venerdì 26 ottobre 2012

le brutte figure europee di una società che vorrebbe essere grande (ma non lo è)

Di Diego Del Pozzo

Una società emergente che ha l'ambizione di inserirsi tra le grandi dell'Europa calcistica non può permettersi di fare brutte - anzi pessime - figure come quelle che sta inanellando il Napoli durante l'Europa League 2012-2013. E nemmeno la pur legittima esigenza di concentrarsi esclusivamente sul campionato può giustificare imbarcate come quelle prese dagli uomini di Walter Mazzarri sia a Eindhoven che a Dnipropetrovsk, contro avversarie di buon livello - e, nel primo caso, di notevole blasone - come Psv e Dnipro. Così, infatti, si rischia di vanificare in breve tempo tutto il credito internazionale accumulato lo scorso anno grazie alla sorprendente Champions League conclusasi agli ottavi con la sconfitta soltanto ai tempi supplementari contro i futuri campioni del Chelsea. Continuando lungo la strada intrapresa, il Napoli rischia - oltre all'eliminazione - di essere percepito dagli osservatori stranieri come la squadretta europea di questa stagione, grazie a una gestione arrogante e superficiale, ai limiti della provocazione, da parte di società e allenatore.
Il pasticcio difensivo sul 2-0 ucraino
La partecipazione a una competizione internazionale non può essere ridotta ad allenamento infrasettimanale o a test per capire il reale livello dei cosiddetti rincalzi, come hanno lasciato intendere le discutibilissime dichiarazioni rese da Mazzarri nel post-partita ucraino. La partecipazione a una competizione internazionale - conquistata sudando sul campo - si onora nel miglior modo possibile: è così che fanno le grandi squadre, pur praticando tutte un turnover tra gli uomini delle rispettive rose: l'Inter ha fatto turnover, lo ha fatto il Liverpool, l'Atletico Madrid, il Lione, la Steaua Bucarest; tutte squadre con una tradizione europea più lunga e consolidata rispetto a quella del Napoli. E in giro per il Continente sono già in tanti, tra gli addetti ai lavori più autorevoli, a considerare presuntuosa la "politica" della società partenopea e del suo allenatore: basti ricordare soltanto le dichiarazioni di tecnici di prestigio come Dick Advocaat (dopo la facile vittoria del suo Psv, nel penultimo turno) o Mircea Lucescu (il guru rumeno dello Shakhtar Donetsk, che alla vigilia aveva dato per spacciato il Napoli 2 contro il Dnipro).
Il turnover si può certamente fare, ma innanzitutto tarandolo sulle singole partite, poiché giocare al San Paolo con l'Aik Solna non è la stessa cosa che andare in Olanda e Ucraina per affrontare Psv e Dnipro (società gloriosa che, peraltro, con la vecchia denominazione russa di Dniepr ha anche vinto due titoli di campione sovietico durante gli anni Ottanta, quando poteva schierare in attacco il grande Oleg Protasov). E poi, turnover a parte, in campo bisogna mettere la medesima intensità riservata alle grandi sfide interne con le big italiane, intensità che è, d'altronde, una tra le caratteristiche del gioco del Napoli di questi anni e che, in campo internazionale, diventa elemento basilare per potersi confrontare con qualche chance di successo contro chiunque: nelle competizioni europee, infatti, si corre e si pressa in maniera dinamica e con una velocità e continuità nell'arco dei 90 minuti ormai quasi del tutto sconosciute nella nostra impoverita Serie A (e, in questi anni, proprio il Napoli di Mazzarri ha rappresentato, in tal senso, una felice eccezione...).
Le antipatiche dichiarazioni che Walter Mazzarri ha reso ieri sera, al termine della disfatta di Dnipropetrovsk, mi hanno lasciato un retrogusto amaro in bocca ("Questi giovani li dobbiamo vedere all'opera anche per capire fino a che punto possano essere utili anche in campionato. [...] D'altronde non abbiamo 22 top player nella rosa. Prendiamo Insigne e Vargas: io so bene che giocare a certi livelli in Europa non è come fare bene in Serie B o essere protagonisti in Cile. Sono i giornali che esaltano i ragazzi se fanno bene per dieci minuti"), come se il tecnico azzurro avesse voluto dimostrare alla società e all'opinione pubblica di avere a tutti i costi ragione per quel che concerne le proprie scelte e convinzioni, anche a rischio di bruciare qualche giovane talento come Lorenzo Insigne, che magari, se fosse inserito in un Napoli appena un po' meno sperimentale, potrebbe giocarsi meglio le occasioni che gli vengono concesse: perché, per esempio, non provare a schierarlo dall'inizio accanto a uno tra Pandev e Cavani, alternando questi due per un tempo a testa? E perché inserire Zuniga in una posizione assolutamente delirante, che ha danneggiato non poco anche lo stesso Insigne? Le domande, però, potrebbero continuare e riguardare anche portiere (Che bisogno ha, un "highlander" come De Sanctis, di fare turnover già a ottobre?), difensori (Uno tra Cannavaro e Campagnaro in campo proprio non serviva?) e centrocampisti (Inler, col fisico che ha, si sarebbe stancato così tanto a giocare 45 minuti?). Forse, per uscire indenni dalla Dnipro Arena (o magari per vincere), sarebbe bastata una formazione come questa: De Sanctis - Gamberini, Cannavaro (Campagnaro), Aronica - Mesto, Dzemaili, Inler (Donadel), Zuniga - Vargas, Insigne - Cavani (Pandev). E, naturalmente, tanta voglia in più...
Con tutto il rispetto per il Chievo (tradizionale "bestia nera" del Napoli), siamo proprio sicuri che battere i veronesi domenica sera al San Paolo sia (sarà) più difficile che giocare in trasferta contro un avversario di buon livello come il Dnipro, secondo in Ucraina dietro soltanto a quello Shakhtar Donetsk che oggi rientra certamente tra le cinque-sei squadre più forti d'Europa? Forse, se questo deve essere l'approccio alla seconda competizione continentale per club, il Napoli sarebbe stato più onesto se, al termine della scorsa stagione, avesse deciso di rinunciare a disputare l'Europa League, lasciando libero un posto per una squadra più motivata e che avrebbe prodotto minori danni al già disastrato ranking Uefa delle compagini italiane.

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