(L'Espresso - 8 settembre 2011)
Doping, Calciopoli, passaporti falsi per far diventare italiani giocatori sudamericani. Lei spiegò e poi pagò. Si è mai pentito?
"Eventualmente, avrei dovuto star zitto prima. La verità è pericolosa. Una volta detta, è inopportuno rimangiarsela. Avevo ragione. Non c'era nulla da smentire".
Però è rimasto solo.
"Peccato. Io sto meglio in mezzo alla gente. Da solo (ride). Mi piace osservare quello che succede attorno a me".
Il calcio è uscito dalle farmacie?
"Spero di sì, ma non ne sono convinto. Se si trovano dopati negli altri sport, non fatico a credere che qualcuno cerchi rimedi artificiali alla propria incapacità. La meritocrazia è uno slogan. Nell'ambiente c'è troppa gente che non c'entra niente".
I suoi estimatori dicono: "La Figc avrebbe dovuto offrire a Zeman la Nazionale".
"Avrebbe. Non è mai successo".
Carenza di cultura sportiva?
"In Italia purtroppo manca. Consequenzialmente, Zeman non sa dove andare".
A volte si ha l'impressione che l'abbiano raccontata a metà. E che la responsabilità, quando non la complicità, sia anche sua.
"Su di me si sa più di ciò che si dovrebbe sapere. Anche cose inessenziali".
Che rapporto ha con i giornalisti?
"Non voglio influenzarli. Quindi non li porto a cena, né a prendere un caffè".
Sarebbe grave?
"Non voglio corsie preferenziali e desidero che ciascuno scriva ciò che pensa".
Zeman l'integralista.
"Per cinquant'anni mi sono sentito boemo. Ero più preciso, metodico, meno flessibile. Poi mi sono scoperto italiano e ho imparato qualcosa del vostro carattere".
Insegnamenti?
"Non sempre positivi, ma capaci di cambiarmi. Tornando ai giornalisti, è vera un'altra cosa".
Quale?
"Che molti allenatori gli telefonano per essere aiutati" (Terza sigaretta).
Disapprova?
"Affronto il problema diversamente. Mi illudo che possa aiutarmi solo il campo".
Zeman non ha i rapporti giusti?
"Non so cosa significhi "rapporto giusto"".
"Non ha vinto niente, dovrebbe stare zitto": Luciano Moggi la invitava al silenzio.
"Quel qualcuno non ha spiegato che metodi ha usato per vincere. Non sono vittorie quelle. Rappresentano altro".
Pescara è l'ultima occasione?
"In che senso? Non sono ancora morto".
Lei ha 64 anni.
"Oggi sono qui. Penso di restare anche domani. Dopodomani si vedrà. Non ho più ambizioni. Le soddisfazioni che potevo ottenere le ho già ottenute tutte".
Non esageri.
"Ho avuto offerte da Real Madrid e Barcellona e ho declinato l'invito".
Perché?
"Avevo preso un impegno, dato la mia parola, promesso. Ha idea di quanto sia fondamentale riconoscersi?".
Ha rimpianti?
"Neanche l'ombra. Per me è come esserci stato. Ho allenato le migliori squadre al mondo (Sorriso).
Lì nessuno avrebbe potuto darle del perdente (Lunghissimo sospiro. Quarta sigaretta). In sua vece prova a vincere Mourinho.
"Nel vendere il proprio prodotto è tra i migliori. Gli manca qualche rudimento sul campo. Può ancora impararlo".
Il portoghese tornerà tra noi?
"Dipenderà dalle condizioni economiche del calcio italiano. Non dubito che per lui si tratti di un dettaglio più che decisivo".
E' venale anche lei?
(Sorride, esclama un inedito "vabb è", accende la quinta, risponde) "All'inizio dovevo lavorare e i soldi mi servivano per campare. Ora pretendo il giusto per non svendermi. L'andazzo è inquietante. Tra pochi anni, di questo passo, gli allenatori pagheranno le società per allenare".
Avrebbe potuto anche rimanere fermo.
"Avrei. Ma la mia vita è in mezzo alle linee di fondo e ai fuorigioco. Così ho accettato senza prostituirmi. Sono consapevole che il mio ingaggio pesi sulla società, spero di poterla ripagare".
De Cecco, il suo presidente, produce pasta. Metterà grano anche nel Pescara?
(Breve Silenzio. Zeman si volta, improvvisa una gag, simula imbarazzo) "La dico? La dico. Per ora penso che la società sia in fase di recupero. Di riorganizzazione. L'epoca dei mecenati, comunque, è finita per sempre e stare attenti al denaro non è un sinonimo di vergogna".
Casillo, Corbelli, Corioni, Cragnotti, Sensi. Il migliore tra i suoi presidenti?
"Il più simpatico l'ho incontrato a Messina. Si chiamava Massimino. Se ne è andato sei anni fa. Le racconto un episodio".
Dica.
"Totò Schillaci, la punta, avrebbe dovuto avere il numero nove. Un giorno Massimino, carbonaro, mi prende da parte e fa: "Mister, mi raccomando, dagli il numero undici. Gli avversari si confondono, lo lasciano libero e lui segna". Erano sciocchezze, ma io le adoravo. Il giorno dell'addio, Massimino mi chiuse in una stanza. "Se non firmi, giuro non ti faccio uscire"".
E lei?
"Aprii la porta e non mi voltai".
Si intuisce una nostalgia.
"I vecchi padroni delle ferriere mi mancano molto. Erano passionali. Qualcuno si è sparato, molti si sono feriti sul piano economico. Oggi i presidenti non si fanno male. Danneggiano direttamente le società. Sono quasi tutte piene di debiti, perché indebitarsi, oggi, è un divertimento".
Duro.
"Il calcio ha perso le sue radici. Non ride, non si stupisce, tiene lontana l'emozione. Lo sport è diventato business ed è ovvio che, se il campionato è soltanto un affare, esistano regole d'ingaggio diverse".
Il dopo Calciopoli? Occasione mancata?
"Non si è verificata nessuna rivoluzione. Non è cambiato nulla semplicemente perché le infezioni si debellano diversamente. Quelli che hanno sbagliato sono rimasti, salvo rarissime eccezioni, al loro posto".
Quindi?
"Il sistema è malato".
E lei, dentro il recinto, si muove a fatica.
"Con l'establishment sicuramente non ho relazioni serene. C'è da cambiare, rivoltare e innovare abbandonando il passato che inquina il presente. Però sono felice che la gente mi voglia bene. Mi fermano per strada. Si vede che qualcosa di utile, alla fine, ho seminato".
A proposito di Roma. Luis Enrique, Totti, gli americani. Caos poco calmo.
"Se la situazione è caotica, lui non ha colpe. Sono arrivati dirigenti e giocatori nuovi, c'è stato un passaggio di consegne. Totti non è mai un problema. E' una risorsa".
A Bratislava, in Europa League, è rimasto a guardare per un'ora e dieci.
"Può succedere di rimanere fuori ma anche di interrogarsi su quante altre volte accadrà. Il calcio devono recitarlo quelli in grado di stare sul palco. E Totti è ancora un grandissimo attore. Se poi deve stare fuori per logiche economiche, mi arrendo. Esulano dallo sport, non mi riguardano".
Il progetto Di Benedetto la convince?
"E' necessario aspettare. Nascere è facile, difficile è sopravvivere. Di luccichii e programmi roboanti ne ho visti brillare tanti. L'anno scorso, a Salerno, si presentò un bizzarro americano".
Joseph Cala. Promise esborsi per 40 milioni.
"Rimase undici giorni. "Tu sei il direttore generale, tu ti occupi dei conti, tu al marketing economico". Poi si è imbarcato sul primo aereo per New York".
Lotito si è fatto garante della rinascita della fu Salernitana. Le piace?
(Pausa lunghissima) "Non lo so. Non condivido gran parte delle cose che fa. Per come si presenta e non solo".
Ci lavorerebbe?
"Se mi lasciano fare quel che mi aspetto, posso lavorare con chiunque".
Non con i campioni. Dicono che lo Zeman in lotta per lo scudetto non amasse le stelle.
"E' falso. Chieda ai miei giocatori".
Qualche nome?
"Aldair, Totti, Cafu e Signori. Erano campioni, se qualcun altro si reputa tale ed è solo un mezzo giocatore, sfortunatamente, dobbiamo cambiare argomento".
I ragazzi invece la adorano. Le danno retta.
"Più invecchio più cerco di lavorare con i ragazzi. Mi trovo bene. Ringiovanisco".
I suoi allievi le sono grati?
"Quando li incontro sempre. Se poi alle spalle parlano male di me non posso saperlo né prevederlo" (ride).
Sono soddisfazioni.
"Imparagonabili a quando incontri un tuo ex che ti dice: "Peccato Mister, se avessimo ascoltato saremmo altrove"".
A proposito di intuizioni e ricordi. Signori, il ragazzo per il cui acquisto propose a Casillo la vendita di un mulino, è stato radiato.
"Mi è dispiaciuto tantissimo".
Vi siete parlati.
"Solo per interposta persona".
Secondo l'accusa, Signori scommetteva al pari di Marco Paoloni, il portiere del Benevento, compagno di girone del suo Foggia. Gli arbitri, l'anno scorso, vi hanno preso di punta.
(Meditata riflessione) "Che le devo dire? I campionati di C andrebbero riformati. Ci sono realtà che devono vincere per forza. Ma per forza non si può vincere niente. Quando sei obbligato, puoi barare".
La terza serie è terra di conquista?
"Purtroppo sì. Lo sanno tutti. Da anni. Non interviene nessuno".
Perché?
"La palla gira e non si può fermare. A qualsiasi costo. Tanti anni fa proposi di fermarsi e riflettere".
Risposta.
"Non si può fare. La gente ha ancora fame di calcio".
E' eterna?
"Senza esempi positivi non credo".
Nel 2006 l'Italia ha vinto il Mondiale.
"Nell'82 giocò bene. Nel 2006 meno. In entrambe le occasioni ha avuto fortuna".
Solo fortuna?
"Anche altro. La follia di Zidane".
Beha e Chiodi, nell'82, parlarono di combine con il Camerun.
"Le persone sono poco informate. In generale, si cerca di nascondere. Oggi si occultano tante cose. E' una mania".
Cos'altro si cerca di celare?
"La realtà. Teppisti e prezzi folli. Gli stadi si svuotano, ma forse è una strategia".
Tanto c'è la tv.
"Un'illusione ottica. Se si svuotano gli stadi si allontanerà rapida anche la tv".
E poi?
"Il calcio morirà".
Alternative?
"Ricominciare da capo. Perché no?".
Tutti i club ricevono lo stesso trattamento?
"Mi prende in giro?".
Il calcio non è democratico?
"Secondo me no. Se lo fosse, paradossalmente, parlerebbe un linguaggio comune. Ascolto dichiarazioni fuori luogo, tycoon esagitati, balle in libertà".
Come?
"Ci vorrebbe una figura illuminata che aggiustasse la casa dalle fondamenta. Qualcuno capace di ascoltare l'opinione di tutti e poi decidere di testa propria".
Con i colleghi ha un buon rapporto?
"Li conosco poco. Ogni tanto ci incontriamo alle riunioni. Si guardano tutti in cagnesco. "Io sono più bravo di te, io faccio questo, tu non fai quest'altro"".
Vedrà altra gente.
"Esco poco. Se proprio devo, mi chiudo a casa di qualche amico".
Mostre, arte, prime visioni?
"Al cinema non vado dal '75".
Come mai?
"Vietarono il fumo libero. Ma vedo tanti film del passato. Avendo perso i vecchi, per me è come se fossero tutti nuovi".
Lei arrivò in Italia nel '69. In fuga dalla Cecoslovacchia occupata dai russi.
"Per voi la politica è un'ossessione. E' vero. Non mi sono mai iscritto alla Federazione giovanile comunista e ho pagato dazio, come mia sorella. Per lasciare Praga ci ho messo un anno. Ma io sono venuto in Italia grazie a mio zio".
Vycpaleck, allenatore della Juve.
"Senza di lui non sarei mai uscito da lì. Comunque, le spinte furono meno ideali di quanto si possa immaginare. Il sole e le ragazze, anche se questo non lo posso dire" (Sorride).
Suo padre era medico. Rigoroso come lei?
"Giusto. Alle 8 di sera dovevo essere a casa. Se tardavo, non mi applaudiva".
Prendeva schiaffi?
"Mai. Né ho mai alzato un dito sui miei figli. Dicono che sono severo? Mentono".
Un'ultima curiosità. Chi vince il campionato?
"Chi arriva primo".
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