venerdì 27 febbraio 2009

un bel libro su evaristo beccalossi


Il solito amico cinefilo e interista mi ha segnalato un bell'articolo, uscito qualche giorno fa - per la precisione domenica 22 - sul quotidiano "Il Mattino". Si tratta della consueta rubrica settimanale "La domenica dello sciagurato", tenuta sul giornale partenopeo dall'ottimo Giorgio Porrà, rifacendosi allo stile della sua celebre e mai dimenticata trasmissione televisiva "Lo sciagurato Egidio". Ripropongo qui di seguito, anche per i lettori di Calciopassioni, questo bel pezzo di giornalismo, che al contempo è una interessante recensione libraria. (d.d.p.)
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Le magie di Beccalossi. "Io, l'ultimo egoista"
Di Giorgio Porrà
(Il Mattino - 22 febbraio 2009)
All’asilo era l’unico ad indossare il grembiule senza fiocco, la madre non faceva in tempo a sistemarglielo attorno al colletto che lui se lo era già infilato in tasca. Era già un solista. Minuto, gracilino, ma con il destino già tracciato. Sivori era il suo sole. Perché era un ribelle e giocava coi calzettoni abbassati. E perché con il piede sinistro faceva quello che voleva. Al piccolo Evaristo bastò una giocata vista in tv, palla accarezzata con la suola, dribbling secco, zampata assassina, per subirne la diabolica seduzione. Nessuno riusciva a metter giù l'argentino, nessuno era in grado di fermare quel discolo riccioluto. Troppo forte, anche per i ragazzi più grandi. Quando quelli miravano alle caviglie, lui e la palla erano già in viaggio sull’astronave della fantasia. È cominciata così l’avventura calcistica di Beccalossi, genialoide degli anni Ottanta, il cui calcio fuori dagli schemi ha ispirato canzoni e monologhi, diviso gli intellettuali, incendiato i polemisti. Ora anche un libro, «Mi chiamo Evaristo» (Bevivino editore), scritto da Luca Pagliari, che racconta l’ascesa del talento bresciano dalle partitelle di quartiere allo scudetto del 1980. «Evaristo arrivò all’Inter mentre negli occhi dei tifosi erano ancora impresse le prodezze di Mariolino Corso - ricorda Massimo Moratti nella prefazione - Beccalossi, nonostante l’inevitabile raffronto, non deluse le aspettative e fu all’altezza della situazione. Il suo talento e la sua creatività, per chi ebbe la fortuna di vederlo all’opera, rappresentano un qualcosa da conservare nella memoria». E di imprese del Becca da ricordare, nelle sue stagioni nerazzurre, ce ne sono davvero a bizzeffe. Comprato dal presidente Fraizzoli, che lo strappò in extremis al Genoa, il 22enne di San Polo sbriciolò in un lampo lo scetticismo di chi non si fidava del suo istinto anarchico. Merito anche di Eugenio Bersellini, il tecnico di ferro che si occupò dello svezzamento milanese, che prima di godersi le sue giocate pensò bene di metterlo a dieta, facendogli subito perdere 5 chili con un durissimo programma di footing in mezzo ai boschi. Tirata a lucido, la matricola Beccalossi stregò San Siro alla prima uscita, davanti al Vicenza di Paolo Rossi. Un po’ d’emozione, poi lo spettacolo. «Evaristo non c’era. Non riusciva a guardare il campo, aveva occhi solo per quelle gradinate nerazzurre esagerate e terrorizzanti che lo sovrastavano. Poi iniziò a giocare, a divertirsi, a rovesciare gli schemi come accadeva in mezzo alla polvere dell’oratorio. Realizzò il primo gol scavalcando in accelerazione tre sentinelle avversarie, giunto al limite dell’area, prima di affrontare il quarto uomo, calciò di destro infilando perfettamente l’incrocio dei pali». Rotto il ghiaccio, fabbricò il suo percorso di gloria. O quasi. Con la sua difesa, per esempio, faticò a trovare il giusto feeling. Restano memorabili certi litigi in campo con Graziano Bini, storico libero dell’Inter, detto anche Brontolo. Poi arrivarono i capolavori nei derby, quelli che lo consacrarono «il tramite con l’impossibile». Ad Albertosi, sotto un acquazzone, rifilò una doppietta da cineteca, nonostante la guardia di ben quattro carcerieri: Maldera, De Vecchi, Buriani e Minoia. Il primo graffio fu un vero prodigio. «Pasinato tra un mare di schizzi spedì la palla a mezz’altezza nel cuore dell’area, Evaristo finse di calciare di sinistro, invece roteò leggermente il busto e con il piatto destro, al volo, indirizzò la palla nell’angolo più lontano della porta». Solo Bearzot non si lasciava incantare. Restava perplesso davanti allo stile del Becca, davanti a «quella danza antica perennemente sospesa tra successo e fallimento». Sui giornali scatenarono l’inferno. Bearzot definì l’interista un mezzo giocatore senza coraggio e carattere, bravo a far tunnel e a divorare le energie dei compagni. Beccalossi replicò: «Finalmente Bearzot ha detto la verità, non mi può sopportare». La storia si sarebbe poi preoccupata di acquietare entrambi, regalando al ct la gloria spagnola, consegnando il Becca alla dimensione poetica. «Io sono l’ultimo egoista - canta Ruggeri - perché sono un fantasista, faccio quello che vorreste fare voi».
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Il libro "Mi chiamo Evaristo" di Luca Pagliari racconta la storia di Evaristo Beccalossi, fantasista dell'Inter degli anni Ottanta e autentica icona dei tifosi nerazzurri e non soltanto. Pochi calciatori rappresentano come lui il concetto di "genio e sregolatezza". Amato e criticato, Evaristo resta l'emblema di un calcio romantico fatto di cuore e invenzioni. Non si tratta di un libro per addetti ai lavori o per i soli amanti del calcio, ma della fotografia di un'epoca che sembra infinitamente lontana: Evaristo, figlio di operai che va ad allenarsi con la "Graziella" e il papà che lo va a riprendere con la Fiat 128, piegando la bici e caricandola nel bagagliaio; Evaristo sempre e comunque fuori dagli schemi, col suo amore per la Ferrari e l'amicizia con Gilles Villeneuve; gli aneddoti infiniti dello spogliatoio; e poi gli amici di oggi, da Enrico Ruggeri al comico Paolo Rossi, da Roberto Mancini a Lele Oriali.
Luca Pagliari, Mi chiamo Evaristo, Bevivino Editore - 208 pagine, 15 euro.

2 commenti:

  1. Evaristo Beccalossi me lo ricordo bene: il suo primo anno all'Inter è coinciso con il mio primo abbonamento all'Inter.

    Era un giocatore assolutamente imprevedibile, anche a se stesso. In certe partite sarei sceso ad abbracciarlo (memorabile il suo primo derby nella pioggia), in altre lo avrei preso a ombrellate (mi ricordo un Inter-Cagliari in cui cincischiando al limite dell'area passò lui la palla della vittoria a Piras, punta cagliaritana).

    Emblematico lo striscione di un tifoso dell'Inter: "Evaristo non lo ferma neanche Cristo". Solo lui poteva fermare se stesso: capitava quando non era in giornata.

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  2. Bellissimo il tuo commento, caro merlino...

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