(Gazzetta.it - 29 maggio 2011)
Proviamo a immaginare i fattori negativi che potrebbero incidere sul rendimento di questa squadra nei prossimi anni. Punto primo: un possibile addio di Guardiola, il direttore di questa orchestra miracolosa, che non ha fatto mistero di non credere ai lunghissimi cicli di un tecnico sulla stessa panchina (con buona pace di sir Alex). Secondo: Xavi, il fulcro del gioco catalano, è ormai "over 30" e non è detto che l'eventuale ritorno in patria di Fabregas, in futuro, lo sostituisca al meglio. Terzo: varie ed eventuali, come mega-cessioni sul mercato (ma un club così importante può fare a meno di privarsi dei suoi gioielli) o implosione dello spogliatoio, situazione al momento impronosticabile. Per il resto, è dura immaginare quali ostacoli possa incontrare questo Barcellona nel cammino verso l'etichetta di "miglior squadra di sempre".
In tre anni di gestione Guardiola, il Barça ha perso la miseria di 13 volte in 180 partite: le uniche sconfitte "sanguinose" di questa esigua lista sono quelle col Rubin Kazan e soprattutto con l'Inter nella scorsa Champions League, le due in Copa del Rey (Siviglia nell'edizione 2009-10, Real Madrid l'anno seguente) e quella con l'Arsenal in questa Champions, poi ribaltata nel ritorno degli ottavi. Le altre riguardano partite di campionato disputate a torneo appena iniziato o già deciso. E ancora nessuno ha davvero capito come si batte una simile macchina da guerra, senza ricorrere a barricate o almeno al sistematico tentativo di distruggere il gioco blaugrana. Mourinho c'è riuscito con l'Inter in una di quelle stagioni in cui il destino sembra portarti per mano verso il trionfo, ma la verità è che se appena qualcuno prova a metter fuori il naso dal bunker e a giocarsela a viso aperto… finisce come il Manchester United a Wembley. O come il Real Madrid della manita al Camp Nou.
Siccome questo Barcellona nasce da una filosofia, prima ancora che da un progetto, obbligare l'avversario a concentrarsi solo sulla fase difensiva e a sperare in colpi estemporanei è già una prima vittoria culé. E un altro successo è vedere i maggiori rivali impreparati a un confronto di questo livello: se si scoprono è un disastro, se si chiudono è umiliante ed è quasi peggio. Non basta nemmeno aprire l'ombrello e attendere che passi la tempesta, perché il Barça è mediamente un gruppo giovane e continua a immettere talento fresco in prima squadra, ragazzi destinati a diventare i campioni di domani: di Messi, Xavi e Iniesta ne nascono pochi, ma il valore tecnico dei prodotti della cantera della Masia lascia pensare che questo ciclo blaugrana non si esaurirà tanto in fretta, come è capitato ad altre squadre mitiche del passato. La presenza di un progetto a lungo termine lo farà durare a lungo, obbligando in pratica chi insegue a fare altrettanto, a migliorare il proprio calcio, a fare programmi a lunga scadenza, ad alzare il livello per rimettersi al passo. Ognuno col suo stile, ovviamente. Aver costretto gli avversari a crescere per tornare competitivi è forse la cosa più importante che il Barcellona di Guardiola lascerà in eredità alla storia di questo sport. Perché implica un salto in avanti generale, con benefici per tutti. Ma siamo lontani: il presente è una distanza siderale. E per fortuna è anche Abidal che alza la coppa a Wembley: un inno alla vita infinitamente più importante di ogni teorema calcistico di ieri, oggi e domani.
Con 364 milioni di debito sono tutti bravi però...
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