mercoledì 14 dicembre 2011

libri sotto l'albero: un capolavoro di saggistica calcistica

Di Mario Pagliara
(Gazzetta.it - 12 dicembre 2011)

Involontariamente forse, ma Sandro Modeo, parlando di un genere, ne ha inventato un altro. Modeo ha scomposto la sublimazione del calcio totale di origine olandese, divenuto il punto più alto del calcio postmoderno incarnatosi nel Barcellona di Pep Guardiola, finendo per scrivere un libro-totale: l'ultima frontiera della saggistica sul calcio. Una narrazione complessa, a tratti sfuggente, che ha il calcio totale, il totaalvoetbal, come bussola ma che utilizza come strumenti della narrazione la biologia, la fisica quantistica, la neuropsicologia, la letteratura, la musica, l'arte, la storia e la geografia. La tesi è semplice: "Il calcio è l'unico fenomeno culturale innovativo in un'epoca così ripetitiva". Lo svolgimento, però, è complesso, argomentato, a tratti geniale: il calcio va analizzato come un'opera d'arte. Ne esce Il Barça, un bel libro, forse il più originale (anche il migliore) pubblicato nel 2011. Parla di un buon calcio e ci invita a una lettura appassionante.
Modeo naviga attraverso una doppia galassia parallela. Da un lato rimette ordine nella storia del calcio totale; dall'altro ricerca nella scienza e nelle arti il genoma di questa invincibile armata, il Barcellona di Guardiola. Il Barça dei giovani della Masia diventa nella prosa di Modeo esempio di un organismo geneticamente modificato. Il calcio totale non nasce in Catalogna, ma qui, seguendo la teoria "in quel luogo, in quel tempo e da quel polo di attrazione" professata nella prefazione dal nostro Paolo Condò, si evolve, si sublima, fino a raggiungere la perfezione. Così Vic Buckingham, Rinus Michels, poi Johan Cruijff, Bobby Robson e il colonnello Lobanovskij diventano i patriarchi del calcio totale; Sacchi, Zeman, Van Gaal, Rijkaard gli apostoli; e infine Guardiola. L'uomo che ha condotto il calcio totale all'eccellenza.
La metafora più affascinante a cui ricorre Modeo per rappresentare le dinamiche del gioco del Barcellona ci è parsa quella del Barça come il quantum di luce della fisica quantistica: ovvero, la continuità assoluta delle parti continue e di quelle discrete. "Non c’è un qui e un lì - scrive Modeo -, ma tutta una schiera di stati intermedi corrispondenti a miscele di quelle possibilità: un po' di qui e un po' di lì, sommati tra loro. E così il gioco del Barça è un continuum composto da parti discrete". Il calcio totale assume una dimensione polifonica e diventa una commistione di generi: come le Lezioni americane di Italo Calvino così il Barça è rapido, esatto, visibile, molteplice, complesso, leggero; è una squadra che suona come Kid A e Amnesiac dei Radiohead, o che sembra la suite dei Pink Floyd; oppure è una "squadra liquida", parafrasando la teoria della società liquida di Zygmunt Bauman, il più grande sociologo contemporaneo.
Modeo gioca nella sua opera un "piccolo" Clasico. Scrive: "Oggi le due tendenze calcistiche dominanti sono il sistema-Barça e la prospettiva-Mourinho. Non si tratta solo della rivalità frontale, quasi scacchistica, tra i due coach. Si tratta di due modelli culturali, paralleli e opposti". Il sistema-Barça è la massima espressione del calcio totale, nell'accezione più pura; la prospettiva-Mourinho si muove su parametri diversi: giocatori funzionali e congeniali al suo metodo, con i campioni ma non coi prodotti del vivaio, gioco attendistico, corsa e forza fisica. Il sistema-Barça è più completo e flessibile, sembra avere risorse infinite, lancia talenti e valorizza la Cantera, ha il senso dello spazio e la dominante del possesso della palla.
Il libro di Modeo ci è sembrato, in conclusione, la risposta a tutti quei discorsi da bar incentrati su "con quei giocatori lì, al Barcellona vincerei anch'io". Si propone come l'omaggio a una filosofia, si offre come il riconoscimento all'uomo umile e al tecnico innovatore Guardiola. Se il Barça è molto più che una squadra (mes que un club), tra le pieghe di questo saggio abbiamo trovato l'ennesima prova che il calcio è molto più di un gioco.

Sandro Modeo, Il Barça, Isbn edizioni - 208 pagine, 13.90 euro (prefazione di Paolo Condò, postfazione di Irvine Welsh)

domenica 11 dicembre 2011

liga: il barcellona ancora una volta padrone al bernabeu

Di Stefano Cantalupi
(Gazzetta.it - 10 dicembre 2011)

Il Clasico continua a essere proprietà del Barcellona. Il 20 aprile 2011 continua a essere la data dell'unica vittoria di Mourinho su Guardiola da tecnico del Real Madrid, in 8 incontri. Il 7 maggio 2008 continua a essere il giorno dell'ultimo successo dei blancos nelle sfide col Barça in campionato. E, soprattutto, i campioni in carica continuano a dettare legge in quanto a gioco, classe e qualità, al di là di ogni numero e al di là di quello che dice la classifica. Il Real Madrid perde 1-3 la partitissima del Bernabeu, anticipo della 16ª giornata della Liga. E si fa agganciare al comando, anche se resta virtualmente a +3 per via della gara da recuperare rispetto agli eterni rivali.
La prima notizia degna di nota della serata precede addirittura il fischio d'inizio: è lo schieramento scelto da Mourinho, che opta per una mezzapunta in più (Ozil) e un mediano in meno (Khedira) nel 4-2-3-1, con tanti saluti all'atteggiamento sparagnino della scorsa stagione. Guardiola preferisce Sanchez e Fabregas a Pedro e Villa come cast di supporto di Messi nel trio d'attacco, mentre cosa volesse fare in difesa non lo sapremo mai. Il motivo? Semplice: dopo 23 secondi è già 1-0 per il Real Madrid, perché Valdes liscia malamente un rinvio dal fondo e Busquets viene centrato prima dal passaggio di Di Maria e poi dal tiro sballato di Ozil, con la carambola che finisce a Benzema prontissimo a insaccare. E a quel punto, pur con Alves, Piqué, Puyol e Abidal contemporaneamente in campo, Pep passa subito alla difesa a tre.
Il gol immediato fa sì che la partita si apra immediatamente, con Casillas che al 7' è già chiamato al primo intervento da "san Iker" sul rasoterra di Messi. Ma il Real Madrid, che può chiudersi e ripartire, non sta a guardare e con Ronaldo ha due chance di raddoppiare: fiacco il primo tiro, orribile il destro con cui spreca un sublime assist di Benzema. Poco prima della mezz'ora iniziano le sportellate: la classe leggera e sgusciante di Messi e Di Maria propizia le ammonizioni di Xabi Alonso e Sanchez, mentre qualche minuto più tardi è il Pallone d'oro a beccarsi un giallo per proteste e a rischiare il clamoroso rosso per un intervento pericoloso prima dell'intervallo. La "panolada" del Bernabeu non convince un arbitro di personalità come Fernandez Borbalan. In mezzo, però, la Pulga trova modo di far qualcosa che cambia la storia del match, vale a dire l'assist filtrante che ispira l'1-1 di Sanchez, con l'ex Udinese che elude il rientro del duo portoghese Coentrao-Pepe e trova l'angolino basso col destro in diagonale.
Dagli spogliatoi esce di nuovo meglio il Real Madrid, Ronaldo fa ammonire Piqué e calcia un paio di punizioni, la seconda delle quali scalda le mani a Valdes. Poi, però, il flipper che si era messo in moto sul vantaggio madridista si aziona nuovamente, premiando stavolta i catalani: Xavi calcia di destro al volo, il pallone incoccia Marcelo e finisce in porta dopo aver ingannato Casillas. Il Barça la sfortuna se l'era andata a cercare con la follia di Valdes, il Real invece è solo jellato, ma la sostanza non cambia. La botta dell'1-2 è forte per i blancos, Mourinho prova a scuoterli inserendo Kakà per lo spento Ozil, ma i cambi successivi dello Special One saranno dettati dalla disperazione, visto che Khedira deve rilevare un Diarra a rischio rosso e Higuain fa il suo ingresso nel match al posto di Di Maria quando il Real Madrid è già sotto di due gol. Sì, perché il Barça punisce un altro incredibile errore di Ronaldo (colpo di testa fuori da pochi passi) con la rete dell'1-3. E la dimostrazione di che razza di squadra sia questa viene dal fatto che a confezionare il gol siano i due blaugrana fin lì più opachi, con Alves a pennellare il cross e Fabregas a tuffarsi per la zuccata imparabile.
Resta quasi mezz'ora di tempo al Real Madrid per tentare la rimonta, ma non c'è più la forza mentale per farlo. Benzema e Kakà avrebbero la chance di riaprire il match, ma per ogni occasione madridista ce ne sono tre catalane, con Iniesta che porta a scuola tutti i presenti sul campo e anche chi lo fischia al momento della sostituzione al 90'. Quando l'arbitro decide che può bastare, la conclusione del 216° Clasico (85ª vittoria del Barça contro le 86 della Casa Blanca e 45 pareggi) coincide con la riapertura ufficiale della Liga, semmai qualcuno l'avesse considerata chiusa. Il popolo del Bernabeu esce deluso, tributando comunque un coro a Mourinho. Ma il portoghese ha altro per la testa: dovrà evitare che le cose prendano la piega della scorsa stagione, quando la prima sfida di campionato col Barça segnò i mesi successivi, fino al trionfo totale blaugrana. L'unica sua consolazione è che almeno, stavolta, la sconfitta non costa il sorpasso in vetta. Chissà se basterà? Intanto stringe la mano a Tito Vilanova a fine match, un gesto che gli fa onore, dopo i colpi proibiti tra lui e il vice di Guardiola nella Supercoppa spagnola. Annotazione finale: Ferguson a maggio scelse di sfidare il Barça senza chiudersi troppo e il Manchester Utd perse la finale di Champions League per 3-1. Notate qualche similitudine con la scelta di Mourinho di stasera e con l'esito della stessa?

giovedì 8 dicembre 2011

champions: nel "gruppo della morte" si qualifica il napoli!

Di Mario Zaccaria
(Ansa - 7 dicembre 2011)

Tutti in coro ''Oj vita, oj vita mia''. Cantano i quattromila tifosi del Napoli allo stadio El Madrigal. Gli azzurri sono negli ottavi di finale di Champions League. Per una squadra "rinata" da pochi anni dopo il fallimento è un traguardo prestigioso, grazie al quale la squadra, l'allenatore, il presidente entrano nella storia della società che non aveva mai realizzato un'impresa simile. Serviva una vittoria al Madrigal di Vila-Real e il Napoli la realizza. Senza grandi affanni, senza troppe sofferenze. D'altronde - e lo si era ben capito in occasione dei cinque precedenti incontri del girone - in questo momento la differenza tra le due squadre è netta. Il Villarreal è in crisi profonda e non è un caso che concluda con zero punti in classifica la sua stagione europea.
L'impresa del Napoli è davvero eccezionale (qui, nella foto, l'esultanza dei calciatori azzurri dopo il primo gol di Inler). A Vila-Real mai nessuna squadra italiana era riuscita a portar via l'intero bottino. La squadra di Mazzarri, però, scende in campo con una sola idea in testa: la vittoria. Troppo diversa la determinazione tra le due squadre in campo, troppo grandi le motivazioni del Napoli, troppo pressanti, nella mente e nel cuore dei giocatori del Sottomarino giallo, i problemi di classifica nella Liga per trovare la concentrazione giusta e la forza mentale di giocarsela fino in fondo. "Perché, per chi", si saranno inconsciamente chiesti i padroni di casa? Spazzati via, fugati in una notte magica per il Napoli e per Napoli anche i dubbi e le preoccupazioni del presidente De Laurentiis su un ipotetico premio a vincere che il proprietario del Manchester City avrebbe potuto mettere in campo per alterare artificiosamente gli equilibri del girone e favorire la sua squadra a danno dei partenopei.
All'inizio, per la verità, il Napoli è contratto e timoroso. Nel primo tempo, anzi, gioca la sua peggior partita nel torneo di Champions. Si vede lontano un miglio che gli uomini di Mazzarri sentono la responsabilità di un momento così importante. Sembra quasi che ai partenopei tremino le gambe, che siano più concentrati a difendere la propria porta, piuttosto che proiettarsi in avanti alla ricerca del gol decisivo. Il gioco è equilibrato e le azioni si svolgono ora da una parte ora dall'altra. In campo non c'è cattiveria, anche se l'arbitro norvegese Moen dispensa diverse ammonizioni tra gli spagnoli. Il centrocampo del Villarreal è quasi sempre in inferiorità numerica perché Hamsik scala molto spesso dietro la linea d'attacco per dare una consistente mano in mezzo al terreno di gioco. Ma nonostante ciò, è sull'impostazione delle manovre offensive che gli azzurri appaiono in difficoltà. Quando parte l'azione, chi deve farsi trovare a centro dell'area per la finalizzazione è sempre troppo lento e arriva in ritardo.
Nelle primissime fasi di gioco il Napoli si procura una limpida occasione con Zuniga che conclude debolmente tra le braccia di Diego Lopez. Per tutto il resto del primo tempo, sotto le due porte, nulla da segnalare. La ripresa si apre con una limpida opportunità per De Guzman che si impappina solo davanti a De Sanctis e non riesce a concludere. Poi per forza d'inerzia è il Napoli a guadagnare campo, a mantenere con più continuità in mano il pallino del gioco e a cominciare ad affacciarsi minacciosamente in area di rigore. Dopo un paio di occasioni fallite, Inler trova dalla distanza la via della porta. La replica è affidata a Marek Hamsik e la partita può dirsi conclusa. Rimane solo spazio per la gioia dei tifosi partenopei che hanno invaso il piccolo stadio spagnolo. Ed è solo l'inizio dei festeggiamenti, destinati a durare a lungo, per il raggiungimento di un traguardo che a inizio di stagione sembrava solo un miraggio.

lunedì 5 dicembre 2011

addio a socrates: l'omaggio di uno scrittore calciofilo

Di Marco Ciriello
(Il Mattino - 5 dicembre 2011)

Era uno strano tipo di calciatore. Aveva la faccia da Cristo allegro del sud, i ricci, la barba nera e folta, era alto (1,93 con un 37 di piede), predicava Gramsci, giocava a calcio in modo elegante e sorrideva triste: Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieria de Oliveira (57 anni). Morto ieri a San Paolo, per una infezione intestinale che si era andata ad aggiungere a un quadro clinico disastrato, conseguenza dell'abuso di alcol. Era uno splendido perdente, capitano di un Brasile meraviglioso (con Junior, Serginho, Zico, Eder, Falcao, Cerezo) che non riuscì a vincere i due mondiali che doveva avere in tasca (1982-1986).
"Sócrates Souza, pediatra", diceva la targhetta di lato all’entrata di casa sua. Sì, perché lui era anche dottore, anzi lo era prima di essere calciatore, poi cantante, pittore, commentatore sportivo per giornali e tv. Ma la passione era la medicina non era mai venuta meno: "Il calcio si esaurisce presto - diceva -, la medicina resta e serve di più". Era il riassunto di un'epoca e di un pallone che non c'è più. Socrates non correva, pensava. Non crossava, la dava di tacco. Se dribblava era per tirare in porta e segnare, non per superare l'avversario. Si muoveva a testa alta, con uno stile da aristocratico. Mai stato veloce, agile sì. Aveva lunghe gambe e un tocco leggero. Era una gazzella marxista, un po' intellettuale e molto cazzaro. Non aveva la disperazione di Garrincha anche se poi li ha fregati entrambi l'alcol, ma gli è mancata la determinazione che calciatori molto meno bravi di lui hanno avuto, vincendo il mondiale.
Il suo gol all'Urss, a Spagna ’82, è indimenticabile: un dribbling, una finta che apre la difesa e tiro da fuori area che si infila nell'angolo alto. Braccia alzate dentro maglia gialla e verde. Anche quello che fece a Zoff non era male, gliela mise tra lui e il palo, con una potenza e una velocità che tradirono per un attimo il suo animo: ai mondiali succede (segnò molto per un centrocampista: 76 gol in 157 partite ufficiali con le squadre di club, 22 reti in 60 partite con la maglia del Brasile). C’era in lui e nel suo gioco una sorta di ricorso alla semplicità, all’utilità della squadra, che poi erano anche i principi della democrazia corinthiana, un esperimento che Socrates si inventò durante gli anni della dittatura brasiliana. Applicare il socialismo in campo e nella vita della squadra, in attesa di estenderlo al Paese, usare le maglie e i corpi dei giocatori per inviare messaggi di democrazia. "I calciatori sono artisti e quindi hanno molto potere nelle loro teste", diceva fiducioso, poi ha cambiato idea vedendo il nuovo calcio.
Per lui, il pallone era la continuazione non solo dei giochi ma anche dei libri di infanzia e giovinezza. Ammirava i filosofi greci - "Una degna professione" - e raccontava a tutti che stava finalmente scrivendo un romanzo, sui mondiali in Brasile del 2014 con l’Argentina che vinceva. Chissà se era una storia come la canzone Notte speciale per un disco rimasto inedito, che parlava di un uomo che aspetta la donna che ama e per non fare figuracce si mette a pulire la casa prima dell’appuntamento, "soprattutto la cucina, mi piacciono le metafore". Però in Italia disse chiaro e tondo che un anno, alla Fiorentina, poteva bastare, se ne tornò in Brasile. Il campionato italiano richiedeva sacrifici che non poteva accettare. Ribadendo il suo diritto di fumare, bere e giocare un calcio diverso. La sua vita è stata una corrida lenta, allegra e senza cadute, peccato sia arrivato in fretta alla fine.