(Il Sole 24 Ore - 21 marzo 2011)
Le cose, però, cambiano. Da un lato la recente crisi; dall'altro il break-even tra costi e ricavi, imposto dal Financial Fair Play quale condizione per l'ingresso nell'agone dell'Uefa, hanno indotto molte squadre a maggiore parsimonia. A scommettere con più convinzione sulla gestione manageriale della propria attività. Una partita del business, insomma. Che induce la domanda: quale club la gioca al meglio?
La risposta prova a darla PricewaterhouseCoopers (PwC), che ha analizzato diversi indicatori finanziari delle principali leghe europee. Ebbene, spulciando tra numeri e tabelle, salta fuori che la Germania vince poco sul campo, ma è ben posizionata sul fronte economico. Le 18 squadre della Bundesliga, nella stagione 2009/2010, hanno aumentato del 15% il fatturato complessivo (1,5 miliardi di euro), mantenendo su valori contenuti il debito: la posizione finanziaria netta (Pfn) è stata negativa per 100 milioni, con un'incidenza sul fatturato del 6%.
Il numero è ben più basso rispetto a quello della Premier League inglese: Manchester United & soci hanno un rosso netto complessivo di 3,8 miliardi (3,9 del 2008/2009). A fronte dei maggiori debiti, però, i club inglesi possono vantare il giro d'affari più alto del Vecchio continente: 2,5 miliardi di euro.
Dall'Inghilterra alla Spagna. I campioni del mondo, seppure molti club di seconda fascia della Liga ballino spesso sull'orlo del fallimento, hanno un indebitamento più contenuto (1 miliardo) che vale il 67% del giro d'affari (1,5 miliardi). Alla fine i più virtuosi, ma solo a livello numerico, sembrano essere i francesi: il rapporto tra Pfn e fatturato è addirittura positivo (19%). Tuttavia, i ricavi non crescono e il movimento, su cui incidono pochi grandi club, è ancora piccolo.
E il pallone italiano? I club della serie A, nel 2009/2010, hanno generato un fatturato di 1,5 miliardi, in discesa rispetto all'annata precedente (1,6 miliardi). Il calo, però, è stato replicato anche sul fronte dell'indebitamento finanzario netto, passato da 600 a 500 milioni (33%). Numeri che indicano un sistema "affaticato".
"I dati aggregati - sottolinea Emanuele Grasso, partner di PwC - ovviamente vanno interpretati: ciascun campionato ha le sue peculiarità e le società hanno una loro storia individuale". Ciò detto, è indubitabile che la Germania ha imboccato la strada maestra e sta avvicinando (forse superando) il modello inglese. "È possibile. In primis, hanno buone strutture. Grazie ai campionati del mondo nel 2006, molte società possiedono stadi di proprietà in grado di "vivere" tutta la settimana, e non solamente durante il match". Bar, ristoranti, palestre, concerti: "Una fonte di ricavi diversificata e stabile". Ma non è solo l'impianto. "Sono più abili nella gestione del business: sfruttano al meglio il merchandising" e non sono schiavi dei diritti televisivi. I quali restano sì importanti, ma non essenziali: per il Bayern, per esempio, costituiscono solo il 26% del fatturato. Una percentuale al di sotto delle altre big europee: dal Real Madrid (36%) al Chelsea (41%). Per non parlare delle italiane: secondo Deloitte, per il Milan il broadcasting rappresenta il 60% dei ricavi, per la Juventus il 65% e per l'Inter il 62 per cento. Numeri, questi ultimi, che indicano come il calcio italiano sia troppo sbilanciato sui diritti Tv, peraltro non così richiesti all'estero, vista la non eccelsa qualità del gioco.
"È un modello, anche culturale, da cambiare - afferma Dino Ruta, direttore Sport Business Academy, Sda Bocconi -. Dev'essere valorizzato di più l'asset della tifoseria, intesa come persone che guardano uno spettacolo. Che seguono la propria squadra, per esempio, incontrandola agli allenamenti". E qui, ovviamente, i club intonano il noto refrain: bisogna costruire nuovi impianti di proprietà. Certo, quello degli stadi è un tema essenziale. Tuttavia in attesa del mattone, che peraltro non va trasformato nella solita speculazione all'italiana, altri passi potrebbero compiersi.
In Germania, un po' sul modello del Barcellona, "puntano a costruirsi i propri talenti in casa - ricorda Grasso -. Un modo per abbattere i costi fissi legati ai cartellini e alle buste paga dei calciatori". Non a caso, Deloitte indica il rapporto stipendi/ricavi della Bundesliga (51%) come "il più in salute" mentre quello della serie A, pari al 73%, è il peggiore. "Il calciomercato - aggiunge Ruta - è uno snodo tra i più onerosi per le società. Va creata una borsa dei calciatori: una piattaforma elettronica dedicata agli operatori, e anche agli esterni, dove pubblicare l'offerta, l'interesse dei club e altre notizie. Un luogo che prepari, con maggiore trasparenza, la classica trattativa del trasferimento dell'atleta". Così i procuratori ridurrebbero il loro peso nelle trattative e "le società affronterebbero costi fissi minori".
Nessun commento:
Posta un commento