venerdì 19 settembre 2014

il napoli rialza la testa in europa league: 3-1 allo sparta praga

Di Diego Del Pozzo

L'esordio infrasettimanale del Napoli nell'Europa League 2014-2015 arriva a fagiolo per tentare di mettere subito a tacere le polemiche (assurde e strumentali) che stanno rischiando di sfasciare l'ambiente partenopeo già a metà settembre. E, contro una squadra solida e abbastanza coriacea come lo Sparta Praga, gli azzurri rispondono sul campo con la forza del gioco, offrendo una prova matura, con grande concentrazione e senza innervosirsi né perdere la testa nemmeno sotto di un gol dopo un quarto d'ora.
A fine gara, l'abbraccio tra Higuaìn e Mertens
Continuando semplicemente a giocare come chiede Rafa Benitez, infatti, arriva la meritata rimonta grazie ai gol di Higuaìn (1, su rigore netto) e Mertens (2, molto belli), fino al persino logico 3-1 finale. In totale, il Napoli effettua 21 tiri in porta, colpisce 2 pali, comanda sempre il gioco e si concede appena un paio di leggerezze difensive (compresa la solita su calcio d'angolo), contro un avversario comunque orgoglioso e per nulla arrendevole.
Tra i singoli, gli inserimenti sulle fasce difensive dell'energico Henrique (soprattutto) e di un Britos ordinato e sempre concentrato, al posto di Maggio e Zuniga, contribuiscono a equilibrare l'assetto della retroguardia; quello dell'ottimo Gargano dà corsa e grinta, ma anche leadership e maggiore copertura, in mezzo al campo; il capitano Marek Hamsik (a mio modestissimo avviso "man of the match") mostra di stare finalmente comprendendo davvero come interpretare al meglio il ruolo di "tuttocampista" capace di cucire tra loro i reparti, attaccare e difendere, giostrando tra cabina di regia e tre quarti offensiva; lo spento Callejon di queste settimane offre qualche segnale positivo in più; e, soprattutto, i grandi Mertens e Higuaìn - solisti in grado di fare la differenza ai massimi livelli - danno letteralmente spettacolo, giocando per la squadra e per se stessi come soltanto i campioni sanno fare.
Al fischio finale, il giro di campo e il saluto con applausi alle due curve (che ricambiano con convinzione) sancisce quantomeno una tregua in quella che, nei giorni precedenti, stava diventando una frattura netta tra squadra (società) e ambiente. Addirittura, dagli spalti si sente anche il coro "Vi vogliamo sempre così", come giusto riconoscimento all'impegno profuso dai giocatori azzurri.
Insomma, Benitez conosceva l'importanza di questo match e, non a caso, ha messo in campo quasi tutti i suoi uomini migliori. E Napoli - Sparta Praga 3-1 può essere un buon modo per ripartire, in vista di una trasferta di campionato insidiosa come quella di Udine, dove almeno Henrique, Britos e Gargano, a mio avviso, meritano certamente la riconferma tra gli undici titolari.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

champions league: la "svolta" di platini è democratica o demagogica?

Di Diego Del Pozzo

Per un pugno di voti, mi verrebbe da dire. Nel senso che il presidente dell'Uefa, Michel Platini, per assicurarsi il voto delle Federazioni minori alle varie tornate elettorali che gli garantiscono la poltrona, sta snaturando il senso e abbassando il livello tecnico della Champions League con una politica soltanto in apparenza più democratica, ma in realtà puramente demagogica e, forse, persino un po' pericolosa dal punto di vista della legalità.
Il portiere del Ludogorets si nasconde dopo l'errore decisivo al 93'
Mi riferisco alla variazione - in vigore a partire, ormai, dall'edizione 2009-2010 - dei criteri dei turni eliminatori del torneo, quelli che si giocano ad agosto, in modo da permettere al maggior numero possibile di squadre campioni nazionali dei Paesi calcisticamente meno evoluti (o, più precisamente, quelli col ranking Uefa più basso) di accedere alla fase a gironi, a discapito delle "piazzate" dei campionati di vertice: è la logica - per intenderci - alla base dei famigerati play-off che, quest'anno, hanno visto estromesso anche il Napoli di Benitez per mano dell'ottimo Athletic Bilbao (o il Lille dal Porto), in uno scontro diretto che avrebbe potuto valere forse un ottavo di finale (qui il regolamento della Champions League 2014-2015 e quello più generale della manifestazione dalle origini ai giorni nostri).
La logica conseguenza di tutto ciò, ovviamente, è già da qualche anno un primo turno (quello a gironi) fatto di match poco equilibrati e infarciti di errori e strafalcioni tecnici spesso imperdonabili e, mi spiace dirlo, anche di situazioni un po' sospette o, perlomeno, poco limpide. A dicembre, poi, a qualificarsi per i turni a eliminazione diretta sono, in ogni caso, sempre le solite note, dando il via, così, alla Champions League vera e propria, giocata con scontri diretti di andata e ritorno e fatta di grandi partite e altrettanto grandi giocate.
Quest'anno, più che mai, mi tocca registrare la presenza di un bel po' di squadre scarse o, comunque, abbastanza improbabili nei vari gironi: squadre che, fin dalla prima tornata di gare di questa settimana, hanno saputo perdere anche 5-1 o 6-0, senza opporre resistenza e commettendo errori clamorosi in serie. Tanto clamorosi da far pensare persino a qualcosa di losco: e mi riferisco a episodi come, per limitarmi a pochi esempi, il decisivo (e tecnicamente immotivato) fallo da rigore del portiere dei bulgari del Ludogorets, Milan Borjan (tesserato pochi giorni prima del match), a Liverpool al 93esimo minuto - e, ricordo, la Bulgaria è tra le centrali europee del calcioscommesse globale - o alle molteplici papere dei difensori portoghesi in occasione del pareggio del figlio di Zahovic per il Maribor con lo Sporting Lisbona, anche qui allo scadere. Con riferimento agli anni scorsi, invece, basti citare il caso davvero inquietante della decisiva (per la qualificazione dei francesi) Dinamo Zagabria - Lione 1-7, partita ben al di sotto di ogni sospetto.
Insomma, siamo sicuri che una Champions League più democratica sia davvero anche più "pulita" e, al tempo stesso, più spettacolare?

© RIPRODUZIONE RISERVATA

mercoledì 17 settembre 2014

lo spettacolo di arsenal - manchester city e la noia della serie a

Di Diego Del Pozzo

Nel precedente articolo, ho riassunto quanto accaduto in estate al calcio italiano, dopo il fallimento al Mondiale brasiliano, elencando una serie di episodi emblematici di un declino che, invece di arrestarsi, pare destinato a continuare inesorabile. I deficit organizzativi, gestionali, strutturali, progettuali provocano inevitabilmente defaillance tecniche e risultati deludenti. Non ci vuole un genio per capirlo.
E di fronte a uno spettacolo come quello offerto sabato scorso da Arsenal e Manchester City, nell'anticipo dell'ora di pranzo della quarta giornata della Premier League 2014-2015, si comprende in tutta la sua dolorosa evidenza perché oggi la Serie A sia tanto indietro rispetto ai campionati di vertice europei, come Premier, Bundesliga e Liga.
Nel fantastico 2-2 dell'Emirates (con reti di Aguero, Wilshere, Sanchez e Demichelis), infatti, anche un bambino a digiuno di calcio avrebbe potuto notare un'altra intensità di gioco, altra velocità di corsa e di pensiero, altra voglia di segnare un gol in più rispetto all'avversario senza fermarsi mai e senza tatticismi fini a se stessi, rispetto alla noia di una partita media della Serie A. Gunners e Sky Blues hanno offerto agli spettatori presenti nel meraviglioso stadio dell'Arsenal (e la cornice conta tantissimo per la piena riuscita dello spettacolo) e a chi, come me, li ha seguiti in televisione un match vibrante, pieno di capovolgimenti di fronte e di punteggio, ricchissimo di tecnica e di atletismo, corretto nonostante la velocità, teso ma mai nervoso. Poi, a prescindere dal risultato finale, diventa persino ovvio che, al fischio dell'arbitro, il pubblico si alzi tutto in piedi per applaudire i calciatori di entrambi le squadre. Non può esservi delusione da parte dei tifosi dell'Arsenal, per un pareggio casalingo contro i campioni d'Inghilterra; né da parte di quelli dei Citizens, usciti indenni da un campo insidioso. Ma, di fronte a tanta bellezza, il punteggio passa in secondo piano. E sono sicuro che i supporters di casa avrebbero applaudito convinti anche se la loro squadra fosse stata sconfitta, per l'impegno messo in campo dal primo all'ultimo minuto.
In Italia, dunque, invece di riempirci la bocca con chiacchiere fumose, perché - semplicemente - non impariamo come si fa calcio di vertice (da tutti i punti di vista) nell'anno di grazia 2014?

© RIPRODUZIONE RISERVATA

la nuova stagione calcistica e i ritardi di un'italia sempre più (ta)vecchia

Di Diego Del Pozzo

Con i lettori di Calciopassioni ci eravamo lasciati alla fine del Mondiale brasiliano, ormai due mesi fa, con le consuete pagelle e graduatorie del meglio e del peggio di un torneo che ha sancito il trionfo della Germania giovane e multietnica e il logico fallimento di un'Italia sempre più indietro nel calcio come in tutto il resto.
A dispetto di chi per un po' ci aveva sperato, la pausa estiva ha subito spazzato via tutti i buoni propositi di coloro che s'erano posti il problema di un ringiovanimento e rinnovamento, nelle logiche e nelle persone, del panorama calcistico italiano, per provare a seminare qualcosa su cui poi costruire un futuro migliore. In estate, invece, una serie di episodi emblematici ha fatto immediatamente comprendere che, anche nell'immediato futuro, nel Belpaese tutto resterà così com'è, anzi probabilmente peggiorerà, dato che all'estero, invece, non si fermano con le mani in mano a tutela delle loro piccole rendite di potere.
Così, in ordine sparso, ecco quanto accaduto finora:
1) Alla guida della Federcalcio è stato eletto il giovane settantunenne Tavecchio, sconosciuto oltre i confini, subito segnalatosi per una infelice battuta razzista prima di entrare in carica e per la depenalizzazione dei cori ultrà contro i napoletani come primo atto concreto della sua gestione;
2) A guidare la Nazionale orfana del Prandelli dimissionario-fuggiasco, il Tavecchio di cui sopra ha chiamato Antonio Conte, ottimo allenatore della Juventus tricampione d'Italia, ma anche personaggio coinvolto a più riprese nei recenti scandali del calcioscommesse, quando allenava il Bari e, soprattutto, il Siena: almeno, così, la Nazionale italiana non sarà più regolata dal codice etico, come avveniva in maniera molto ambigua col precedente commissario tecnico;
3) Lo stesso Conte, invece di approfittare del disastro brasiliano e svecchiare tutto, ha riconfermato il blocco juventino degli ultratrentenni, compreso Pirlo, già in retromarcia rispetto ai suoi propositi di dire addio alla maglia azzurra;
4) In una sola estate, anzi in pochi giorni, la Serie A ha perso altri giovani calciatori italiani di valore come Ciro Immobile, Mario Balotelli, Alessio Cerci, Bryan Cristante, non a caso acquistati da top club esteri come Borussia Dortmund, Liverpool, Atletico Madrid e Benfica, mentre in Italia approdavano decine di pedatori medi ultratrentenni pronti a sparare (forse) le loro ultime cartucce. Tra l'altro, con la partenza di Balotelli, la Serie A ha perso anche l'unica pop star calcistica italiana universalmente nota: e pure questo è impoverimento, almeno a livello di attenzione mediatica;
5) Il Napoli di Rafa Benitez s'è fatto eliminare inopinatamente dall'Athletic Bilbao nel preliminare agostano di Champions League, tra le polemiche dell'ambiente per una campagna acquisti non all'altezza da parte della società. A livello più generale di calcio italiano, ciò significa presentarsi al via del più importante torneo internazionale per club con sole due squadre, Juventus e Roma, meno del Portogallo, che ne schiera tre (Benfica, Porto e Sporting Lisbona).
6) La Serie B, cioè il secondo campionato professionistico nazionale, ha ufficializzato appena un giorno prima del via quale fosse la ventiduesima squadra partecipante, ripescata dalla nuova Lega Pro unica (un'indegna accozzaglia di 60 squadre divise in tre gironi).
Come conseguenza (anche) di tutto ciò, un semplice sguardo gettato, in queste prime settimane di attività ufficiale, a una partita di Premier League, di Liga o di Bundesliga e poi a una di Serie A fa comprendere nella sua amara evidenza quale sia il ritardo attuale - destinato ad aumentare - del calcio italiano nei confronti delle scuole calcistiche europee di primo livello, delle quali, fino a pochi anni fa, facevamo parte a pieno titolo. Oggi, evidentemente, non più.

© RIPRODUZIONE RISERVATA