(Il Mattino - 22 agosto 2010)
L'originale "laboratorio politico" si attivò tra le mura del carcere di massima sicurezza di Robben Island, "l'isola del diavolo" che a inizio anni Sessanta il regime razzista sudafricano decise di trasformare in luogo di detenzione "sperimentale" nel quale deportare i capi, gli attivisti e le milizie dei vari movimenti di resistenza, in modo da evitare che, sparsi tra gli istituti di pena sulla terraferma, potessero influenzare i prigionieri comuni e sensibilizzarli alla lotta contro l'apartheid. Oggi patrimonio dell'umanità sotto l'egida dell'Unesco, Robben Island è un brullo isolotto battuto dai venti, situato a dodici chilometri dalla costa di Cape Town. Su questa zolla di terra piatta e un po' spoglia, circondata da acque turbolente, gli uomini del regime praticarono ogni forma di atrocità ai danni dei prigionieri politici, con l'unico scopo di piegarli e sottometterli. Ma nel clima di brutalità e repressione generalizzate proprio la passione per il calcio, comune alla quasi totalità dei detenuti, trasformò ben presto Robben Island in una sorta di "scuola" per i quadri dirigenti del Sudafrica democratico di oggi.
A ricostruire questa storia sorprendente e finora quasi sconosciuta è un libro importante da poco tradotto, che mette in evidenza il peso avuto dal football nella nascita del nuovo Sudafrica multietnico. Il libro, scritto da Chuck Korr e Marvin Close e pubblicato in Italia da Iacobelli, s'intitola Molto più di un gioco. Il calcio contro l'apartheid (240 pagine, 15 euro) e ricostruisce la straordinaria esperienza umana e politica della Makana Football Association, la lega calcistica fondata nel 1969 dai detenuti politici di Robben Island e rimasta in piena attività fino alla chiusura della prigione nel 1990. Chiamata "Makana" dal nome di un condottiero zulu ucciso mentre fuggiva dall'isola nel tardo Ottocento, messa in piedi dai prigionieri dopo anni di trattative con le autorità del carcere, questa lega calcistica divenne ben presto un organismo complesso con nove squadre, ciascuna con tre diverse formazioni per le serie A, B e C; gruppi di arbitri ufficiali che rispondevano rigorosamente al regolamento della FIFA; segretari e referenti per ogni club; un collegio giudicante per le controversie e le misure disciplinari; una minuziosa rete di comunicazioni scritte e atti ufficiali di ogni tipo (referti arbitrali, graduatorie, ricorsi disciplinari, risultati e classifiche marcatori), che hanno costituito la base dalla quale Korr e Close sono partiti per le loro ricerche.
Il calcio e la sua organizzazione divennero, dunque, elementi centrali nelle vite dei prigionieri, i quali dapprima tornarono a sentirsi umani e poi misero da parte le divisioni politiche per trasformarsi in un movimento sempre più unito, capace di dialogare, lottare, chiedere e ottenere; ma anche di gestire un'articolata burocrazia interna che, anni dopo, sarebbe servita da modello per l'organizzazione di una nazione. Tra quegli uomini, infatti, c'erano alcuni tra i personaggi più influenti del nuovo Sudafrica libero: scienziati e docenti universitari, avvocati ed educatori, senatori e futuri ministri del governo democratico. Persino l'attuale presidente sudafricano Jacob Zuma, uno di coloro che più si sono battuti per l'assegnazione della Coppa del Mondo di calcio al suo Paese, all'interno di Robben Island era conosciuto e rispettato per essere il terzino destro nonché capitano dei Rangers, una tra le squadre fondatrici della Makana Football Association. Da parte sua, invece, il futuro "padre" del nuovo Sudafrica multietnico, Nelson Mandela, non potè mai giocare a calcio sull'isola, poiché trascorse in isolamento tutto il suo lungo periodo di detenzione.
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