sabato 3 settembre 2011

la guerra di spagna tra real e barcellona: quando finirà?

Di Paolo Condò
(La Gazzetta dello Sport - 3 settembre 2011)

Tante foto assieme non le avevano mai fatte. Xavi abbraccia Casillas (clic), Casillas prende sotto braccio Fabregas (clic), Busquets e Sergio Ramos condividono un incontro stampa (clic, però Mata si infila tra i due, hai visto mai). Il messaggio di unità che la Spagna vuole inviare all'esterno è trasparente, e la rissa finale dopo la rimonta sul Cile, col madridista Arbeloa che assale Vidal per difendere il catalano Iniesta, pare un timbro. Ma quando Vicente Del Bosque dice "spero che abbiano inteso il mio discorso", beh, allora capisci che non solo qualcosa di grave ha diviso lo spogliatoio dei campioni del mondo, ma che la ricucitura dello sbrego - strappo sarebbe poco - va ancora testata.
La storia è nota, l'eccesso di confronti fra Real e Barcellona della scorsa primavera ha trasformato la rivalità in una guerra. Il problema è che i giocatori si sono lasciati tirare dentro, a differenza per esempio del caso italiano. Da noi infuria da anni un'ordalia tra Inter e Juve nella quale i dirigenti si mandano a dire cose terribili, ma in campo (e meno male) non succede niente. La Roja, invece, è dilaniata dai reciproci rancori per calcioni, simulazioni, manate, provocazioni, schiaffi, risse accadute in questi mesi fra i nazionali delle due superpotenze. Sullo sfondo di questo panorama bellico si staglia ovviamente la figura di José Mourinho.
La gelata ha una data d'inizio: il 29 novembre il Barcellona annichilisce il Real con la famosa manita, il 5-0 che per giocatori e tecnico è l'umiliazione più feroce della carriera. C'è chi ha rovistato negli archivi tv per confrontare i prepartita, quei lunghi momenti che le squadre passano affiancate nel tunnel in attesa che l'arbitro ordini l'ingresso in campo. Fino alla sera del 5-0 madridisti e catalani, malgrado la tensione del grande match imminente, avevano sempre parlato e scherzato fra loro; da allora un muro di ghiaccio divide i due eserciti, nessuno ha più rivolto la parola a nessuno, i bambini che tengono per mano i campioni hanno un'espressione ogni volta più disagiata. Si ripropone l'eterna questione del galateo in caso di vittorie larghe: nei confronti di un avversario in ginocchio è più rispettoso non infierire o continuare fino al 90' alla stessa intensità? I pareri sono discordi, la realtà è che il Real prende il ceffone malissimo, segnandosi soprattutto la baldanza di Piqué, che saluta curve e tribune agitando la mano aperta per far vedere le cinque dita.
La versione catalana chiama in causa Mourinho perché due anni prima il Barça aveva vinto addirittura 6-2 al Bernabeu senza che succedesse nulla. Il fatto che Mou non digerisca la manita è vero e anche normale, come è normale - conoscendolo un po' - che usi la disfatta come enzima mentale per stimolare i suoi alla rivincita. Però il portoghese è un leader da tempi di guerra, e come tale applica la sua strategia: ranghi serrati, il nemico non si stima ma si odia, nessun distinguo consentito. Il problema con Casillas nasce qui perché Iker è il fidanzato di Spagna, idolo del madridismo ma considerato a Barcellona un avversario magnifico per valore e sportività, l'erede di Raul. A Mourinho non può sfuggire il distacco col quale il portiere accoglie i suoi diktat, ne parla con Florentino Perez il quale pretende da Casillas una superiore adesione alla crociata del tecnico. Iker obbedisce, raffredda i rapporti con i catalani e in coda all'ultimo dei quattro clasicos di primavera arriva il fattaccio: è il ritorno della semifinale di Champions, ampiamente decisa dopo il 2-0 del Barça al Bernabeu, e nei minuti finali a Pedro viene fischiato un fuorigioco. Casillas corre a prendere il pallone e lo calcia contro l'attaccante per suscitarne la reazione: Pedro è diffidato, un cartellino giallo gli costerebbe la finale, Xavi al centro del campo capisce e urla "Iker!" con tale forza da farsi sentire in tribuna. La rabbia è proporzionata al compagno da difendere: Pedro non è un tipo polemico come Piqué o un simulatore come Busquets, Pedro è un ragazzino delle Canarie fresco ed entusiasta, benvoluto da tutti proprio per il suo buon carattere. Xavi e Casillas, sin lì amici fraterni (si frequentano nelle varie nazionali dal '96), si guardano furiosi, Iker ripete il gesto di toccarsi una guancia che sta eseguendo da venti minuti (vuol dire "che faccia tosta"), la gara finisce e i due smettono di parlarsi.
Il casus belli finisce di avvelenare pozzi già inquinati. Dopo l'1-1 di Liga nel primo dei quattro match di fila, Piqué - catalano autonomista - sibila nel tunnel "a Valencia vinceremo la coppa del vostro re" innescando la prima rissa; e proprio a Mestalla il Barcellona si indigna per la strategia del Real, che al primo fallo fischiato ad Arbeloa si precipita in blocco dall'arbitro per caricarlo di pressione. Al vertice della tensione si arriva il 17 agosto, ritorno di Supercoppa, quando Marcelo abbatte Fabregas e Casillas commenta "si sarà buttato, lo fanno sempre". Del Bosque in tribuna viene colto con la testa fra le mani, Xavi si chiede apertamente se Iker sia impazzito: ha dato del simulatore a un compagno di nazionale, lui che ne è il capitano. La retromarcia di Casillas si materializza con una telefonata a Xavi e Puyol, che sono gli altri due leader della Roja: Iker è il simbolo, Xavi il regista in campo, Puyol il capo-guerra. Ma Mou non gradisce la tregua, e dopo aver ventilato già in estate di cambiare capitano, punisce Casillas escludendolo dal trofeo Bernabeu, la festa estiva del Real. Il conflitto fra le due fascette è sotto gli occhi di tutti, e al povero Iker rischiano di saltare i nervi. Dev'essere vero che questi giorni in nazionale hanno avviato il disgelo: ma l'unico test che conti è in calendario al Bernabeu il 10 dicembre, data del prossimo clasico.

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