La vittoria della Spagna è stata meritatissima per quanto visto nella finale di stasera, per quanto mostrato - seppur a sprazzi - lungo l'intero torneo e, soprattutto, perché rappresenta l'esito più logico e quasi obbligato, anche nel calcio delle nazionali, del livello di eccellenza raggiunto da un movimento calcistico, quello catalano barcellonista, che in questi anni ha dominato tra i club in Europa e nel mondo, imponendo una "filosofia" poi trapiantata quasi pari pari anche tra le Furie Rosse: pure stasera, infatti, degli undici titolari schierati da Del Bosque sul prato del Soccer City Stadium di Johannesburg ben sette vestiranno la camiseta blaugrana del Barcellona nel corso della stagione agonistica 2010-2011 (Piquè, Puyol, Busquets, Pedro, Xavi, Iniesta e il neo-acquisto Villa). E se a loro si aggiungono l'attuale migliore portiere del mondo, Iker Casillas, gli altri due ottimi madridisti Sergio Ramos e Xabi Alonso, ma anche un "intruso" del calibro di Capdevila, si capisce bene quanto sia elevato il livello medio della Spagna 2010, in grado di lasciare in panchina, tra gli altri (e gli altri possono essere giocatori di classe come David Silva e Jesus Navas), persino campioni come Fernando Torres e Cesc Fabregas.
Tornando al match conclusivo di Sudafrica 2010, la Spagna ha meritato per come ha continuato sempre a giocare a calcio secondo quella che è la propria - appunto - "filosofia", senza scomporsi più di tanto nemmeno di fronte ai calcioni cattivi e provocatori attraverso i quali gli olandesi hanno deciso di buttare la partita in rissa: con un arbitro meno tollerante dell'inglese Webb, troppo preoccupato di non rovinare la finale con decisioni a suo giudizio severe (ma, in realtà, troppo "morbide"), l'Olanda avrebbe potuto (dovuto) finire in nove uomini addirittura il primo tempo, perché De Jong e Van Bommel avrebbero dovuto essere cacciati già nella prima frazione di gioco, dopo due interventi quasi da codice penale. Alla fine, comunque, l'espulsione sacrosanta di un olandese, nello specifico Heitinga, giungeva inevitabile all'inizio del secondo tempo supplementare, per somma di ammonizioni.
A provocare la cacciata del difensore centrale arancione era l'ennesima iniziativa di colui che, di lì a poco avrebbe deciso match e torneo, il grandissimo Andrès Iniesta, migliore in campo dall'alto della sua classe cristallina abbinata a un dinamismo raro in calciatori tecnici come lui e a una capacità unica di essere decisivo. Da quando s'è affacciato al grande calcio, si parla del ventiseienne Iniesta come del "centrocampista moderno" per antonomasia: ebbene, se così è (e, in realtà, così è), allora è giusto che sia stato proprio lui a decidere il Mondiale 2010, "moderno" per definizione in quanto non sempre spettacolare per l'eccesso di intensità e perché giocato quasi sempre a ritmi elevati che hanno annullato più di un fuoriclasse tecnicamente e classicamente inteso (i vari "Salvatori della Patria" alla Messi, Rooney, Cristiano Ronaldo e compagnia cantando). Iniesta, invece, è quasi il prototipo del campione al servizio del collettivo, l'incarnazione stessa del "nuovo calcio spagnolo" come, forse, solo Fabregas potrebbe essere a questi stessi livelli.
Della Spagna campione del mondo, ma anche dell'Olanda finalista e sconfitta per la terza volta in tre finali, ci sarà modo di riparlare anche domani e nei prossimi giorni. Per adesso, invece, è giusto abbandonarsi alla festa per la vittoria del calcio sui... calci.
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