(La Gazzetta dello Sport - 30 novembre 2010)
Gli inglesi hanno ribattezzato il calcio The Beautiful Game pensando a esibizioni di questa magnificenza, perché lo stordimento provocato dal gioco del Barcellona, paragonabile alla sindrome di Stendhal che fa vacillare i sensi davanti a un quadro, non è mai stato profondo come in questa fresca, stupefacente, indimenticabile notte di mezzo autunno, che riecheggia quella di quasi 17 anni fa. Era l'8 gennaio 1994: un altro 5-0 blaugrana al Camp Nou con tripletta di Romario e il sommo Cruijff in panchina. Floro invece in quella del Real. Guardiola mantiene le promesse e attacca con decisione dal fischio d'inizio con la mossa che indirizza subito il match: il terzino Dani Alves gioca altissimo, quasi da attaccante aggiunto, e anziché allargare un po' le maglie del centrocampo per contenerlo Mourinho ordina a Di Maria di inseguirlo sino all'altra area. La perdita dell'ala, che diventa a sua volta un terzino, squilibra il quartetto offensivo sul quale il Real aveva costruito il suo brillante avvio di stagione: è come se al tavolino mancasse una gamba, e la difficoltà nel tenere il pallone di Ronaldo, Benzema e Ozil - privati dello sviluppo laterale - permette al Barcellona il totale controllo del pallone, e la conseguente incessante offensiva.
Il Clasico ha il potere di ispirare i cuori saldi e le menti fredde, e così sono Iniesta e Xavi a costruire il gol che funge da apriscatole con un passaggio verticale sul quale Marcelo chiude in ritardo. E' l'inizio della grandinata alla quale Mourinho, nero come un cielo di Van Gogh - in una serata così, solo metafore artistiche -, non riesce a ribellarsi. Assiste impotente al naufragio della difesa, sin qui un modello di organizzazione, china il capo quando Pedro sfrutta una scorreria di Villa sulla linea di fondo, osserva senza sentimento le prime scaramucce, dovute a uno spintone di Ronaldo a Guardiola sulla linea laterale che infiamma Valdes - sempre sopra le righe - e gli altri blaugrana. Si potrebbe immaginare uno straccio di riorganizzazione nell'intervallo, e invece il Barça rientra determinato a infliggere al Real una lezione anche numerica che scavi un bel fossato psicologico a futura memoria. Nel primo quarto d'ora della ripresa arrivano i due gol di Villa, ispirato dai passaggi di Messi, e se già il primo è molto bello, il secondo - una lunga rasoiata diagonale in campo aperto - è qualcosa che fa inumidire gli occhi, se come noi siete così plebei da godere per un bonbon calcistico. La doppietta di Villa è importante perché tampona l'unica imperfezione del primo tempo, la difficoltà del Barça a leggere il gioco sul filo dell'offside del suo nuovo cannoniere.
Di lì in poi il Real, innervato dall'ingresso del brutale Lass Diarra, alza i tacchetti per convincere il Barça a placarsi. Dopo l'8-0 all'Almeria, Ronaldo aveva sarcasticamente detto: "A noi non ne faranno altrettanti". Rischia di venire smentito. Nel finale Jeffren dilata a 5-0 la storica goleada e la gente del Camp Nou deride Mourinho invitandolo ad alzarsi dalla panchina. E' l'unico gol del Madrid: malgrado ciò che ha visto, la gente continua a temere Mou.
Barcellona e il Real Madrid ogni gioco è classico, sono al centro dei fan. Il calcio porta gioia illimitata alle persone. Io amo il calcio.
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