mercoledì 21 gennaio 2009
un "campiomatto" davvero equilibrato?
Prima pubblicazione: martedì, 25 novembre 2008
Fin dalla prima giornata dell'attuale campionato di Serie A i principali mass media italiani continuano a parlare di "campiomatto" (Gazzetta dello Sport), equilibrio imprevisto, sorprese fuori da ogni pronostico, eccetera, eccetera. Spesso, tuttavia, lo fanno con una malcelata ironia, con un po' di fastidio e, comunque, considerando il fenomeno come transitorio e inevitabilmente destinato "a rientrare".
In realtà, con l'arrivo dei primi freddi, ai vertici della classifica ci sono due delle favorite. Subito dietro, però, assieme alla Juve, continuano a reggere diverse cosiddette squadre-sorpresa, prima tra tutte il giovane Napoli di Hamsik e Lavezzi, guidato da Edy Reja e costruito da Pier Paolo Marino.
Sono in molti, però, non soltanto tra i rappresentanti dei mass media ma anche tra i tifosi "semplici", a nutrire poche speranze su un successo finale (scudetto) da parte di una squadra che non abbia sede a Milano o Torino e non vesta una maglia a strisce verticali.
Forse, allora, appena oltrepassato un terzo del cammino, questo è il momento migliore per cercare di capire cosa si nasconde realmente dietro questo (presunto?) maggiore equilibrio della nostra Serie A 2008-2009, provando anche a capire come mai, però, alla fine vinceranno ancora una volta le solite note.
Per fare ciò può essere molto utile un confronto con gli altri principali campionati europei.
Premesso che la situazione di duopolio scozzese non fa testo, dunque, nella Premier League inglese è facile notare come le prime quattro siano sempre le stesse, quest'anno con la simpatica sorpresa del neopromosso Hull City, che però non ha alcuna speranza di arrivare fino in fondo in quella posizione di classifica. Le "Big Four", però, sono quasi sempre ai vertici semplicemente perché si sono dimostrate più brave delle altre e non perché a queste altre sia precluso, a priori, un inserimento al vertice: Tottenham, Newcastle, Manchester City, Aston Villa, Everton per citarne solo alcune, sono a loro volta società ricche, in alcuni casi ricchissime; se poi non vincono è perché spendono male, in alcuni casi malissimo, le risorse a loro disposizione, o perché hanno bisogno ancora di un po' di tempo. A questo si aggiunga una "classe media" che, a differenza di quella italiana, fino allo scorso anno - la crisi economica mondiale, infatti, ha toccato molto da vicino proprio la Premier League - poteva permettersi campagne acquisti molto dispendiose (penso, per esempio, al Middlesbrough, ma potrei citare anche il West Ham fino a qualche settimana fa). In Italia, per proseguire nel confronto diretto, una società come il Tottenham potrebbe competere, per budget e ambizioni, alla pari con le nostre grandi.
Il vero problema, dunque, nel confronto con l'estero, sembra essere la gestione dell'intero movimento. Gestione che, nel caso inglese, significa anche abilità con la quale si sa vendere il proprio prodotto (facendolo pagare profumatamente) in tutto il mondo.
Per quanto riguarda la situazione spagnola, lì Real Madrid e Barcellona significano storicamente qualcosa che va anche al di là del contesto puramente calcistico; e, comunque, in anni recenti hanno vinto la Liga anche il Deportivo La Coruna e due volte il Valencia; e ultimamente anche Siviglia e Villareal sono in pianta stabile nelle zone nobili della graduatoria.
In Francia, il fenomeno Lione è cosa recente e mi sembra sia ormai in fase calante, dato che lo scorso anno una grande storica come il Bordeaux le ha conteso il titolo fino alla fine.
In Germania, due anni fa ha vinto una outsider come lo Stoccarda, avendo la meglio solo alla fine sullo Schalke e sul Werder; dal 1991-92, oltre al Bayern Monaco campione in carica hanno vinto un paio di volte lo Stoccarda, varie volte Werder Brema e Borussia Dortmund e una volta persino il Kaiserslautern, con il Bayer Leverkusen secondo per ben quattro volte e lo Schalke secondo per tre volte. Quest'anno, addirittura, è in testa la ricchissima neopromossa Hoffenheim, che non sembra essere un fuoco di paglia e, anzi, non nasconde le proprie ambizioni.
In realtà, dunque, il vero problema, che almeno in tempi brevi renderà impossibile qualunque tipo di “terremoto” nell'albo d'oro della Serie A, credo che sia proprio l'attuale impostazione e gestione del campionato italiano, fatta apposta per impedire "a priori" a determinate squadre - tutte tranne le "big three"? - di avere la possibilità anche teorica di competere per la vittoria; e questo accade solo da noi.
La Lazio, per esempio, ha pagato il suo scudetto di qualche anno fa quasi fallendo e venendo salvata dal Governo "per motivi di ordine pubblico" (spalmamento del debito su 23 anni!!!); il Parma stesso è quasi fallito, nell'ambito del crack Parmalat; Fiorentina e Napoli sono fallite e rinate; il Toro se l'è vista brutta; la Roma si è risollevata solo negli ultimi tempi e, comunque, è in mano alle banche; le uniche realtà davvero (o apparentemente?) solide dal punto di vista economico sono le due milanesi e la Juventus (anche se tutte e tre vanno avanti prevalentemente a ricapitalizzazioni da parte dei ricchi padroni: magnati del petrolio, delle auto o addirittura “proprietari dell’Italia”).
Uno scudetto al Verona o alla Sampdoria, dunque, oggi non sarebbe purtroppo più possibile. Almeno con le attuali regole del gioco.
E allora, quali potrebbero essere le possibili soluzioni per creare un campionato nel quale tutti possano partire alla pari e nel quale possa davvero vincere chi lavora meglio per costruire una squadra competitiva?
Una Lega e una Federazione serie secondo me dovrebbero, come prima mossa, ridurre le squadre di A e B da, rispettivamente, 20 e 22 a 18 (o 16 addirittura) e 20; e poi dovrebbero lavorare in profondità per far sì che le risorse economiche – in particolare quelle derivanti dalla vendita dei diritti televisivi – vengano divise in modo da ridurre il rapporto tra prima e ultima di Serie A dall'attuale 1/10 a un auspicabile 1/4 o massimo 1/5. Con questo sistema, simile d'altra parte a quello inglese o tedesco, sono sicuro che, in tempi relativamente brevi, anche Napoli e Fiorentina (per fare due possibili esempi) potrebbero vincere lo scudetto.
L’ideale per un reale equilibrio sul campo, poi, potrebbe essere l’introduzione del cosiddetto “salary cap”, cioè il tetto al monte-salari di ciascuna squadra, sul modello di quanto accade già da molti anni nella Nba, la Lega professionistica americana di basket: in tal modo, non ci sarebbero disparità evidenti quanto quelle attuali, che vedono, per esempio, l’ingaggio di un Ibrahimovic o di un Kakà pesare quanto quelli di un’intera squadra di media classifica; si partirebbe tutti alla pari e, in tal modo, sarebbe davvero premiata la bravura dei vari direttori sportivi, presidenti, amministratori delegati, oltre, naturalmente, a quella degli allenatori e dei giocatori. E’ ovvio che per avere un senso e per non far perdere competitività alle squadre italiane in Europa e nel mondo, il criterio del “salary cap” dovrebbe essere introdotto per i club professionistici di tutto il mondo, d’accordo con la Fifa e le varie federazioni nazionali.
Si tratterebbe di una rivoluzione copernicana, certo; ma, credo, di una rivoluzione che, in realtà, non accadrà mai, poiché le grandi tradizionali in Italia e nel resto del mondo, tenteranno in ogni modo di proteggere le loro posizioni di privilegio.
Potrebbe essere di aiuto, paradossalmente, proprio la grande crisi economica mondiale, che prima o poi chiederà il conto dei tanti sprechi anche ai ricchi e ai potenti del variopinto pianeta-calcio.
Libri consigliati: Luca Manes, Made in England. Luci e ombre del football dei maestri, Bradipolibri, 2008 - 136 pagine, 14 euro
Fin dalla prima giornata dell'attuale campionato di Serie A i principali mass media italiani continuano a parlare di "campiomatto" (Gazzetta dello Sport), equilibrio imprevisto, sorprese fuori da ogni pronostico, eccetera, eccetera. Spesso, tuttavia, lo fanno con una malcelata ironia, con un po' di fastidio e, comunque, considerando il fenomeno come transitorio e inevitabilmente destinato "a rientrare".
In realtà, con l'arrivo dei primi freddi, ai vertici della classifica ci sono due delle favorite. Subito dietro, però, assieme alla Juve, continuano a reggere diverse cosiddette squadre-sorpresa, prima tra tutte il giovane Napoli di Hamsik e Lavezzi, guidato da Edy Reja e costruito da Pier Paolo Marino.
Sono in molti, però, non soltanto tra i rappresentanti dei mass media ma anche tra i tifosi "semplici", a nutrire poche speranze su un successo finale (scudetto) da parte di una squadra che non abbia sede a Milano o Torino e non vesta una maglia a strisce verticali.
Forse, allora, appena oltrepassato un terzo del cammino, questo è il momento migliore per cercare di capire cosa si nasconde realmente dietro questo (presunto?) maggiore equilibrio della nostra Serie A 2008-2009, provando anche a capire come mai, però, alla fine vinceranno ancora una volta le solite note.
Per fare ciò può essere molto utile un confronto con gli altri principali campionati europei.
Premesso che la situazione di duopolio scozzese non fa testo, dunque, nella Premier League inglese è facile notare come le prime quattro siano sempre le stesse, quest'anno con la simpatica sorpresa del neopromosso Hull City, che però non ha alcuna speranza di arrivare fino in fondo in quella posizione di classifica. Le "Big Four", però, sono quasi sempre ai vertici semplicemente perché si sono dimostrate più brave delle altre e non perché a queste altre sia precluso, a priori, un inserimento al vertice: Tottenham, Newcastle, Manchester City, Aston Villa, Everton per citarne solo alcune, sono a loro volta società ricche, in alcuni casi ricchissime; se poi non vincono è perché spendono male, in alcuni casi malissimo, le risorse a loro disposizione, o perché hanno bisogno ancora di un po' di tempo. A questo si aggiunga una "classe media" che, a differenza di quella italiana, fino allo scorso anno - la crisi economica mondiale, infatti, ha toccato molto da vicino proprio la Premier League - poteva permettersi campagne acquisti molto dispendiose (penso, per esempio, al Middlesbrough, ma potrei citare anche il West Ham fino a qualche settimana fa). In Italia, per proseguire nel confronto diretto, una società come il Tottenham potrebbe competere, per budget e ambizioni, alla pari con le nostre grandi.
Il vero problema, dunque, nel confronto con l'estero, sembra essere la gestione dell'intero movimento. Gestione che, nel caso inglese, significa anche abilità con la quale si sa vendere il proprio prodotto (facendolo pagare profumatamente) in tutto il mondo.
Per quanto riguarda la situazione spagnola, lì Real Madrid e Barcellona significano storicamente qualcosa che va anche al di là del contesto puramente calcistico; e, comunque, in anni recenti hanno vinto la Liga anche il Deportivo La Coruna e due volte il Valencia; e ultimamente anche Siviglia e Villareal sono in pianta stabile nelle zone nobili della graduatoria.
In Francia, il fenomeno Lione è cosa recente e mi sembra sia ormai in fase calante, dato che lo scorso anno una grande storica come il Bordeaux le ha conteso il titolo fino alla fine.
In Germania, due anni fa ha vinto una outsider come lo Stoccarda, avendo la meglio solo alla fine sullo Schalke e sul Werder; dal 1991-92, oltre al Bayern Monaco campione in carica hanno vinto un paio di volte lo Stoccarda, varie volte Werder Brema e Borussia Dortmund e una volta persino il Kaiserslautern, con il Bayer Leverkusen secondo per ben quattro volte e lo Schalke secondo per tre volte. Quest'anno, addirittura, è in testa la ricchissima neopromossa Hoffenheim, che non sembra essere un fuoco di paglia e, anzi, non nasconde le proprie ambizioni.
In realtà, dunque, il vero problema, che almeno in tempi brevi renderà impossibile qualunque tipo di “terremoto” nell'albo d'oro della Serie A, credo che sia proprio l'attuale impostazione e gestione del campionato italiano, fatta apposta per impedire "a priori" a determinate squadre - tutte tranne le "big three"? - di avere la possibilità anche teorica di competere per la vittoria; e questo accade solo da noi.
La Lazio, per esempio, ha pagato il suo scudetto di qualche anno fa quasi fallendo e venendo salvata dal Governo "per motivi di ordine pubblico" (spalmamento del debito su 23 anni!!!); il Parma stesso è quasi fallito, nell'ambito del crack Parmalat; Fiorentina e Napoli sono fallite e rinate; il Toro se l'è vista brutta; la Roma si è risollevata solo negli ultimi tempi e, comunque, è in mano alle banche; le uniche realtà davvero (o apparentemente?) solide dal punto di vista economico sono le due milanesi e la Juventus (anche se tutte e tre vanno avanti prevalentemente a ricapitalizzazioni da parte dei ricchi padroni: magnati del petrolio, delle auto o addirittura “proprietari dell’Italia”).
Uno scudetto al Verona o alla Sampdoria, dunque, oggi non sarebbe purtroppo più possibile. Almeno con le attuali regole del gioco.
E allora, quali potrebbero essere le possibili soluzioni per creare un campionato nel quale tutti possano partire alla pari e nel quale possa davvero vincere chi lavora meglio per costruire una squadra competitiva?
Una Lega e una Federazione serie secondo me dovrebbero, come prima mossa, ridurre le squadre di A e B da, rispettivamente, 20 e 22 a 18 (o 16 addirittura) e 20; e poi dovrebbero lavorare in profondità per far sì che le risorse economiche – in particolare quelle derivanti dalla vendita dei diritti televisivi – vengano divise in modo da ridurre il rapporto tra prima e ultima di Serie A dall'attuale 1/10 a un auspicabile 1/4 o massimo 1/5. Con questo sistema, simile d'altra parte a quello inglese o tedesco, sono sicuro che, in tempi relativamente brevi, anche Napoli e Fiorentina (per fare due possibili esempi) potrebbero vincere lo scudetto.
L’ideale per un reale equilibrio sul campo, poi, potrebbe essere l’introduzione del cosiddetto “salary cap”, cioè il tetto al monte-salari di ciascuna squadra, sul modello di quanto accade già da molti anni nella Nba, la Lega professionistica americana di basket: in tal modo, non ci sarebbero disparità evidenti quanto quelle attuali, che vedono, per esempio, l’ingaggio di un Ibrahimovic o di un Kakà pesare quanto quelli di un’intera squadra di media classifica; si partirebbe tutti alla pari e, in tal modo, sarebbe davvero premiata la bravura dei vari direttori sportivi, presidenti, amministratori delegati, oltre, naturalmente, a quella degli allenatori e dei giocatori. E’ ovvio che per avere un senso e per non far perdere competitività alle squadre italiane in Europa e nel mondo, il criterio del “salary cap” dovrebbe essere introdotto per i club professionistici di tutto il mondo, d’accordo con la Fifa e le varie federazioni nazionali.
Si tratterebbe di una rivoluzione copernicana, certo; ma, credo, di una rivoluzione che, in realtà, non accadrà mai, poiché le grandi tradizionali in Italia e nel resto del mondo, tenteranno in ogni modo di proteggere le loro posizioni di privilegio.
Potrebbe essere di aiuto, paradossalmente, proprio la grande crisi economica mondiale, che prima o poi chiederà il conto dei tanti sprechi anche ai ricchi e ai potenti del variopinto pianeta-calcio.
Libri consigliati: Luca Manes, Made in England. Luci e ombre del football dei maestri, Bradipolibri, 2008 - 136 pagine, 14 euro
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