lunedì 12 luglio 2010

sudafrica 2010: qualche altra riflessione sulla finale

Di Diego Del Pozzo

Finale strana e non troppo bella, quella di ieri sera tra Spagna e Olanda. Ma, per comprenderne meglio la reale caratura, ricordiamoci sempre ciò che fu Italia-Francia di quattro anni fa, match di rara bruttezza, al netto delle fortissime emozioni per i tifosi delle due nazioni coinvolte.
Almeno, ieri sera gli spagnoli hanno sempre cercato di vincere la partita, rischiando però anche di perderla, se soltanto Arjen Robben non avesse sprecato malamente due clamorose occasioni da gol a tu per tu con "San" Iker Casillas. Alla fine, comunque, anche la Spagna ha avuto le sue occasioni e ha ampiamente meritato il titolo di campione del mondo conquistato per la prima volta nella propria storia. Ha meritato per la tecnica sopraffina di tanti componenti della rosa, la coralità di una manovra collaudata da anni e anni di "sperimentazione" assieme (fin dal Mondiale Under 20 vinto in Nigeria nel 1999 da una squadra guidata dagli allora giovanissimi Casillas e Xavi Hernandez), la relativa calma opposta ai calcioni olandesi, la mentalità barcelonista finalizzata a fare gioco sempre e comunque.
La stranezza del match conclusivo di Sudafrica 2010 deriva in massima parte dall'atteggiamento dell'Olanda, che ha deciso a tavolino di intimidire gli avversari mettendo subito la gara sul piano della rissa e infarcendo l'intero primo tempo di brutalità assortite che avrebbero dovuto produrre almeno due espulsioni, quelle di De Jong e Van Bommel, se l'arbitro inglese Webb non avesse clamorosamente "toppato" la prestigiosa occasione. Peccato, perché con minori rudezze gli oranje avrebbero potuto, forse, concentrarsi maggiormente sullo svolgimento di una gara che, come detto, hanno più volte rischiato di vincere nel secondo tempo ma che, invece, è sfuggita loro completamente di mano nei tempi supplementari, anche in seguito alla inevitabile espulsione di Heitinga e alla conseguente inferiorità numerica.
Come quasi sempre nel calcio, anche stavolta la differenza tra le due squadre l'hanno fatta i rispettivi centrocampi: quello iberico, capace di stoppare e impostare con Busquets e Xabi Alonso, di creare con Xavi e Iniesta (e, in seguito, anche Fabregas); quello olandese, concepito solo per mazzolare gli avversari, con la conseguenza di spezzare in due tronconi la propria squadra (dietro gli "scarponi", davanti i talenti un po' isolati...).
In ogni caso, in un Mondiale nel quale le stelle designate hanno quasi tutte fallito e nel quale gli allenatori sono riusciti spesso a conquistare più attenzioni rispetto ai propri giocatori, il marchio più evidente sul titolo iridato della Spagna è certamente quello di Vicente Del Bosque, tecnico la cui straordinaria umanità mette ingiustamente in secondo piano le notevoli qualità professionali. Anche grazie a lui, infatti, la rosa spagnola è diventata ancora più completa e qualitativa e ha continuato a perseguire quella continua ricerca del gioco diventata vincente prima a Barcellona tra i club. Insomma, in epoca di calcio muscolare - e l'Olanda ne è un esempio straordinario - i "piccoletti" della Spagna hanno ribadito ancora una volta la centralità del gioco e della tecnica e la loro efficacia per perseguire un risultato nel modo più corretto e - perché no? - gradevole.

Nessun commento:

Posta un commento