(Il Mattino - 19 febbraio 2012)
Le sue partite sono come i viaggi di Doc Em

Guardandolo non si ha visione dell’uscita dal tempo, ma solo di una accelerazione di questo, una velocità compatta e costante. Con Lavezzi no, la differenza salta agli occhi, proprio come quella tra bufalo e locomotiva. Sotto porta risulta indecifrabile, se pensa sbaglia, se va a istinto centra, se rallenta finisce tutto. Il gol a Firenze è nato da una palla che stava per smarrirsi sopra la sua testa, era il 92esimo, un calciatore normale che ha il senso del tempo è stanco, lui no, la sua velocità rischiava di scavalcare il pallone. Parte dalla sua metà campo, senza affanno, scavalca Salifu prima e Nastasic dopo, e con un gesto di retroguardia, il piede destro: rimasto nel tempo normale, rimedia, segnando alla sinistra di Boruc. Gol, finalmente. Sembra che la porta sia il non tempo, con cui ha un conflitto, e non sempre vince. Lavezzi è uno dei pochi calciatori che è un incontro di più tempi e quindi di più velocità. Un suo simile è Federer che fa cose semplici a velocità impensabili. Lavezzi è un supereroe impacciato: un Uomo Ragno che precipita d’improvviso per poi riuscire a dondolarsi tra i grattacieli, un Mandrake alle prime armi, qualche volta controlla la sua velocità, altre no. Spesso è vittima di questa speditezza, e ne ha pagato anche le conseguenze, in moltissime partite, anche nella stessa di Firenze: in passato critici e tifosi hanno espresso perplessità sul calciatore argentino per lo scarso numero di gol, proprio perché non conoscono le sue difficoltà con la variabile t, pari alle cattive, involontarie, frequentazioni fuori dal campo. Sbaglia, inciampa, cade. Si rialza e rimane come tutti quelli che non si spiegano al presente. Che vivono il tempo come una disavventura. Estraneo. Ogni campo una dimensione, ogni partita un tempo da violare. A volte in sincrono, a volte no. Perso dietro l’Alice di Carroll.
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