domenica 12 dicembre 2010

napoli: aurelio de laurentiis e la rivoluzione del calcio

Di Gaia Piccardi
(Corriere della Sera - 11 dicembre 2010)

Sei anni, due promozioni consecutive e tre allenatori dopo, la pazziata è diventata 'na malattia. "Il Napoli mi assorbe, mi diverte, mi impegna. Non vado più a Los Angeles due volte al mese, ho dovuto intensificare la produzione di film italiani. Per essere amato, il Napoli andava conosciuto".
Aurelio De Laurentiis, figlio di Luigi e nipote di Dino, appena scomparso, guarda il calcio con occhi celesti come la passione dallo studio che domina Roma. Una mattina di luce cinematografica illumina le locandine, il 27° cinepanettone ("Un record da Guinness!"), Natale in Sudafrica, pronto al decollo, il terzo posto da difendere, stasera, dal Genoa.
Presidente, cosa ha capito del calcio fino a qui?
"In questi anni ho fatto un percorso su due binari: applicare la mia cultura industriale del cinema al pallone e osservare l'ambiente. Nel 2004 sapevo poco. La mia preoccupazione era capire. E creare qualcosa che non esisteva più, la Ssc Napoli. In tre anni siamo risaliti in A, in anticipo sui tempi. Non è poco".
E non è tutto.
"Abbiamo creato un vivaio, osservatori collegati col mondo. A Castelvolturno sono in progetto altri 10 campi e una scuola per far studiare i giovani talenti, perché non è detto che diventino tutti campioni".
Gli altri presidenti sono meglio o peggio di come li immaginava?
"All'inizio mi guardavo intorno come un marziano. E pensavo: qui si sta sbagliando tutto. Conferma ne fu Calciopoli. Dopo, con i miei colleghi, ho lottato per staccare la Serie A dalla Serie B e fondare una nuova Lega. Beretta è un uomo che stimo molto perché viene da Confindustria e le società, dal '96, sono delle Spa".
Com'è il suo calcio ideale?
"Meno partite: bisogna ridurre il numero delle squadre in A e cominciare il 1° ottobre. Ci si deve allenare per bene, fare il mercato senza fretta. Un torneo come la Nba: nessuno retrocede, le ultime sono aiutate dalle prime. Platini vuole il salary cap perché il giocattolo gli sta sfuggendo dalle mani. Tutto si potrebbe risolvere se aumentassero le entrate".
Il fuoriclasse in squadra non basta.
"Se io prendo Brad Pitt lo pago milioni perché il suo film incasserà molto. Ma dove sta scritto che se compro quel calciatore vinco la Champions? Le Serie B e C, che da sole non ce la fanno più, dovrebbero diventare un serbatoio di giovani, massimo diciannovenni, da fornire a una Serie A blindata e di altissimo livello".
Interessante. Come procede il copione?
"Abolizione di Champions ed Europa League. È assurdo che chi esce dalla Champions finisca in Europa League. Poi a Montecarlo l'Atletico batte l'Inter: ma così si svilisce la credibilità dei campioni d'Europa! Errore madornale: sul marketing l'Uefa ha molto da imparare".
Trovato l'assassino, serve il colpo di scena.
"Oltre al campionato nazionale, un unico campionato europeo per club di Italia, Francia, Germania, Spagna e Inghilterra. Così si potrebbero creare i presupposti per fatturare fino a 8 miliardi di euro. Giocano le prime 8 con un calendario che non sfasci i giocatori. Se poi le nazionali li vogliono, che paghino. Troppo facile avere Cavani per un'amichevole in Asia e restituirlo spompato. Eh no! Innanzitutto le nazionali dovrebbero pagare almeno 100mila euro a partita ai club e, soprattutto, assicurare i giocatori dagli infortuni che pregiudicherebbero l'investimento delle società. I contratti vanno rivisti: se Steve McQueen fosse stato in un mio film, non sarebbe potuto andare a correre a Le Mans".
Giovani, vivaio, progetto. Il modello-Barcellona.
"Ho visto Barça-Real 5-0. Che spettacolo: 11 calciatori che volavano e un tecnico, Guardiola, di forte personalità".
Cosa significa produrre calcio nella città della monnezza e di Gomorra?
"La monnezza e la camorra non sono un problema di Napoli, sono un problema dell'Italia, che non è sufficientemente matura per capire di cosa è ricca. La malavita è endemica nel nostro Paese. Lizzani ci fece un film, Banditi a Milano, negli anni '60. Abbiamo il 50% del patrimonio artistico mondiale e non siamo capaci di sfruttarlo. Non esiste che Disneyworld stacchi più biglietti di Pompei! Basta con la melina politica, cominciamo a fare la politica contro il fancazzismo!".
Proviamoci.
"In Campania oggi ci sono oltre 10mila industriali. Mi hanno chiesto un coinvolgimento. Ecco la proposta per uscire dal limbo: una società aperta a tutti, ciascuno mette 1 milione. Facciamo leva sulle banche: il problema monnezza potremmo risolverlo tutti noi. Il buon esempio crea sempre un circolo virtuoso".
Se Cassano quella scenata l'avesse fatta a lei?
"Non conosco a fondo la situazione. Conosco però Garrone, che è persona garbata. Quanto al giocatore, mi stupirei molto se Mazzarri mi chiedesse di comprarlo".
E Balotelli.
"Eh, Mario mi piace. Pensavo si potesse sposare bene con la sfrontatezza della gioventù della mia squadra. Mi divertiva come approccio, quasi come un figlio. L'avrei affidato a Mazzarri, che sa fare da allenatore, padre e fratello. L'esuberanza guascona di Balotelli mi sta simpatica. Ma è stato fatto eroe prima che lo fosse. Io lo resetterei, ripartendo da zero. Però non lo inseguo più: chi viene a Napoli deve volerlo".
Per questo Quagliarella è partito?
"Con l'arrivo di Cavani sarebbe stato a mezzo servizio. Nessuno è indispensabile. Il fatto che El Matador sia capocannoniere con Eto'o sembra darci ragione".
Ogni tanto anche lei cade nella tentazione di fare l'allenatore.
"È successo, e non è detto che abbia fatto bene. Con l'esperienza, si può anche cambiare idea. All'inizio volevo una squadra tutta di napoletani, poi ho virato sulla tradizione vincente di Napoli: il Sudamerica".
A proposito. Tocca parlare di Maradona.
"Diego, innanzitutto, ha un problema col Fisco. Risolto quello, lo accoglierei a braccia aperte. Non certo in panchina, però potrebbe organizzare partite all'estero, fare l'ambasciatore sportivo del Napoli nel mondo. Abbiamo ottimi rapporti: io con Maradona ho fatto un film, Tifosi. Quando arrivò sul set giocò a pallone tutto il giorno con Abatantuono e De Sica".
Su Reja, secondo con la Lazio, fu forse dato qualche giudizio affrettato?
"Fu lui a dirmi con grande umiltà nel 2009 che, forse, non aveva più presa sui ragazzi. Siamo rimasti amici. Edy è stato il nostro Clint Eastwood. Prima di andare alla Lazio mi chiamò: Aurelio, che ne pensi?".
Il giocattolo Inter si è rotto?
"Non credo, è una crisi passeggera. Però la mia mentalità sarebbe stata di aprire un nuovo corso: investire su un tecnico giovane, come ha fatto Berlusconi".
Chi sono le facce da cinema del calcio?
"Ho pensato a un film con Totti e Del Piero. Francesco è un talento comico straordinario. L'anno scorso lo volevo nel cinepanettone ma capii subito che sarebbe stato impossibile conciliare il calendario".
Il calcio del futuro.
"Stadi nuovi, più piccoli, con posti comodi. I nostri 450 prodotti di merchandising: le camerette per bambini firmate Napoli, lo scooter col marchio del ciuccio che De Sica mi ha chiesto per girare a Capri. Voglio portare il Napoli in Cina e in India, voglio che entri tra le prime 15 squadre del mondo, chiudendo sempre in attivo".
Scusi la digressione: Belén è una fuoriclasse?
"È bella, spontanea, professionale. Le chiederò di dare il calcio d'inizio a un'amichevole, con gli shorts che indossa nello spot. Prevedo il San Paolo esaurito".

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