presidente". "Buongiorno". "Buongiorno a lei: come stanno le sue ginocchia?". Non è che ci avesse proprio girato intorno. È stata la prima domanda, a bruciapelo. "Presidente, stanno bene". "Contiamo molto su di lei. Vogliamo vincere il campionato il prossimo anno, dopo due anni la Coppa dei Campioni, dopo tre la Coppa Intercontinentale". Ufficiale, l'ubriacatura era collettiva. Ma cosa cazzo bevono a Milano? Faceva un sacco di battute, è stato stimolante parlare con lui. "Allora arrivederci, presidente". "Arrivederci, Carletto. E speriamo che le visite mediche vadano bene". Mi sono toccato le palle>.

domenica 24 maggio 2009

shearer non è bastato

Di Diego Del Pozzo

Prima o poi doveva accadere. Ebbene, al termine della Premier League 2008-2009, il Newcastle United, cioè una tra le società calcistiche inglesi di maggior seguito e tradizione (nonché dai cospicui mezzi economici), è retrocesso nella Football League Championship al termine di un'annata francamente disastrosa. Assieme ai Magpies, scendono di categoria anche Middlesbrough e West Bromwich Albion.
Sì, ma perché scrivere, un po' crudelmente, che "prima o poi doveva accadere"? Molto semplice: per il fatto che il Newcastle è una tra le società peggio gestite dell'intero panorama internazionale, grazie a un ambiente esplosivo e perennemente sull'orlo di una crisi di nervi ma, soprattutto, a una dirigenza di rara incompetenza e arroganza. Il dispiacere per questa retrocessione è ancora maggiore perché ha coinvolto anche una bandiera come Alan Shearer (sconsolato, nella foto qui sopra), l'ex attaccante chiamato poche settimane fa, in veste di allenatore, al capezzale di un cadavere però già quasi in decomposizione.
Naturalmente, mi auguro che la "lezione" possa essere recepita in fretta da coloro che gestiranno società e squadra nell'immediato futuro e che, dunque, già al termine del prossimo campionato di Championship vi sia un pronto ritorno in massima serie da parte di una squadra che avrebbe ben altre potenzialità.

sabato 23 maggio 2009

storico in germania: wolfsburg campione!

Di Diego Del Pozzo

Anche la Bundesliga tedesca ha designato la sua squadra campione, ma a differenza di Serie A, Premier League e Liga lo ha fatto al termine di una equilibratissima maratona che, ancora prima della giornata conclusiva, dava la possibilità di conquistare il Meisterschale addirittura a tre squadre: la sorpresa Wolfsburg, il Bayern Monaco campione uscente e lo Stoccarda prepotentemente rientrato in gioco nelle ultime settimane.
Ebbene, alla fine l'ha spuntata - per la prima volta nella sua storia - il team dalle divise verdi, riccamente sponsorizzato dalla Volkswagen e guidato in panchina dal grande e sottovalutato Felix Magath, tecnico intelligente e preparato, dalle idee chiare, dai metodi decisi e dallo stile di gioco spettacolare e redditizio.
Il Wolfsburg di Magath ha trionfato grazie a un calcio decisamente a trazione anteriore, che l'ha reso una tra le macchine da gol più temibili dell'intero Continente (quest'anno secondo, probabilmente, soltanto al Barcellona stellare di Pep Guardiola). Buona parte del merito dello storico successo è da ascrivere all'esplosiva coppia d'attacco (qui sotto, nella foto) formata dal trentenne brasiliano Grafite - capocannoniere di Bundesliga con 28 gol in 25 partite - e dal ventitreenne bosniaco Edin Dzeko, autore a sua volta di 26 reti in 33 match disputati (ma, addirittura, 21 nel solo girone di ritorno!); alle loro spalle, a completare quello che in Germania è noto come il "triangolo delle meraviglie", l'altro bosniaco Zvjezdan Misimovic, assistman dal piede sopraffino e dalla notevole velocità di pensiero e d'esecuzione.
Il gioco del Wolfsburg s'è basato, per l'intera stagione, su una straordinaria condizione fisico-atletica derivante dai durissimi allenamenti estivi di Magath e dagli altrettanto intensi "ricarichi" proposti durante la pausa invernale. A partire dal "primo comandamento" secondo Magath, cioè "Senza condizione non si va da nessuna parte", i verdi della Bassa Sassonia hanno prodotto un calcio rapido e intenso, fatto di pressing continuo, linea difensiva altissima, scambi e ripartenze di rara velocità, uscendo fuori prepotentemente nella seconda parte della stagione proprio grazie alla perfetta preparazione atletica.
Nella rosa di quest'anno dei "lupi" spiccano il portiere svizzero Diego Benaglio, ormai estremo difensore di grande affidabilità; il difensore centrale italiano Andrea Barzagli, titolare inamovibile e guida sicura della terza linea in verde (nonché tra i migliori interpreti del ruolo nella Bundesliga 2008-2009); l'esperto capitano brasiliano Josué, tutto fosforo e polmoni in mezzo al campo; i giovani e dinamici tedeschi Andreas Schafer (difensore) e Christian Gentner (centrocampista), entrambi nel giro della Nazionale maggiore dopo essere passati per quelle giovanili. Purtroppo, invece, non ha trovato troppo spazio l'altro italiano Cristian Zaccardo, forse spiazzato dai duri metodi d'allenamento di Magath.
Nell'avventura in Champions League che attende il Wolfsburg durante la prossima stagione, però, proprio il tecnico-manager sarà l'assente di lusso, poiché già da diverse settimane ha ufficializzato il suo addio alla panchina dei verdi - lo sostituirà l'esperto Armin Veh, già trionfatore due anni fa con lo Stoccarda - per accettare un'offerta "irrinunciabile" (sua definizione) dello Schalke 04 di Gelsenkirchen, altra squadra ambiziosa e dai notevoli mezzi economici, che punta proprio su Felix Magath per dare l'assalto ai vertici della Bundesliga.
Il successo del Wolfsburg nel campionato tedesco 2008-2009 è stato meritatissimo, per la qualità del gioco espresso e, da un certo punto in poi, per l'impressionante regolarità che l'ha trasformato in una specie di schiacciasassi. Il risultato di maggior prestigio, in una stagione comunque indimenticabile, resta sicuramente il 5-1 rifilato, a inizio aprile, alla principale rivale nella corsa al titolo, cioè al Bayern Monaco giunto secondo a soli due punti: un risultato che vale più di mille commenti e che spegne sul nascere qualsiasi possibile recriminazione dei bavaresi.

venerdì 22 maggio 2009

lettera aperta di cannavaro ai tifosi


Dopo i vergognosi fischi dei quali è stato oggetto durante Napoli-Torino, il capitano degli azzurri, Paolo Cannavaro, ha deciso di scrivere una lettera aperta ai sostenitori napoletani. Riporto, qui di seguito, il comunicato ufficiale pubblicato sul sito del Napoli. (d.d.p.)
Di Paolo Cannavaro
Cari tifosi azzurri,
ho deciso di scrivere queste poche ma sentite righe per manifestare la mia amarezza in seguito all'episodio che mi ha visto, mio malgrado, protagonista domenica scorsa al San Paolo. Sono molto addolorato per la contestazione che è stata rivolta nei miei confronti. Non credo di meritare quei fischi né tanto meno un simile atteggiamento da parte vostra.
Non ho mai avuto in passato alcun gesto irrispettoso verso il pubblico ed ho sempre accettato ogni tipo di critica. Avete diritto di applaudire quando si vince e la libertà di fischiare quando le cose non vanno bene. Così come è giusto contestare un errore o una brutta prestazione, non posso accettare di essere il bersaglio di un accanimento che ritengo frutto di un inspiegabile pregiudizio.
Riconoscete tutti il mio amore verso questa maglia. Non ho bisogno di dirvi quanto significhino per me Napoli ed il Napoli. Ho sempre dato tutto per i colori azzurri e mi sono sempre esposto dentro e fuori dal campo per testimoniare l'infinita passione verso la mia città.
Chi mi conosce bene, a cominciare dai miei compagni, sa quale professionalità e quali valori morali abbiano ispirato e contraddistinto da sempre la mia carriera calcistica.
Quando sono tornato a Napoli, non solo ho sposato un progetto, ma ho coronato un sogno e abbracciato la mia più grande ambizione: vincere con la squadra del mio cuore.
Porto ancora oggi addosso i brividi sentiti nel giorno della promozione in Serie A. E proprio nella gioia di quei momenti indimenticabili ho capito ancor di più che per me questa non è una semplice maglia, ma una seconda pelle.
Questo messaggio che rivolgo a voi è un modo per manifestare ulteriormente i miei sentimenti e l'affetto che mi lega a quella che per sempre sentirò come la "mia" gente.
Da napoletano e da primo tifoso del Napoli, quale mi ritengo, darò sempre il massimo per la nostra causa. E vorrei poterlo fare condividendo con voi la gioia, la sofferenza, la passione, i sacrifici, le emozioni e l'amore per la nostra straordinaria città.
Giocare per la maglia azzurra è tutta la mia vita.
Orgoglioso di essere napoletano,
Paolo Cannavaro

la prima squadra ucraina...

Di Diego Del Pozzo

L'altra sera, una buona finale tra Shakhtar Donetsk e Werder Brema ha concluso l'esperienza pluridecennale della Coppa Uefa, che dal prossimo anno ripartirà col brutto nome di Europa League e una formula ancor più cervellotica di quella degli ultimi anni.
Una buona finale, si diceva, disputata da due squadre che hanno provato a vincere attaccando. Alla fine, ha avuto la meglio, meritatamente, lo Shakhtar (2-1 dopo i tempi supplementari), con i commentatori nostrani a sottolineare come, quella degli arancioni, sia stata "la prima vittoria di una squadra ucraina" (nella foto, l'undici schierato in finale).
Ebbene, questa frase mi ha fatto riflettere molto su quanto sia cambiato il calcio negli ultimi anni. Se, per esempio, le varie edizioni della Dinamo Kiev di Lobanovskij potevano essere appropriatamente definite "squadre ucraine", ciò non può esser valido - almeno nei medesimi termini - per il team di Donetsk, ucraino unicamente per l'indirizzo di stadio e sede sociale, oltre che per le origini del ricchissimo proprietario, l'oligarca Rinat Akhmetov, nato proprio nella cittadina industriale nota per le sue miniere.
Dal punto di vista tecnico, infatti, lo Shakhtar è un perfetto esempio di globalizzazione applicata al calcio. Globalizzazione intelligente, va detto, poiché per far crescere il club e portarlo prima ai vertici nazionali e poi nell'orbita dell'Europa che conta è stata scelta la strada del potenziamento della struttura tecnica e di quella societaria, del miglioramento dei campi di allenamento e del centro sportivo di proprietà (tutto assolutamente all'avanguardia), di una guida tecnica sicura e stabile (quella del maestro rumeno Mircea Lucescu, al quinto anno su quella panchina) e, infine, dell'immissione in rosa di giovani talenti pescati in giro per l'Europa e in Sudamerica: in particolare, nella squadra vincitrice dell'ultima Coppa Uefa della storia spiccano due cursori di fascia come il croato Dario Srna a destra e l'altro rumeno Razvan Rat a sinistra; il polacco Mariusz Lewandowski in mediana; ma soprattutto, dal centrocampo in su, una intelaiatura brasiliana (qui sotto, nella foto) assolutamente caratterizzante, composta dai vari Willian (classe 1988), Ilsinho (1985), Fernandinho (1985), Jadson (1983) e Luiz Adriano (1987).
Sono proprio loro, in ogni partita dello Shakhtar, a segnare la differenza con gli avversari, a impostare e concludere le manovre offensive con grande tecnica e scambi in velocità; in definitiva, a dare un'impronta chiara e inequivocabile - non certo ucraina... - al gioco della loro squadra.
Comunque, in questo caso gli effetti della globalizzazione sono stati assolutamente benefici, poiché una cosa è certa: veder giocare questo Shakhtar Donetsk rende felici coloro che amano il calcio, soprattutto grazie ai suoi tanti brasiliani, che ne hanno fatto "la prima squadra ucraina a vincere la Coppa Uefa".

mercoledì 20 maggio 2009

ibrahimovic - "bocca di rosa"

Di Roberto Vecchioni

E adesso, dopo vent'anni passati ad essere il contrario esatto di tutte le tifoserie possibili e immaginabili, noi interisti frustrati e mai domi, gabbati e signori, pirla quanto basta perché non lo sia lo Special One, implacabili al primo mezzo errore in campo, scontenti della pioggia e del sole, insofferenti e protagonisti sempre, quando juventini e milanisti seguono comunque il capo, in fila dietro l'ombrello tipo "gruppo in gita sui laghi", adesso noi, unici e insostituibili che ci studiano perfino nelle università americane, noi, dico, nipoti di Prisco e della sua superiorità aristotifica; noi ci andiamo a mettere alla pari di tutti gli altri manfrinari spandinsulti perché un calciapalle, campione quanto vuoi, si permette di offendere una città, una congrega di iniziati, una carovana di illusi? Ma basta, piantiamola con questa farsa del cuore e dell'attaccamento ai colori e prendiamole 'ste distanze dai fiorentini inviperiti per Baggio, dai gobbi per Zidane e da altre scene patetiche (commedia dell'arte pura quella per Kaká), distinguiamoci infine, facciamoci due belle risate sopra e sbattiamocene i maroni.
Certo che anch' io come tutti vorrei che Ibra restasse: e chi me li dà più i passaggi di tacco di trenta metri che tutta Roma si alza ad applaudire? Chi mi torna più indietro con la porta spalancata, perché "così no, è troppo facile, me ne dribblo qualche altro". Nessuno. Ma chi siamo noi interisti per sentirci i prediletti di Dio, anche se il sospetto è forte? Abbiamo avuto Corso, Ronaldo, Recoba, sgrillettati e geniali come noi e ridevamo di perdere mentre gli altri annoiavano a vincere: ci sono uomini che nascono così, non è colpa loro se li prende la frenesia di cambiare, svicolare, sfidare altra gente, altri sogni: sono zingari, anarchici, incontenibili, la stessa libertà che li fa impazzare per il campo se li porta via per mano, li costringe a far sempre e comunque il contrario, a sfidare le leggi di gravità della memoria e della riconoscenza perché, interisti popol mio, queste sono regole sociali, questa è etica, ma i ribelli, i Geni, inconsciamente, senza cattiveria, a queste regole manco ci pensano, sono mille miglia lontani.
Ogni volta che passo per Appiano mi sono tutti intorno Cordoba, Toldo, Materazzi, il mio amico Saverio. Ibra non mi ha mai salutato; mi passa davanti come fossi trasparente, e io non me lo filo per niente, come fosse una gara di resistenza. Un giorno o l'altro gli balzo davanti nudo con l'impermeabile aperto e voglio vedere che fa. Non saluta perché non vede, non perché sia maleducato. E non vede perché ha gli occhi che guardano dentro, non fuori; gli è capitata questa disgrazia e se la porta addosso con nobiltà. Non è mica facile essere diversi, noi interisti ne sappiamo qualcosa anche se non fino a questo punto: dev'essere, ho sempre pensato, un gran problema soprattutto con le donne che stai facendo l'amore con una e pensi sia un'altra, oppure nemmeno c'è, la donna.
Già leggo nei vostri pensieri un nugolo di obiezioni: "Bravo, Roberto, tu parli così, lo difendi e ci stai intortando con questa storia che noi interisti siamo dei signori e non possiamo confonderci con la buzzurraggine plebea di altre tifoserie! Ma rispondici un po': una persona come Ibra che ha avuto quel che ha avuto da noi e che all'improvviso volta le spalle e se ne va non è un po' una donna da strada?". Sì, un po' forse lo è, ma ad altissimi livelli di poesia e noi interisti, per distinguerci come sempre, invece di insultarlo e ricordargli il mestiere della madre, tradizione di famiglia, lo accompagneremo tutti in corteo all'aereo per Barcellona o Madrid o Londra, tenendo ben sollevato un cartello giallo con una scritta nera "Addio Zlatan, con te se ne parte la primavera", e ringraziandolo dal profondo del cuore, perché anche lui come Bocca di Rosa non può fare a meno di dare la sua specie d'amore a tutti, di rendere felici tutti.

napoli secondo estratto

Di Stefano Olivari
(http://nuovoindiscreto.blogspot.com/)

Il cambio di prospettiva del Napoli, rispetto agli entusiasmi di inizio stagione, fa riflettere su un piccolo retroscena di cui un amigo de la noche (fra l'altro conosce la mitologica Maurizia Paradiso, non gli abbiamo chiesto per quali giri) ci ha reso partecipi proprio ieri.
In pratica a fine febbraio, con Edy Reja come al solito in bilico e De Laurentiis stranamente distaccato a poche settimane dai proclami da Champions League, il direttore generale Pierpaolo Marino avrebbe annusato una manovra ben diversa da quella di un normale esonero di un allenatore.
In sostanza all'interno della squadra si stava parlando apertamente di un imminente arrivo da Udine di Pietro Leonardi, che sempre secondo questi benissimo informati avrebbe promesso al produttore di poter portare in estate Gian Piero Gasperini dopo avere ammorbidito Preziosi con vari argomenti di mercato e la consulenza di Alessandro Moggi. Leonardi, Gasperini, Moggi: tirando fuori relativamente pochi soldi De Laurentiis vagheggiava la costruzione di una specie di Juve del Sud (una vincente per la verità c'è già stata, nel basket a Caserta), sotto la tutela dell'ex re del mercato.
Inutile aggiungere che in questo scenario al di là di Reja il sacrificato sarebbe stato Marino. Che non a caso è stato il principale sponsor dell'operazione Donadoni. Non perché avesse qualche affare in comune con l'ex c.t. azzurro, ma perché uno "vero" invece di un traghettatore trimestrale avrebbe significato far saltare o almeno rimandare l'operazione di marca moggiana. E così il 10 marzo Donadoni ha firmato fino al 2011, per circa due milioni lordi a stagione. Una cifra tutto sommato modesta, che non lo mette al riparo da esoneri: in attesa di capire cosa si può fare nella Juve vera (tanto, visti i segnali) il simpatico gruppo si tiene sempre di riserva il Napoli.
(Per gentile concessione dell'autore. Fonte: Indiscreto)

martedì 19 maggio 2009

pensiero della settimana: l'ostile juve

Di Diego Del Pozzo

A sole due giornate dalla fine del campionato la Juventus ha esonerato l'allenatore Claudio Ranieri e affidato la prima squadra al responsabile delle giovanili Ciro Ferrara. Saranno contenti i "senatori" ribelli, i giornalisti di Tuttosport e le vedove moggiane in servizio permanente.
Che dire? Dallo "Stile Juve" si ritorna all'ostile Juve...

domenica 17 maggio 2009

a napoli pubblico vergognoso

Di Diego Del Pozzo

Il comportamento del pubblico di casa durante la partita odierna tra Napoli e Torino è stato semplicemente vergognoso, in particolare per il consueto accanimento nei confronti di Paolo Cannavaro, napoletano "doc" e capitano della squadra.
La "grave" colpa del difensore centrale è stata, agli occhi degli imbecilli che l'hanno fischiato per tutta l'ultima mezz'ora di gioco, quella di essersi fatto superare da Rolando Bianchi in occasione del gol del pareggio granata: non una papera, intendiamoci, ma una normale azione di gioco, con buon movimento offensivo dell'attaccante a sbilanciare il difensore azzurro; insomma, un confronto tra due atleti, come ne possono capitare tanti nel corso di un match. Ovviamente, Cannavaro si è molto innervosito per l'atteggiamento scorretto del pubblico e, nei minuti conclusivi, s'è lasciato andare a qualche errore di troppo e pure a un paio di interventi scomposti, rimediando l'ammonizione e rischiando addirittura di essere mandato via dall'arbitro prima del fischio finale.
Se il pubblico napoletano, invece di sostenere la squadra, vuole per forza fischiare qualcuno, dovrebbe innanzitutto lasciare in pace chi dedica tutto se stesso alla causa, con impegno e serietà; e, se proprio deve, potrebbe pensare di concentrare i propri sforzi su quei giocatori che, per mesi, hanno privilegiato la vita notturna all'impegno agonistico, oppure su quegli altri - come Marek Hamsik, irritante anche oggi - che hanno smesso di giocare da più di tre mesi, concentrando la propria attenzione unicamente sul modo più indolore per lasciare quanto prima squadra e città.
E come dare torto, d'altra parte, a Hamsik o a chiunque altro voglia lasciare il Napoli prima della scadenza naturale del proprio contratto? Nel corso di questa stagione, infatti, diversi giocatori partenopei hanno subìto rapine dolorose e dai contorni assolutamente poco chiari (lo stesso Hamsik, a fine dicembre, s'è visto puntare una pistola in bocca in pieno centro cittadino...); inoltre, non va dimenticata la gravissima irruzione dei tifosi - anche se, a voler essere più precisi, non li si dovrebbe chiamare così - nel centro sportivo di Castelvolturno per imporre ai calciatori i loro diktat minacciosi.
Pensando a tutte queste cose, poi, come si può altresì dare torto ai giocatori che - come per esempio Floccari o, in anni passati, lo stesso Rolando Bianchi - decidono di rifiutare le avances del Napoli e scelgono di andare a giocare altrove? Per quale motivo, infatti, un professionista dovrebbe venire a esibirsi in una realtà sociale ormai completamente sfaldata come quella del capoluogo campano, alle dipendenze di una società che ha chiaramente mostrato di non saper gestire al meglio i rapporti con la propria turbolenta tifoseria e in un ambiente che, alla prima difficoltà, si rivolta contro i propri beniamini?
In conclusione, la partita di oggi ha rafforzato in me una convinzione, che d'altra parte mi ha sempre accompagnato in questi mesi: la travolgente crisi che, dall'inizio del 2009, ha compromesso la stagione del Napoli si spiega anche, o forse addirittura soprattutto, col contesto ambientale ostile nel quale la squadra ha dovuto giocare per molto tempo, poco o per nulla tutelata da una società che, in quel frangente, ha mostrato per intero la sua inadeguatezza al livello della Serie A. Ricordiamo quei mesi, per far sì che non debbano ripetersi mai più: una squadra giovane e inesperta letteralmente terrorizzata nelle partite al San Paolo (bastino, come esempi, gli autentici "linciaggi" dei difensori in Napoli-Bologna, Napoli-Lazio e Napoli-Genoa), il presidente De Laurentiis per quasi un mese negli Stati Uniti per lavoro, il solo Marino lasciato in città a maneggiare la dinamite, il silenzio assordante di entrambi i dirigenti (solitamente molto loquaci), Edy Reja identificato come unico capro espiatorio della situazione, la già ricordata irruzione dei tifosi nel centro sportivo con relative minacce ai giocatori, la mancanza di una figura carismatica (Bruscolotti come team manager) da proporre come filtro con l'ambiente e la tifoseria, la disorganizzazione trovata da Donadoni al suo arrivo.
Insomma, altro che Champions League o Coppa Uefa (dal prossimo anno Europa League): per puntare in alto bisogna ancora crescere tanto, investendo innanzitutto sul potenziamento di una struttura societaria che continua a fare acqua da tutte le parti e che, finora, ha saputo gestire egregiamente Serie C1 e Serie B ma va rafforzata senza indugi per potersi confrontare sullo stesso terreno con le vere grandi del calcio nostrano.

lo scudetto al tempo della tv dominante

Di Diego Del Pozzo

In altri tempi, si sarebbe esultato al novantesimo minuto delle partite domenicali, con tutti i match disputati contemporaneamente e giocatori e tifosi della squadra che finiva per prima fermi in campo e sugli spalti in attesa della conclusione della partita dei concorrenti diretti.
Adesso, invece, nell'era del calcio in mano alle televisioni, può capitare che il Manchester United in Inghilterra diventi campione prima ancora che la rivale Liverpool disputi la propria partita, mentre l'Inter in Italia e il Barcellona in Spagna conquistino i rispettivi campionati senza nemmeno dover scendere in campo, aspettando davanti ai teleschermi la conclusione degli anticipi del sabato sera e trasformando, inevitabilmente, le rispettive partite domenicali in amichevoli o poco più, azzerandone del tutto l'importanza e il pathos e, di conseguenza, falsando concorsi a premi come il Totocalcio, scommesse più o meno legali, Fantacalcio e tornei amicali di vario tipo.
In alcuni casi, poi, si verificano coincidenze tali da far sorgere sospetti anche sul regolare svolgimento dei vari campionati: basti l'esempio dell'Inghilterra, dove il West Bromwich Albion ancora impegnato nella lotta per non retrocedere giocherà oggi contro un Liverpool demotivato e senza più obiettivi, cosa che non sarebbe successa con la disputa contemporanea dei vari match. Ma volete mettere l'emozione di vedere in diretta televisiva Manchester United - Arsenal all'ora di pranzo del sabato?
Ormai, nel calcio globalizzato di oggi, sono i network televisivi a dettare le regole del gioco, a scandire agende e calendari della stagione e, in definitiva, a decidere quale menù dovrà essere propinato a noi tifosi e appassionati. In cambio, ovviamente, di una vagonata di quattrini...

venerdì 15 maggio 2009

ancora furti in casa napoli...

Di Diego Del Pozzo

Notizia curiosa e preoccupante, diffusa ieri pomeriggio dalle agenzie: l'attaccante del Napoli Marcelo Zalayeta ha subìto un furto di auto e gioielli nella sua casa napoletana, mentre era all'interno a... dormire. "Non mi sono accorto di nulla", ha dichiarato il giocatore, che in realtà è stato narcotizzato dai malviventi.
Il furto arriva a pochi giorni di distanza dalla polemica fuga che aveva visto protagonista Zalayeta, poi tornato all'ovile col capo cosparso di cenere. E allora, anche sulla scorta di precedenti episodi altrettanto inquietanti, non si può fare a meno di collegare tra loro le varie situazioni: che sia anche questo, dunque, un nuovo "avvertimento" dei tifosi a quei giocatori che, a loro dire, non si impegnano abbastanza per i colori del cuore?
E, se così fosse, come si potrebbe dare torto a quei calciatori che non vogliono venire a giocare a Napoli o, peggio ancora, desiderano andare via prima della naturale scadenza del contratto, come credo voglia fare, per esempio, Marek Hamsik?

giovedì 14 maggio 2009

luca cigarini al napoli?

Di Diego Del Pozzo

Nella tarda serata, Sky Sport 24 - ovvero la home page del mio televisore - ha annunciato la conclusione della trattativa tra Napoli, Atalanta e Parma per l'acquisto, da parte della squadra azzurra, del regista della nazionale Under 21, Luca Cigarini. Il costo dell'operazione sarebbe pari a 11 milioni di euro - la cifra più alta dell'era De Laurentiis - ripartiti in parti uguali tra Atalanta (quattro in contanti più la seconda metà del cartellino di Garics) e Parma (5,5 in contanti).
Non so se davvero la trattativa sia già conclusa come dicono, ma qualora fosse così allora il Napoli avrebbe, finalmente, quel "cervello" di centrocampo che tanto è mancato in queste prime due stagioni di Serie A; un giocatore, peraltro, futuribile e perfetto per giocare al centro di una seconda linea a tre, come dovrebbe essere quella progettata da Donadoni per la prossima stagione. Con l'arrivo di Luca Cigarini, poi, Gargano potrebbe, a questo punto, essere sgravato da compiti di regia e giocare sul centrosinistra, sfruttando al meglio, la sua corsa e il suo dinamismo anche per inserirsi maggiormente rispetto al passato.
Comunque, dopo il deludente torneo di quest'anno, credo che siamo soltanto all'inizio di una lunga estate calda...

mercoledì 13 maggio 2009

sheffield utd. e burnley a wembley per la premier


La Championship inglese ha designato le due finaliste dei playoff-promozione: Sheffield United e Burnley. Le due squadre si affronteranno in finale lunedì 25 maggio a Wembley e la vincente raggiungerà le già promosse Wolverhampton e Birmingham in Premier League. Qui di seguito, uno stralcio dei due articoli che, sul suo blog, Silvio Di fede ha dedicato alle semifinali. (d.d.p.)
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Di Silvio Di Fede
Due anni dopo la controversa retrocessione dalla Premier League e le grandi polemiche susseguenti, lo Sheffield United è ad una partita dalla promozione dopo aver ottenuto l'accesso alla finale dei playoff della Championship, eliminando con pieno merito un Preston non del tutto convincente nel corso della doppia sfida, forse un po' appagato dalla grandissima rimonta effettuata per arrivare alla post-season o forse più semplicemente abbastanza stanco per reggere contro la grande fame delle Blades.
Il match del Bramall Lane allora finisce per essere dominato per tutta la prima ora dai padroni di casa, che vanno tante volte al tiro in modo pericoloso, trovando sulla loro strada il solito Lonergan oppure mancando il bersaglio per pochi centimetri, come sulla conclusione da posizione centrale di Craig Beattie, questa sera titolare al posto dell'infortunato Henderson.
Sembra essere una serata frustrante perché nonostante questo dominio lo Sheffield United non riesce a trovare il vantaggio, che però finalmente arriva al 59' quando sul cross di Walker arriva la grande incornata di Greg Halford (qui sopra, nella foto), decisivo anche nei playoff dopo esserlo stato per buona parte della regular season, lui che è un terzino destro che Blackwell ha trasformato come jolly di centrocampo o addirittura come centravanti in alcuni momenti di difficoltà per gli infortuni. Al gol subito arriva finalmente la reazione del Preston, che schiaccia lo Sheffield United e va anche vicino al pareggio che avrebbe portato ai supplementari in virtù del 1-1 dell'andata, ma Kenny riesce a tenere imbattuta la propria porta e le Blades accedono con merito alla finale.
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Di Silvio Di Fede
A sfidare lo Sheffield United a Wembley nella finale dei playoff di Championship sarà il sensazionale Burnley, creatura terribile creata ottimamente da Owen Coyle, squadra che proveniva dall'aver rischiato la retrocessione lo scorso anno ma che invece quest'anno è riuscita ad andare benissimo in tutte le competizioni, tanto che quella del Madejski Stadium era per i Clarets nientemeno che la 60esima partita stagionale, numero davvero enorme.
Dopo aver vinto 1-0 il match di andata con una buona dose di fortuna, la squadra del Lancashire ha legittimato la sua qualificazione alla finale giocando una buonissima partita in casa del Reading, influendo decisamente nella scarsissima vitalità dei Royals per poi andare a pescare due gol fantastici con Martin Paterson e Steven Thompson (nella foto sopra, l'esultanza dei giocatori del Burnley) e infliggere due colpi letali ad una squadra che invece adesso dovrà affrontare un'estate molto lunga e difficile. [...] Chi invece sogna è il Burnley, club assolutamente storico visto che è stato uno dei 12 membri fondatori della Football League e che per due volte è stato Campione d'Inghilterra, nel 1921 e nel 1960, ma che ormai dal 1976 manca nella prima serie del calcio inglese, segno di uno sport capace di rinnovarsi e di proporre squadre nuove e giovani ad alto livello ma che di tanto in tanto ha bisogno di riproporre al vertice dei club così fedeli alla tradizione.
[...] Finisce qui allora la stagione del Reading, che deve riflettere su questo calo troppo evidente negli ultimi mesi, che ha impedito ad una squadra splendida nella prima metà di stagione di ottenere quella promozione che probabilmente ad un certo punto dell'annata avrebbe meritato molto più del Birmingham City. [...] Il bello per il Burnley viene adesso visto che, pur non partendo favorita, la squadra di Coyle può dire certamente la propria nella finale contro lo Sheffield United, specialmente qualora dovesse recuperare al meglio elementi fondamentali come Chris Eagles. Inoltre, i precedenti in regular season sono decisamente favorevoli ai Clarets, che espugnarono Bramall Lane a Dicembre per 3-2 e poi in un Monday Night dello scorso aprile inflissero un meritato 1-0 alla squadra di Blackwell con la rete di Paterson, rallentando la rimonta delle Blades verso il secondo posto.

martedì 12 maggio 2009

pensiero della settimana: regali graditi

Di Diego Del Pozzo

Chi l'avrebbe mai detto, che Josè Mourinho avrebbe dovuto ringraziare proprio il suo "amico" Claudio Ranieri per lo scudetto ricevuto in regalo domenica sera...

lunedì 11 maggio 2009

un week-end dedicato ad altro...

Di Diego Del Pozzo

Causa matrimonio di mio fratello - a proposito: di nuovo tanti auguri!!! - ho dedicato minore attenzione a questo e all'altro blog e, più in generale, agli eventi calcistici del week-end.
Ieri sera, una volta rientrato a casa, mi sono reso conto che non mi ero perso un granché:
1) Arsenal travolto in casa dal Chelsea in Premier League, con Manchester United e Liverpool che hanno passeggiato contro le rispettive avversarie;
2) Solito pareggino del Napoli da trasferta (ma quando finisce questo ormai inutile campionato degli azzurri?);
3) Sfilza di pareggi in Serie A, con le sole Fiorentina e Udinese a giovarsene;
4) Due soli gol segnati al Fantacalcio - Jovetic e Quagliarella - più uno (Balotelli) perso in panchina;
5) Ammucchiata sempre più impressionante in Bundesliga;
6) Barcellona che non ha ancora vinto matematicamente il suo campionato;
7) Porto che, invece, ha vinto matematicamente il suo campionato;
8) Ranieri che ha praticamente regalato lo scudetto al suo amico Mourinho;
9) Nella Championship inglese sono iniziati i playoff promozione;
10) Zamparini - come al solito, dopo una sconfitta del Palermo - ha dato del "dilettante" all'allenatore Ballardini.
Insomma, niente di nuovo sotto il sole, mentre io mi riscaldavo al sole di Ravello...

giovedì 7 maggio 2009

champions: in finale manchester e barcellona

Di Diego Del Pozzo

Le semifinali di ritorno di Champions League hanno promosso, in definitiva, le due squadre più forti e meritevoli, cioè Manchester United e Barcellona, con ovvie recriminazioni da parte del Chelsea, in quello che si presentava come il confronto più equilibrato, tra due possibili vincitrici della competizione.
Come poteva essere facilmente prevedibile, dunque, la partita di ieri sera a Stamford Bridge è stata un'autentica battaglia, con capovolgimenti di fronte, emozioni a ripetizione, un arbitraggio mediocre (ma non scientifico... come hanno accusato i londinesi dopo l'eliminazione) a rendere il tutto ancora più incerto, anche se ieri sera i Blues avrebbero meritato di più (come i Blaugrana all'andata, però). Alla fine, comunque, nonostante la rabbia di Hiddink per un'eliminazione giunta al 93° minuto, l'approdo in finale del Barcellona impedirà di vedere un'altra partita con una squadra chiusa in difesa per novanta minuti e soltanto l'altra a fare gioco cercando di sfondarne il muro di cemento armato.
Nell'altra semifinale, la sera prima, l'Arsenal di Wenger aveva mostrato, ancora una volta, di essere un magnifico esperimento di calcio applicato, risultando, però, perdente nei confronti dell'altrettanto spettacolare, ma ben più concreto e cinico Manchester United di sir Alex. Certo che se il giovane Gibbs non fosse scivolato nella sua area dopo una decina di minuti...
Adesso l'appuntamento è per il 27 maggio allo stadio Olimpico di Roma, con la finale che davvero tutti volevano e che metterà di fronte le due squadre di club attualmente più forti al mondo e i due migliori singoli calciatori del panorama internazionale, cioè Cristiano Ronaldo e Leo Messi.
Alla fine, dunque, i più forti sono arrivati fino in fondo (come capita quasi sempre), con tanti saluti a chi si ostina a dire - magari dopo una meritata quanto prematura eliminazione - che la Champions League è una competizione nella quale, a differenza dei campionati nazionali, non sempre vincono i migliori. Vero, Josè?
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Champions League 2008-2009
Semifinali:
1) Barcellona - Chelsea 0-0 / 1-1
2) Manchester United - Arsenal 1-0 / 3-1
Finale, mercoledì 27 maggio, stadio Olimpico, Roma:
Manchester United - Barcellona

mercoledì 6 maggio 2009

pensiero della settimana: il panteròn

Di Diego Del Pozzo

L'ammutinamento di Marcelo Zalayeta - che ha disertato due giorni di allenamento, senza avvertire né rendersi reperibile - ha avuto, almeno, un aspetto decisamente positivo. Ora, infatti, la dirigenza azzurra ha capito quale deve essere la sua prima azione in vista della prossima stagione: "tagliare" senza pietà quei giocatori che pensano prima a se stessi che al bene della squadra; e in questo il "panteròn" uruguayano non teme confronti.

lunedì 4 maggio 2009

esprit de finesse


«Conosciamo la verità non solo con la ragione, ma anche col cuore; ed è in questo secondo modo che conosciamo i principi primi, e inutilmente il ragionamento, che non vi ha parte, s'industria di combatterli». (Blaise Pascal, Pensieri, 282)

domenica 3 maggio 2009

real madrid - barcellona 2-6!!!

Di Diego Del Pozzo

Non si era mai visto un Real Madrid umiliato in questo modo nella sua roccaforte! E poi, scandalo degli scandali, da parte dei rivali di sempre!
Ebbene, ieri sera, nell'occasione più importante della stagione calcistica spagnola, il Barcellona di Pep Guardiola ha deciso di dimostrare in modo inequivocabile quale fosse la squadra più forte e meritevole del successo nella Liga 2008-2009: così, proprio per non lasciare nessun dubbio residuo, ha deciso di venire al Santiago Bernabeu e distruggere il Real Madrid a domicilio, sconfiggendolo addirittura per 6-2 e scrivendo una pagina di storia del calcio mondiale.
Le Merengues allenate da Juande Ramos sono rimaste in partita appena per un quarto d'ora. Poi, dal momento del loro gol del vantaggio - che gli uomini di Guardiola avranno preso, evidentemente, come una offesa personale - sono stati letteralmente schiacciati dal talento e dalla forza d'urto dei solisti blaugrana, peraltro esaltati da un meccanismo di gioco che contribuisce a esaltarne ulteriormente le già straordinarie qualità.
Così, un primo tempo con tre gol subìti e almeno altri quattro sventati per pochissimo ha chiarito in modo lampante il senso dell'indimenticabile serata madrilena. Nella ripresa, poi, il Real ha "osato" segnare il gol del 2-3 e - come conseguenza inevitabile - ha dovuto fronteggiare l'immediata reazione di un Barcellona quasi offeso da tanto ardire: il risultato sono stati altri tre gol, che hanno nuovamente dato proporzioni più veritiere alla differenza attualmente esistente tra le due squadre.
Al fischio finale, gli uomini in maglia blaugrana si abbracciavano felici al centro del campo festeggiando un trionfo che, probabilmente, nemmeno loro si attendevano di tali proporzioni.
Adesso, però, si volta già pagina e, mercoledì sera a Londra, tocca alla Champions League e al Chelsea di Guus Hiddink, comunque altra storia rispetto al Real Madrid visto ieri sera, soprattutto per ciò che concerne la ridicola fase difensiva esibita (si fa per dire...) per tutti i novanta minuti.
REAL MADRID-BARCELLONA 2-6 (primo tempo 1-3)
MARCATORI: Higuain (R) al 14', Henry (B) al 18', Puyol (B) al 20', Messi (B) al 35' p.t.; Ramos (R) all'11', Henry (B) al 13', Messi (B) al 30', Piqué (B) al 38' s.t.
REAL MADRID (4-4-2): Casillas 5.5; S. Ramos 5 (dal 27' s.t. Van der Vaart s.v.), Cannavaro 4, Metzelder 4.5, Heinze 4; Robben 5.5 (dal 34' s.t. Javi Garcia s.v.), Gago 4.5, L. Diarra 4, Marcelo 4.5 (dal 15' s.t. Huntelaar 5); Higuain 6, Raul 5. (Dudek, Torres, Drenthe, Faubert).
All.: J. Ramos 3.
BARCELLONA (4-3-3): Valdes 6; D. Alves 6.5, Puyol 7, Piqué 7, Abidal 6; Xavi 8.5, Toure 7 (dal 40' s.t. Busquets s.v.), Iniesta 7.5 (dal 40' s.t. Krkic s.v.); Messi 8, Eto'o 6.5, Henry 8 (dal 16' s.t. Keita 6.5). (Jorquera, Sylvinho, Caceres, Gudjohnsen).
All.: Guardiola 9.
ARBITRO: Undiano Mallenco 6.
NOTE: spettatori 80mila circa.
Ammoniti: S. Ramos, Marcelo, Van der Vaart, Javi Garcia, Abidal, Puyol.

sabato 2 maggio 2009

la roma, che delusione...

Di Diego Del Pozzo

La squadra più deludente del campionato di Serie A che si concluderà a fine mese è certamente la Roma. Si tratta di un dato incontrovertibile, poiché stiamo parlando della squadra che, nella scorsa stagione, è arrivata a soli 45 minuti dallo scudetto e che, invece, quest'anno non ha convinto quasi mai - in questo, sì, davvero continua... - e, in queste ultime giornate, dovrà impegnarsi strenuamente per raggiungere il quarto posto che qualifica ai preliminari della Champions League.
Quarto posto e qualificazione Champions che, a meno di un concreto cambio di proprietà, sarebbero, per la squadra giallorossa, quasi sinonimi di sopravvivenza, quantomeno con ambizioni di vertice. In caso di fallimento, infatti, il rischio di un ridimensionamento deciso e dolorosissimo sarebbe assolutamente concreto, poiché la Roma attuale ha bisogno dei soldi della Uefa per fare mercato, non potendo contare su "paperoni" in grado di ricapitalizzare a ogni pie' sospinto.
Sulla crisi della Roma si è soffermato anche un illustre e mai dimenticato ex allenatore dei giallorossi, ovvero il "mitico" Zdenek Zeman, in una lunga intervista pubblicata su La Gazzetta dello Sport di giovedì. Alla richiesta di indicare la squadra più deludente del campionato, infatti, il Boemo ha risposto così: "La Roma, perché doveva lottare per lo scudetto. Ha fallito, non solo per il netto peggioramento - ha sottolineato Zeman - rispetto alla classifica dello scorso campionato, ma anche per l'involuzione del gioco, che pure Spalletti aveva saputo proporre a certi livelli negli ultimi anni. Non credo che la causa 'scatenante' sia la limitata disponibilità economica dei Sensi. La rosa della Roma è inferiore solo all'Inter".
Ma allora, quali possono essere state le cause reali di un tracollo tanto inatteso e doloroso? Provo ad azzardare alcuni spunti, auspicando magari l'intervento chiarificatore di qualcuno più addentro alle cose romaniste:
1) un ambiente logoro, prosciugato mentalmente dallo sforzo dello scorso anno per rimontare sull'Inter, senza riuscirci per pochissimo;
2) una pericolosa tendenza al piagnisteo e all'autocommiserazione, che fa vedere in tutta la loro evidenza le pagliuzze negli occhi altrui senza notare mai le travi in quelli propri (per restare ancora allo scorso campionato: va bene lamentarsi per i tanti episodi dubbi a favore dell'Inter, ma perché dimenticare lo scellerato pareggio casalingo col Livorno?);
3) una evidente stanchezza da parte di Luciano Spalletti, che l'estate scorsa, al culmine della delusione per scelte di mercato mai pienamente condivise, si era offerto al Chelsea e ad altre grandi europee, salvo poi sconfessare il tutto, unicamente per quieto vivere;
4) un anno e tanti acciacchi in più nelle gambe di Francesco Totti, che in salute resta ancora oggi - forse assieme a Cassano - il più decisivo giocatore di nazionalità italiana;
5) troppi dissapori tra alcuni giocatori-chiave (Aquilani?) e i quadri societari, a causa di mai chiarite situazioni legate a ingaggi e rinnovi contrattuali;
6) una preparazione atletica che ha fatto entrare la Roma nel Guinness dei Primati degli infortuni subìti in stagione (e, non a caso, nello staff medico della società sono cadute diverse teste...);
7) le incertezze sul futuro societario e i dubbi sulla reale consistenza economico-finanziaria;
8) l'incapacità di gestire emotivamente il doppio impegno campionato-Champions, col ricattatorio miraggio della finale europea da disputarsi nello stadio di casa.
Sommando tutto ciò non poteva che prodursi quanto s'è puntualmente verificato nel corso di questa disastrosa stagione.
Certo è che, in caso di mancata conquista del quarto posto, dal prossimo anno a Trigoria cambieranno molte, molte cose...

venerdì 1 maggio 2009

il "mou" come chuck norris!


Era solo questione di tempo, prima che qualcuno ci pensasse: dopo Chuck Norris e il presidente Barack Obama, anche Josè Mourinho ha il suo libro dei "fatti". Di che si tratta? Leggete questo articolo per saperne di più. (d.d.p.)
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Di Luigi Garlando (La Gazzetta dello Sport - 1 maggio 2009)
Avete presente il tormentone su Chuck Norris, il Walker Texas Ranger televisivo dalle imprese impossibili? Negli Usa li chiamano "Chuck Norris Facts", cioè "I fatti di Chuck Norris" e hanno spopolato in rete anche da noi. Cose tipo: "Chuck Norris non porta l'orologio, decide lui che ora è", "Chuck Norris può fumare in aereo col finestrino abbassato". Tempi duri per il mitico ranger, perché a sbarrargli la strada è arrivato un tipo tosto, dalla barba incolta, non un pirla. Il suo nome è: Special Uan.
Non ci credete? Volete qualche "fatto
"? "Lo Special Uan non solo ha resuscitato Lazzaro, lo ha schierato titolare dieci minuti dopo". "Lo Special Uan, informato dell'elezione di Obama, ha dichiarato: Ha quattro anni di contratto, ma se lo esonerano prima, vado io". "Lo Special Uan è così popolare che, digitando 'melanzane alla parmigiana' su Google, il motore di ricerca chiede: Forse cercavi Special Uan?". I "fatti" di José Mourinho, germogliati in rete (www.specialuan.com), stanno arrivando in libreria, con un titolo felice: "Questo libro ha zero tituli" (Sonzogno). Ovvero: "500 motivi per cui lo Special Uan allena l'Inter e tu no".
Oltre a numerosi "fatti" ("Lo Special Uan non perde. Lascia vincere"), il libro snocciola rubriche, tra le quali: le 10 cose mai dette dallo Special Uan. Una? "Adriano, ci facciamo una birra stasera? Dai, che non esci mai...". Un'altra? "Presidente, credo che lei stia spendendo troppo". E le 10 cose che Mou scrive sul taccuino. Una? "Scemo chi legge", uno scherzo che fa spesso a Beppe Baresi in panchina. Un'altra? "Inquadrami!", mostrata al cameraman.
Una goliardata, mascherata da atto di venerazione. "Vale la pena guardarsi 90 minuti di melina e lanci lunghi a Ibra per poi godersi le caustiche risposte del nostro a Varriale", scrive Michele Ampollini, ideatore del sito, nell'introduzione. Il libro uscirà il giorno dopo il 5 maggio. Dopo la Lazio. Coincidenze sinistre. Ma lo Special Uan ne sarà superiore. Deve. Perché a non far seguire i fatti ai grandi proclami, ci si riduce a caricature. C'è un punto preciso in cui l'esasperazione del proprio carisma e della propria volontà di potenza scollina nel ridicolo. Walker Texas Ranger, con le sue improbabili arti marziali, l'ha superato. Special Uan lo farebbe, se non vincesse questo scudetto. Ma lo vincerà. Neppure Chuck Norris riuscirebbe a perderlo. Anzi, lui sì. Chuck Norris può tutto.