Di particolare rilievo, nella manifestazione-regina, l'approdo alla finale di Madrid da parte dei nerazzurri allenati da José Mourinho, ben trentotto anni dopo l'ultima volta (sconfitti 2-0 dall'Ajax) e addirittura quarantacinque anni dopo aver vinto il loro secondo trofeo (1-0 sul Benfica).
Mai sconfitta fu più dolce del 1-0 incassato a Barcellona, contro i campioni in carica, al termine di una gara addirittura eroica per com'è stata condotta, in dieci per oltre un'ora in seguito alla sciocca espulsione di Thiago Motta. Nonostante l'inferiorità numerica e il clima incandescente, però, l'Inter ha saputo controllare la partita con la calma dei forti, dall'alto di una preparazione perfetta che ha permesso a tutti i giocatori di sapere sempre ciò che c'era da fare in qualunque momento e di fronte a qualsiasi difficoltà.
Il merito principale per l'approdo in finale dell'Inter va, certamente, attribuito a José Mourinho, che è realmente riuscito a cambiare, una volta per tutte, la mentalità europea della squadra, fornendole una sicurezza e un'autostima sconosciute fino allo scorso anno. E se a ciò si aggiunge un impianto di gioco e un progetto tecnico-tattico decisamente più adatti alle competizioni europee, grazie ai decisivi innesti estivi fortemente voluti dall'allenatore portoghese, allora il quadro può dirsi completo.
Adesso, però, dietro l'angolo c'è il Bayern Monaco di quella vecchia volpe di Louis van Gaal, ovvero uno dei maestri di Mourinho. E allora, sono certo che, sabato 22 maggio al Santiago Bernabeu, assisteremo a una vera e propria "guerra di cervelli" tra questi due grandi allenatori.
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