(Guerin Sportivo n.° 9/2011)
Però quest'anno ho anch'io una preferenza, e la confesso prima che il campionato parta. Non è per la mia squadra del cuore, che è altra. Ma per il Napoli di Walter Mazzarri. Gli azzurri, a partire dai colori, suscitano simpatia, tolto dal ragionamento il loro chiassoso presidente. Cavani e Lavezzi esprimono un talento purissimo, al pari di Hamsik, strappato da De Laurentiis alle grinfie di Raiola e del Milan. Il gioco diverte. Ma la ragione è più profonda. E simbolica. Da oltre vent'anni lo scudetto non esce da tre città: Milano, Roma e Torino. L'ultimo club a spezzare l'oligarchia fu la Samp di Vialli e Mancini, oggi in lotta per vincere un altro campionato, purtroppo di Serie B. Mentre il penultimo a trionfare fuori dal triangolo fu proprio il Napoli, allora illuminato da Diego Armando Maradona (dal 13 agosto celebrato con un bellissimo Gs Storie).
Il successo del Napoli, ancorché difficile da realizzare da qui al 13 maggio, considerando l'impegno in Champions, restituirebbe un'alternativa alla tirannia milanese, destinata altrimenti a prolungarsi viste la dura risalita della Juve e le incognite di Roma e Lazio. Gli ultimi sette scudetti, compresi i due revocati a tavolino a Madama, sono finiti sotto la Madonnina. Negli ultimi dieci anni, le squadre scudettate sono state appena tre. Nei precedenti dieci erano state quattro. Negli antecedenti dieci, otto. Basta a capire il mutato equilibrio italiano?
Le dittature scozzesi, i derby tra Rangers e Celtic come uniche partite dell'anno, sono indice di miseria. Solo i miopi potevano esaltarsi negli anni passati per le scie di successi di Roma e Inter, senza capire che dietro si celava la debolezza crescente delle altre, perfettamente rappresentata dagli insuccessi dei nostri club in Europa League. Non la penso come Galliani e gli altri padroni del vapore, che vorrebbero i club ricchi di Serie A sempre più ricchi e le società povere sempre più povere. Il più grande calcio italiano ha coinciso con la fioritura rigogliosa della media nobiltà.
Gli anni della Fiorentina, del Verona, del Torino, dello stesso Napoli, della Roma, della Lazio da scudetto, ma persino del Perugia o del Vicenza di Rossi, piazze ormai ignorate dai giornali. Avevamo un campionato forte, combattuto, unico. Poi sono arrivati i soldi della tv, il dominio dei top club, le cene lussuose. E ora, ricoperti da una quantità di soldi mai vista, siamo retrocessi a quarto campionato d'Europa per bellezza e importanza.
La Premier ci ha quasi raddoppiato nei ricavi, la Germania ha una capienza negli stadi che noi ci gustavamo negli anni Ottanta. Questa è la realtà. Speriamo soltanto che il campionato in partenza il 27 agosto, al quale dedichiamo gran parte del numero e il poster-calendario, sia quello della riscossa. In questo, mi ripeto, la vittoria finale del Napoli avrebbe un significato enorme. Come la rinascita della città servirebbe all'intero Paese, che sui rifiuti campani ha misurato la crisi del sistema. Mazzarri, esempio tangibile di professionalità, non vale meno di un sindaco nella sfida di Napoli. E dell'Italia.
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